Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1629 del 20/01/2017


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Cassazione civile, sez. III, 20/01/2017, (ud. 02/12/2016, dep.20/01/2017),  n. 1429

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22652-2014 proposto da:

R.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI VALERI

1, presso lo studio dell’avvocato CARMINE PELLEGRINO, che lo

rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PARROCCHIA S MARIA DEL DIVINO AMORE A CASTEL DI LEVA in persona del

Commissario e legale rappresentante pro-tempore, Don

B.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MOCENIGO 26, presso lo

studio dell’avvocato UMBERTO MONACCHIA, che la rappresenta e difende

giusta procura in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2058/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2016 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito l’Avvocato UMBERTO MONACCHIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO GIANFRANCO che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso dell’8 marzo 2010 R.A. si opponeva a decreto ingiuntivo del Tribunale di Roma che gli imponeva di pagare alla Parrocchia Santa Maria del Divino Amore a Caste di Leva la somma di Euro 1960, oltre accessori, a titolo di canone locatizio per il periodo da agosto alla prima quindicina di giorni dell’ottobre 2008, in base a un contratto di locazione di immobile ad uso non abitativo (vi si svolgeva l’attività di parrucchiere) stipulato il (OMISSIS) dal R. con Z.I., nel quale la parrocchia era subentrata per legato testamentario dell’originaria locatrice. Nell’opposizione, il R. presentava pure domande riconvenzionali di condanna dell’opposta alla restituzione del deposito cauzionale (Euro 1342,78 oltre a interessi legali dal 28 gennaio 1997) e al pagamento di Euro 12.291,67 oltre accessori quale rimborso per lavori di ristrutturazione che egli avrebbe effettuato nell’immobile con autorizzazione della locatrice originaria, da qualificarsi migliorie. Essendosi poi l’opposta costituita chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo e il rigetto delle domande riconvenzionali, con sentenza del 21 dicembre 2011 il Tribunale revocava il decreto ingiuntivo, riconosceva l’opponente debitore a controparte dei canoni di agosto e settembre 2008 e l’opposta debitrice a controparte del deposito cauzionale con interessi dal 28 maggio 2003, data del suo subentro nel rapporto contrattuale; rigettava la domanda relativa alle migliorie, compensava i due crediti e condannava l’opponente a pagare la differenza all’opposta.

Avendo il R. presentato appello principale avverso la sentenza e la parrocchia appello incidentale, con sentenza del 27-28 marzo 2014 la Corte d’appello di Roma ha rigettato l’appello incidentale e accolto l’appello principale parzialmente, respingendo ancora la domanda riconvenzionale relativa alle asserite migliorie.

2. Ha presentato ricorso il R. sulla base di un unico motivo, da cui controparte si difende con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è infondato.

3.1 L’unico motivo del ricorso denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1372, 2033 e 1577 c.c., L. n. 392 del 1978, art. 23 e artt. 115 e 416 c.p.c..

Adduce il ricorrente che il giudice d’appello ha rigettato la sua domanda relativa alle migliorie perchè, pur risultando provato il consenso della locatrice ai lavori, ha ritenuto non provato ch’ella se ne fosse assunta la spesa; e al riguardo non si rinverrebbe nulla nel contratto locatizio. Obietta il ricorrente che già nel ricorso di primo grado aveva chiesto la restituzione di somme pagate per lavori necessari per l’immobile e la convenuta sul punto non aveva contestato. L’onere del locatore quanto a tale spesa deriverebbe poi dall’art. 1577 c.c.; e l’art. 10 del contratto, al suo comma 4, pone a carico del locatore “le riparazioni di straordinaria manutenzione, e in generale quelle di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 23”, e al quinto comma grava ancora il locatore delle “riparazioni che non siano a carico del conduttore”, il quale le deve comunicare al locatore. Controparte non avrebbe neppure contestato la somma occorsa. La corte territoriale ha ritenuto insussistente la prova sull’aumento del valore commerciale del bene e osservato che dell’eventuale aumento comunque avrebbe usufruito lo stesso proprietario in una futura vendita (si nota per inciso che l’attuale ricorrente ha acquistato l’immobile dalla controricorrente in data 15 ottobre 2008). Ma avrebbe errato nel ritenere che le opere in questione non costituiscano migliorie che aumentano il valore dell’immobile; e altresì che, se le opere sono state effettuate dal conduttore come gestore di affari altrui o in forza di mandato, egli ne avrebbe diritto al rimborso, considerato ancora l’art. 10 del contratto, che prevede in caso di importanti opere che il locatore possa chiedere un aumento del canone. Avrebbe errato altresì la corte territoriale laddove nega l’esistenza della prova sul fatto che il locatore abbia beneficiato delle opere, perchè nel ricorso in opposizione al decreto ingiuntivo sarebbero stati indicati lavori eseguiti (edili, elettrici, idraulici, di condizionamento) e ciò non sarebbe stato contestato dalla opposta, la quale, costituendosi, avrebbe solo dedotto che erano “lavori destinati a migliorare le apparecchiature occorrenti per l’attività di parrucchiere”. Ribadisce il ricorrente che in generale sui fatti da lui dedotti non vi fu contestazione di controparte (e così quindi sull’autorizzazione dell’originaria locatrice, sull’esecuzione delle opere e sulle relative spese, sull’appartamento di migliorie) per dedurne che, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., per mancata contestazione i fatti dedotti avrebbero dovuto essere ritenuti provati. Inoltre il giudice d’appello sarebbe stato illogico, essendo evidente che il beneficiario dei lavori fu proprio il locatore/proprietario, per cui il locatore è tenuto al rimborso ai sensi dell’art. 1577 c.c. e in forza dell’art. 10 del contratto.

3.2 Si è offerta una dettagliata sintesi del contenuto di quello che il ricorrente definisce un unico motivo per evidenziare come, in esso, siano state apportate doglianze diverse.

In primo luogo, il ricorrente censura l’impugnata sentenza perchè erroneamente non vi sarebbe stato applicato il principio della non contestazione ex art. 115 c.p.c.laddove si è ritenuta carente la prova su fatti da lui addotti e costitutivi della sua pretesa. Come si è visto, invero, il ricorrente insiste più volte nel senso che la controparte non ha contestato quel che egli avrebbe addotto in punto di fatto nel ricorso introduttivo del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo.

Al riguardo, in realtà, il ricorso per cassazione non gode di adeguata specifica autosufficienza in ordine a quelle che furono le difese della opposta, cioè dell’attuale controricorrente; e comunque, a tacer d’altro, è lo stesso ricorrente a riportare nell’esposizione dei fatti che, costituendosi, la parrocchia aveva affermato che i lavori furono chiesti dal conduttore e che la locatrice “non ebbe difficoltà ad autorizzarli con la prospettiva contrattuale che al termine della locazione i luoghi sarebbero stati rimessi in pristino stato”. E’ evidente, quindi, che in tal modo la parrocchia ha assunto una posizione sui lavori in questione diversa da quella che adduce il ricorrente: non è vero che non fu contestato che fossero lavori necessari per l’immobile, dal momento che l’opposta puntualizzava che l’autorizzazione della locatrice aveva tenuto in conto la rimessione in pristino alla cessazione del rapporto locatizio. Deve quindi ritenersi che la doglianza fondata sull’art. 115 c.p.c.non è fondata.

3.3 Per quanto concerne, poi, il richiamo all’art. 10 del contratto, si tratta evidentemente di una doglianza fattuale, relativa alla interpretazione della volontà delle parti come emergente dalla suddetta clausola, se non addirittura di un vizio riconducibile all’art. 395 c.p.c., n. 4.

L’art. 1577 c.c., a questo punto, non è pertinente, dal momento che concerne le riparazioni necessarie all’immobile oggetto del contratto locatizio: e, nel caso in esame, la natura dei lavori, come sopra si è visto, non è emersa, come esito dell’accertamento fattuale esperito dal giudice di merito, necessaria, onde tale qualificazione rimane un mero asserto del ricorrente. E parimenti non pertinenti sono i riferimenti al mandato e alla gestione degli affari altrui, in un contesto in cui, come si è appena rilevato, correttamente (ovvero senza violare l’art. 115 c.p.c.) il giudice di merito ha accertato l’assenza di prova della prospettazione fattuale del ricorrente, ovvero che l’originaria locatrice lo avesse incaricato di effettuare tali lavori accollandosene il costo.

Infine, la doglianza secondo cui il giudice d’appello sarebbe incorso in illogicità motivazionale per quanto concerne il vantaggio delle opere non attiene certo ad un livello di contraddittorietà – se mai vi fosse – incompatibile con il minimo costituzionale dell’obbligo di motivazione, per cui non è denunciabile nel vigente testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. per tutte S.U. 7 aprile 2014 n. 8053), o comunque è riconducibile addirittura ad una diretta critica fattuale in ordine all’esistenza delle prove di supporto della prospettazione del R..

In conclusione, tutte le censure presenti nel ricorso non mostrano consistenza, per cui detto ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Sussistono D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art., comma 1 bis.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 3000, di cui Euro 200 per esborsi, oltre gli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2017

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