Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16288 del 10/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 10/06/2021, (ud. 16/02/2021, dep. 10/06/2021), n.16288

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 22518/2017 proposto da:

S.S. avv. c.f. (OMISSIS) elettivamente domiciliato in Roma

via P. Albertelli 1 presso l’avv. Lucia Camporeale, rappresentato e

difeso da se stesso domiciliato;

– ricorrente –

contro

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO, in persona del legale

rappresentante pro tempore con sede in Roma viale Flaminia 19;

– intimato –

avverso la sentenza n. 686/17 della COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE

del LAZIO depositata in data l6/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa RUSSO

RITA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.- S.S. ha impugnato innanzi al TAR Lazio la delibera dell’11/9/2012 resa dal Consiglio di giustizia amministrativa, di rigetto di una istanza, proposta dallo stesso S., di avvio del procedimento disciplinare avverso alcuni magistrati amministrativi, dichiarando ai fini del contributo unificato che esso era dovuto nella metà del contributo base poichè la questione atteneva a rapporti di pubblico impiego; la segreteria del TAR lo ha inviato a integrare il pagamento del contributo ordinario; successivamente la predetta segreteria lo ha invitato a pagare ulteriore contributo di Euro 650,00 in relazione ai motivi aggiunti presentati. Lo S. ha opposto i predetti provvedimenti innanzi alla Commissione tributaria provinciale, che ha rigettato il ricorso. Il contribuente ha quindi proposto appello che è stato rigettato con sentenza del 16.2.2017 dalla cm del Lazio. In particolare, è stato ritenuto) inammissibile per tardività il ricorso avverso l’invito di pagamento notificato il 28 gennaio 2013 in quanto proposto il 25 luglio 2013, oltre i 60 giorni previsti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21; il ricorso avverso il secondo invito di pagamento per la presentazione dei motivi aggiunti è stato rigettato rilevando che con i predetti motivi è stato contestato un atto completamente diverso rispetto) a quello oggetto del ricorso originario; infine la CIR ha ritenuto corretta la misura del contributo perchè non si tratta di pubblico impiego bensì di responsabilità disciplinare dei magistrati. Il giudice d’appello ha infine dato atto che la soccombenza in entrambi i gradi del giudizio determina la sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

2.- Avverso la predetta sentenza il propone ricorso per cassazione il contribuente affidandosi a tre motivi. Non ha spiegato difese l’intimato. La causa è stata trattata alla adunanza camerale non partecipata del 16.2.2021.

Diritto

RITENUTO

CHE:

3.- Con il primo e motivo di ricorso la parte lamenta ex art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 546 del 2019, art. 21 nonchè dell’art. 111 Cost., comma 6 e art. 132 c.p.c., n. 4. Deduce che ha errato il giudice d’appello a ritenere tardiva l’impugnazione perchè in relazione al primo avviso vi è stato uno scambio di osservazioni tra il contribuente e l’ente impositore conclusosi solo in data 26 giugno 2013. Egli ha peraltro fatto legittimo affidamento circa la non necessità dell’impugnazione entro 60 giorni perchè si trattava di atto non elencato nell’art. 19 cit. e quindi egli sarebbe incorso in errore scusabile, avendo avviato una interlocuzione con l’amministrazione.

Il motivo è infondato.

E’ giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte che “In tema di contenzioso tributario, degli atti impugnabili, contenuta nel D.Lgs. n. 346 del 1992, art. 19, pur avendo natura tassativa, non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, con i quali l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributarla, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, dovendo intendersi la tassatività riferita non ai singoli provvedimenti nominativamente indicati ma alle categorie a cui questi ultimi sono astrattamente riconducibili, nelle quali vanno ricompresi gli atti atipici o con “nomen iuris” diversi da quelli indicati, che però producono gli stessi effetti giuridici, ed anche gli atti prodromici degli atti impositivi, sicchè è da ritenersi impugnabile, quale diniego di agevolazione, l’atto di diniego parziale di estinzione di tributi iscritti a ruolo, essendo immediatamente lesivo dei diritti del contribuente” (Cass., 30/01/2020, n. 2144).

L’invito al pagamento del contributo-) unificato notificato da parte della segreteria è un atto con il quale si porta a conoscenza del contribuente una pretesa impositiva ben determinata, come tale impugnabile, ma nel rispetto dei termini previsti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, essendo del tutto irrilevante, ai tini della decorrenza del termine di decadenza che il contribuente avvii una interlocuzione con l’amministrazione al fine di provocare il ritiro o la modificazione dell’atto stesso. La decadenza dalla facoltà di impugnare un atto può essere impedita soltanto dall’esercizio del diritto e cioè dalla presentazione dell’impugnazione, e non da atti interlocutori; si tratta di un principio generale dell’ordinamento che non può essere eluso invocando l’affidamento, in questo caso non legittimo ma soggettivo e ingiustificato, sulla non necessità di impugnare l’atto nei termini.

4.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la violazione del T.U. n. 115 del 2202, art. 13, comma 6 bis e dell’art. 111 Cost., comma 6 e art. 132 c.p.c., n. 4 sotto due specifici profili: a)il contribuente deduce che con i motivi aggiunti egli non ha introdotto domanda nuova perchè la seconda delibera dai lui impugnata era meramente confermativa della prima, in quanto egli aveva presentato) due esposti avverso magistrati amministrativi e il c.c. A li aveva rigettati entrambi; b) in ogni caso si tratta di pubblico impiego e non di responsabilità disciplinare.

Il motivo è infondato per entrambi i profili.

La denuncia o l’esposto a carico di un magistrato, per un comportamento in tesi disciplinarmente rilevante, e la relativa delibera che decide sull’esposto non fa sorgere in capo al terzo denunciante un interesse o un diritto che si possa qualificare come pubblico impiego.

Il rapporto di pubblico impiego sul quale il provvedimento disciplinare può incidere riguarda il pubblico dipendente e l’amministrazione, e ad esso il terzo (e cioè il denunciante) è estraneo. Pertanto la impugnazione da parte del terzo denunciante della delibera che rigetta l’esposto non si può qualificare controversia di pubblico impiego poichè non è questo l’interesse che viene dedotto in giudizio.

Quanto al versamento di ulteriore contributo peri motivi aggiunti questa Corte ha gia affermato che “il ricorso amministrativo che contenga motivi aggiunti ex art. 43 c.p.a. è soggetto al contributo unificato nella misura fissata dal D.P.R. n. 115 del 2002, ‘art. 13, commi 6-bis e 6-bis1, quando, in coerenza con il principio affermato dalla sentenza della CGUE 6 ottobre 2015, C-61/14, i motivi determinino un considerevole ampliamento dell’oggetto della controversia, circostanza che si verifica allorchè, con il ricorso aggiuntivo, sia chiesto l’annullamento di uno o più provvedimenti autonomamente lesivi e la causa introdotta si ponga così in rapporto di connessione cd. debole, ossia meramente fattuale, con quella concernente l’impugnazione dell’atto originario; il ricorso aggiuntivo è invece esente dal contributo unificato quando abbia per oggetto uno o più atti in rapporto di pregindizialità-dipendenza con il provvedimento originariamente impugnato, dando luogo a una connessione cd forte di cause (Cass. 23873/2020).

Nella specie il ricorrente afferma che si tratta di due esposti, seppur rivolti contro le stesse persone, e che il CGA si è pronunciato con due delibere che quindi sono autonomamente lesive (in tesi del ricorrente) dell’interesse da lui manifestato alla punizione dei soggetti denunciati. Nè la parte ha trascritto ed illustrato quella parte delle ragioni dei due esposti e dei due rigetti che in ipotesi porrebbero in rapporto di connessione forte i due provvedimenti impugnati, limitandosi a riportare il dispositivo delle due delibere.

4.- Con il terzo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione del T.U. n. 115 del 2002, art. 13 commi 1 bis, 1 quater e 6 quater; la parte lamenta che la CTR lo abbia condannato al pagamento di una somma pari a quella del contributo unificato senza indicare le norme di riferimento della statuizione in parola, che in ogni caso è inapplicabile nell’ambito del processo tributario.

Il motivo è inammissibile.

Questa Corte a sezioni unite, ha chiarito che “la debenza dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato (c.d. doppio contribuito) pari a quello dovuto per l’impugnazione e normativamente condizionala a due presupposti: il primo, di natura processuale, costituito dall’adozione di una pronuncia di integrale rigetto o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, la cui sussistenza e oggetto dell’attestazione resa dal giudice dell’impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater; il secondo, di diritto sostanziale tributario, consistente nell’obbligo della parte impugnante di versare il contributo unificato iniziale, il cui accertamento spetta Inrece all’amministrazione giudiziaria” (Cass. civ. sez. un., 20/02/2020, n. 4315).

L’attestazione del giudice dell’impugnazione della sussistenza dei presupposti per il c.d. raddoppio del contributo ha solo funzione ricognitiva e ciò al fine di sottrarre al funzionario amministrativo, che deve poi in concreto verificare se il contributo è dovuto, il compito di interpretare la sentenza. Di contro, precisano le sezioni unite, “rimane invece affidato all’Ammimstrazione il compito di accertare in concreto la sussistenza degli altri presupposti dai guali dipende la debenza in concreto della doppia contribuzione”.

Non si tratta quindi di una pronuncia decisoria, malgrado l’uso del termine “condanna”, ma solo della attestazione della soccombenza, e quindi non vi è attualità dell’interesse a impugnare; l’interesse diventa attuale nel momento in cui il funzionario di cancelleria verifica la debenza o meno del contributo, anche necessariamente tenendo conto che il citato D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, non è applicabile al processo tributario e ciò sul tenore testuale della disposizione impugnata, che circoscrive la sua operatività, attraverso specifico rinvio, al processo civile (Corte Cost. 18/2018). Il raddoppio del contributo unificato è infatti, secondo la più recente interpretazione datane dalle sezioni unite una misura ristorativa, con una funzione preventivo deterrente (Cass. sez. un. 4315/2020, cit.), fondata sulla ritenuta necessità, da parte del legislatore, di compensare l’impegno delle limitate risorse dell’apparato giudiziario nella decisione di una impugnazione non meritevole di accoglimento; di conseguenza ben può il legislatore, nell’ambito della sua discrezionalità, limitarne l’applicazione solo a quegli ambiti in cui questa esigenza di compensazione è stata ritenuta più pregante.

La norma è invece applicabile al giudizio di cassazione per il quale valgono le ordinarie regole del processo civile, nei termini precisati dalla decisione delle sezioni unite sopra citata.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

Nulla sulle spese in difetto di costituzione dell’intimato.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13. comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio da remoto il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2021

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