Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16290 del 04/08/2016


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Cassazione civile sez. III, 04/08/2016, (ud. 10/05/2016, dep. 04/08/2016), n.16290

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4842-2012 proposto da:

ASSOCIAZIONE DIPENDENTI BANCA INTESA, (OMISSIS), in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore Dott.

C.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO MORDINI 14,

presso lo studio dell’avvocato MANLIO ABATI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CRISTIANO ANNUNZIATA giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.S.P. SPA, in persona del Responsabile della Direzione

Centrale e Personale Dott. V.M., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA VIRGILIO 8, presso lo studio dell’avvocato ENRICO

CICCOTTI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

PIETRO ICHINO, GUGLIELMO BURRAGATO giusta procura speciale in calce

al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3588/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/12/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito l’Avvocato ENRICO CICCOTTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo di

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato nel 2004, l’Associazione Dipendenti Banca Intesa esponeva di essere sorta nel 1977 come Associazione Dipendenti Banca Cattolica del Veneto, di aver cambiato denominazione a seguito delle fusioni e incorporazioni che avevano interessato detto istituto di credito e di aver assunto, infine, l’attuale sua denominazione. Rappresentava, altresì, che: 1) il suo fine statutario era quello di realizzare attività culturali, ricreative ed assistenziali in favore dei lavoratori in servizio, da ultimo, presso Banca Intesa nonchè presso ogni altra società del gruppo e delle holding cui quest’ultima apparteneva; 2) le entrate dell’Associazione erano state sempre costituite da un finanziamento c.d. ordinario previsto a carico della Banca da un accordo sindacale del 25 giugno 1990 tra l’Azienda e le OO.SS. e da un finanziamento c.d. straordinario che la Banca, sulla base di una costante prassi aziendale, aveva sempre erogato per tradizionali manifestazioni a carattere nazionale ed internazionale dietro preventiva presentazione dei progetti e relativi preventivi, 4) anche a seguito dell’incorporazione, avvenuta nel 2000, del Banco Ambrosiano Veneto, la Banca Intesa aveva erogato i contributi ordinari e straordinari sino al 2001, sia pure in misura ridotta per tale anno, mentre per gli anni 2002, 2003 e 2004 la predetta banca non aveva erogato alcunchè a titolo di tali contributi.

Tanto premesso l’Associazione Dipendenti Banca Intesa conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Milano, la Banca Intesa S.p.a. per sentirla condannare al pagamento dei contributi non versati per gli anni suddetti per complessivi Euro 1.480.952,00 (pari ad Euro 1.426.724,00 per contributi ordinari ed Euro 54.228,00 per contributi straordinari), oltre interessi legali, nonchè al risarcimento dei danni subiti.

Si costituiva la convenuta contestando la fondatezza delle domande proposte nei suoi confronti e chiedendo il rigetto delle stesse.

Il Tribunale adito ammetteva le prove testimoniali articolate dalle parti ma tali prove non venivano tuttavia espletate, avendo il Giudice accolto l’eccezione, sollevata dalla convenuta, di incapacità a testimoniare di tutti i testi indicati dall’attrice.

Con sentenza del 17 luglio 2006, il Tribunale di Milano rigettava la domanda e compensava tra le parti le spese di lite.

Avverso tale decisione l’Associazione Dipendenti Banca Intesa proponeva appello, cui resisteva la Banca.

La Corte di appello di Milano, con sentenza del 28 dicembre 2010, rigettava l’impugnazione proposta e condannava l’appellante alle spese di quel grado.

Avverso la sentenza della Corte di merito l’Associazione Dipendenti Banca Intesa ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Intesa Sanpaolo S.p.a. ha resistito con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo è così rubricato: “(art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113 e 115 c.p.c. in relazione agli artt. 2697 c.c. omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Omessa valutazione di documenti decisivi al fine del decidere in relazione all’atto di fusione del giorno 11 dicembre 2000, dell’accordo sindacale del 25 giugno 1990 nonchè del contratto di compravendita di imbarcazione del settembre 2008, nonchè in relazione alla lettera del 2 dicembre 2002, nonchè al “prospetto dei contributi aziendali spettanti ed erogati dal 1992 in poi all’ASSDI”. Insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a documenti decisivi al fine di decidere, in relazione alle lettere di Banca Intesa del 5 dicembre 2002 e 24 giugno 2004″.

La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di merito ha affermato che essa non avrebbe “dimostrato gli elementi di fatto per la determinazione dei due tipi di contributo”, e sostiene al riguardo che la medesima Corte avrebbe omesso di esaminare la documentazione che, da essa prodotta sin dal primo grado del giudizio, offrirebbe, ad avviso della ricorrente “prova certa, inconfutabile ed incontrovertibile del diritto fatto valere dall’Associazione ricorrente”, precisando che i giudici di entrambi i gradi di merito avrebbero preso in considerazione soltanto le lettere del 24 giugno 2004 e del 5 dicembre 2002, travisandone peraltro il contenuto e il significato.

1.1. Il motivo è inammissibile. Pur avendo lamentato vizi di motivazione e di violazione e falsa applicazione delle norme indicate nella rubrica del mezzo, la parte ricorrente tende, in sostanza, ad una rivalutazione del merito, non consentita in questa sede. Ed invero, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (v., ex plurimis, Cass., ord., 6 aprile 2011, n. 7921; Cass., 28 luglio 2005, n. 15805).

Il rilievo che precede assorbe l’esame di ogni ulteriore questione prospettata dalle parti in relazione al primo mezzo di impugnazione.

2. Con il secondo motivo, rubricato “(art. c.p.c., n. 3) violazione e falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c. in relazione agli artt. 112, 113 e 115 c.p.c.: omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia”, la ricorrente lamenta che la Corte di merito abbia ritenuto che “le richieste istruttorie disattese in primo grado e non reiterate in sede di precisazione delle conclusioni definitive, non possono essere riproposte in appello, essendo precluse dall’inerzia del proponente nel grado pregresso”. Assume la ricorrente che tale affermazione della predetta Corte territoriale sarebbe “del tutto infondata e contraddittoria”, in quanto i mezzi istruttori da essa richiesti in primo grado erano stati ritualmente ammessi nè potrebbe ritenersi che l’ordinanza ammissiva sia stata revocata e/o modificata, sicchè la Corte territoriale avrebbe “operato una sorta di illegittima sovrapposizione dell’art. 246 c.p.c. all’art. 245 c.p.c., in quanto “l’inevitabile corollario” del ragionamento seguito dai Giudici di appello sarebbe che “la dichiarazione di interesse a testimoniale porterebbe alla decadenza dalla prova”, il che sarebbe inammissibile. Sostiene, altresì, la ricorrente che l’onere, posto a carico della parte che ne ha interesse, di riproporre le istanze istruttorie in sede di precisazione delle conclusioni riguarderebbe “soltanto ed esclusivamente le istanze reiette e non già quelle accolte”.

2.1. Il motivo è infondato.

Nella specie la stessa ricorrente deduce che in primo grado, pur essendo stata ammessa la prova testimoniale da essa articolata, successivamente il G.I., accogliendo l’eccezione della controparte di incapacità dei testi indicati dall’attrice, attuale ricorrente, non assumeva detta prova nè riteneva di sentire i testi di parte convenuta, dichiarava chiusa la prova e rinviava per la precisazione delle conclusioni.

La ricorrente non contesta di non aver reiterato le istanze istruttorie nella sede da ultimo indicata, ma sostiene – come già sopra evidenziato – che l’onere di riproporre dette istanze riguarda solo le istanze rigettate ma non quelle accolte.

La Corte di merito sul punto si è attenuta al principio più volte affermato da questa Corte, secondo cui la parte che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le proprie richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni, poichè, diversamente, le stesse dovranno ritenersi abbandonate e non potranno essere riproposte in appello (v. explurimis, Cass. 14/10/2008, n. 25157). E tale principio correttamente è stato applicato al caso di specie in cui, sostanzialmente, la richiesta istruttoria di parte attrice è stata disattesa per ritenuta – da quel giudice – incapacità a testimoniare di tutti i testi dalla stessa indicata. Non risultando che l’attuale ricorrente in sede di precisazione delle conclusioni abbia chiesto la revoca dell’ultimo provvedimento adottato dal G.I. in relazione alla prova di cui si discute in causa nè avendo l’Associazione Dipendenti Banca Intesa comunque riproposto, nella predetta sede, le istanze istruttorie, risulta corretta la decisione della Corte di merito sulla questione all’esame (v. in senso analogo, sia pure in relazione a causa soggetta al cd. vecchio rito, Cass. 1/08/2007, n. 16993).

Solo per completezza si evidenzia, a conferma della non condivisibilità della tesi della ricorrente, secondo cui l’onere di riproporre le istanze istruttorie riguarderebbe solo le istanze reiette e non quelle accolte, che questa Corte ha avuto modo di affermare che non è preclusa l’escussione in appello di testimoni ritualmente indicati in primo grado ed esclusi dal primo giudice con la riduzione della lista sovrabbondante, purchè la parte interessata abbia richiesto, in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, l’escussione dei testi esclusi (Cass. 31/01/2007, n. 2095).

3. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

4. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

5. Essendosi la notifica del ricorso all’esame perfezionata in data 14 febbraio 2012, va dato atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis (Cass. 18/02/2014, n. 3774).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2016

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