Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16286 del 26/07/2011

Cassazione civile sez. VI, 26/07/2011, (ud. 24/06/2011, dep. 26/07/2011), n.16286

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 7336/2010 proposto da:

O.G. (OMISSIS), R.T.

(OMISSIS), O.M. (OMISSIS) eredi di

Oc.Gi., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

MERULANA 234, presso lo studio dell’avvocato BOLOGNA GIULIANO,

rappresentati e difesi dall’avvocato DI TOSTO Rosella, giusta procura

speciale in Calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS) in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso

dall’avvocato LANZETTA Elisabetta, giusta mandato speciale in calce

al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 671/2009 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO

del 4.12.09, depositata il 17/12/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. PAOLO STILE;

udito per il controricorrente l’Avvocato Mauro Ricci (per delega avv.

Elisabetta Lanzetta) che si riporta agli scritti.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MASSIMO

FEDELI che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

La Corte:

letta la relazione del Cons. Dott. Paolo Stile;

udite le conclusioni del P.G. Dott. Massimo Fedeli;

esaminati gli atti.

Fatto

OSSERVA

con ricorso d’appello l’INPS ha impugnato la sentenza del Tribunale di Campobasso, che aveva accolto la domanda proposta dagli attuali ricorrenti, nella qualità di eredi di Oc.Gi. ex dipendente INPS, collocato a riposo il 1 maggio 2002, e condannato l’Istituto predetto a computare, nella base di calcolo utile ai fini dell’indennità di buonuscita, gli emolumenti erogati a titolo di assegno di garanzia, rigettando, invece, la domanda di computo in tale base di calcolo dell’acconto mensile incentivo. Detta sentenza è stata impugnata anche dagli eredi di Oc.Gi. con appello incidentale.

Con sentenza del 4-17 dicembre 2009, l’adita Corte d’appello di Campobasso, richiamando la più recente giurisprudenza di legittimità, ha accolto l’appello principale, ed in riforma della impugnata sentenza, ha rigettato le domande proposte con il ricorso introduttivo.

Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione i suddetti eredi con tre motivi. L’INPS ha depositato controricorso relativo ad altra controversia avente il medesimo oggetto.

Diritto

Le censure formulate nel ricorso per Cassazione, articolate in tre motivi, volte ad evidenziare violazioni di legge (art. 12 disp. gen., comma 1 in riferimento alla L. n. 70 del 1975, art. 13, comma 1, art. 15 disp. gen., in riferimento al regolamento per il trattamento di previdenza e di quiescenza del personale INPS, L. n. 70 del 1975, art. 31 e art. 1362), nonchè vizi di motivazione, non possono non apparire manifestamente infondate se poste in relazione all’iter argomentativo seguito dalla Corte di merito, basato sul più recente orientamento di questa Corte, ora confermato dalle Sezioni Unite.

Quest’ultima, con un susseguirsi di pronunce ha, infatti, affermato che in tema di base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici del c.d.

parastato, la L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 13, di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro del relativo personale, detta una disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto (rimasta in vigore, pur dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, per i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995 che non abbiano optato per il trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 cod. civ.), non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un’indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, lasciando all’autonomia regolamentare dei singoli enti solo l’eventuale disciplina della facoltà per il dipendente di riscattare, a totale suo carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio. Il riferimento quale base di calcolo allo stipendio complessivo annuo ha valenza tecnico-giuridica, sicchè deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scarti di anzianità o componenti retributive similari (nella specie, l’indennità di funzione della L. n. 88 del 1989, ex art. 15, comma 2, il salario di professionalità o assegno di garanzia retribuzione e l’indennità per particolari compiti di vigilanza per i dipendenti dell’INPS) e devono ritenersi abrogate o illegittime, e comunque non applicabili, le disposizioni di regolamenti come quello dell’Inps, prevedenti, ai fini del trattamento di fine rapporto o di quiescenza comunque denominato, il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo (Cass. S.U. n. 7154/2010, 7156/2010, 7157/2010).

Per quanto precede il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio vanno compensate tra le parti, in considerazione dei contrasti giurisprudenziali che hanno

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 24 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2011

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