Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16279 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/07/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 30/07/2020), n.16279

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29559-2018 proposto da:

N.S., N.C., N.R., elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato ARCANGELO SANTAGATI;

– ricorrenti –

Contro

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI (OMISSIS), in persona del Rettore I,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 608/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 16/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. UMBERTO

LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA e RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, rilevato che:

nell’ambito di un procedimento espropriativo promosso dall’Università degli studi di (OMISSIS) per il completamento dell’edificio sede del Dipartimento bioscientifico della Facoltà di Agraria, furono occupati ed espropriati, nel periodo dal 1999 al 2001, due terreni di proprietà di M.C., alla quale fu offerta un’indennità di espropriazione determinata ai sensi del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 1, comma 1;

con due successive citazioni del febbraio 1997 e del maggio 2002, M.C. convenne l’Università degli studi ed il Comune di (OMISSIS) dinanzi alla Corte d’appello etnea, chiedendo, tra l’altro, la determinazione delle giuste indennità di espropriazione e di occupazione legittima dei terreni occupati ed espropriati;

i convenuti Università e Comune di (OMISSIS) contestarono, tra l’altro, la natura edificatoria dei terreni espropriati;

la Corte territoriale, espletata consulenza tecnica d’ufficio, riunite le cause e riconosciuta natura edificatoria ai terreni de quibus, con sentenza del 5/12/2006, tra l’altro, dichiarò il difetto di legittimazione passiva del Comune di (OMISSIS), determinò in Euro 718.307,15 l’indennità di espropriazione e quantificò l’indennità di occupazione legittima nella misura degli interessi legali sulla somma corrispondente all’indennità di espropriazione per ciascun anno o frazione di anno di occupazione relativamente al periodo in cui la stessa si era protratta;

avverso tale sentenza proposero ricorso per cassazione gli eredi della M., ossia i fratelli N.S., N.C. e N.R., deducendo un unico motivo di censura, al quale resistette, con controricorso, l’Università degli studi di (OMISSIS), che propose ricorso incidentale fondato su un solo motivo;

con sentenza n. 7304 del 10/4/2015 la Corte di Cassazione accolse il ricorso incidentale dell’Università, assorbito il ricorso principale dei sig.ri N., cassando la sentenza impugnata e rinviando, anche per le spese, alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione;

a tanto la Corte si risolse perchè la Corte etnea aveva ritenuto il terreno espropriato edificabile, attribuendo erroneamente rilievo all’edificabilità “di fatto” del terreno, violando il principio dell’edificabilità legale prescritto dalla legge, quando era pacifico che gli strumenti urbanistici vigenti all’epoca dell’esproprio classificassero l’area ove si trovava il terreno in zona “L”, destinata alla realizzazione di edifici universitari;

riassunto il giudizio con la riproposizione delle domande da parte dei N., a cui ha resistito l’Università catanese, espletate nuova consulenza d’ufficio e ulteriore consulenza integrativa, con sentenza del 16/3/2018 la Corte di appello di Catania ha rigettato le domande degli attori, gravandoli delle spese dell’intero giudizio;

avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 6/10/2018 hanno proposto ricorso per cassazione i fratelli N., svolgendo quattro motivi, al quale ha resistito con controricorso l’Università degli Studi di (OMISSIS), chiedendone l’inammissibilità o il rigetto;

dopo la proposta di trattazione in camera di consiglio non partecipata, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., i ricorrenti hanno illustrato con memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, le proprie difese.

Diritto

RITENUTO

che:

con il primo motivo i ricorrenti lamentano, ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. 359 del 1992, art. 5 bis, perchè la Corte catanese aveva ritenuto del tutto irrilevante la circostanza che la destinazione zonale consentisse l’edificazione di attrezzature ed edifici pubblici, mentre tali forme pubblicistiche di utilizzazione del territorio non potevano essere assimilate al concetto di edificazione previsto dalla norma richiamata e numerose pronunce della Corte Suprema successive a quella n. 7304/2015 avevano conferito rilievo all’edificabilità di fatto e all’uso concreto del terreno per determinare una indennità ragguagliata al valore venale del bene;

il motivo è manifestamente infondato, perchè la Corte di appello si è ritenuta vincolata dalla pronuncia della Cassazione che, sul presupposto, pacifico in fatto, della destinazione edilizia del terreno, lo aveva ritenuto non edificabile alla stregua del corretto criterio di valutazione applicabile, ossia quello dell'”edificabilità legale”;

secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione;

nella prima ipotesi, il giudice di rinvio è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nella seconda ipotesi, il giudice non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, tenendo conto, peraltro, delle preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza ipotesi, la potestas iudicandi del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonchè la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse (Sez. L, n. 27337 del 24/10/2019, Rv. 655553 – 01; Sez. 2, n. 10 del 3/1/2019; Sez. 3, n. 16660 del 06/07/2017, Rv. 644821 – 01; Sez. 2, n. 10736 del 3/5/2017);

infatti i limiti e l’oggetto del giudizio di rinvio sono fissati esclusivamente dalla sentenza di cassazione, la quale non può essere sindacata o elusa dal giudice di rinvio, neppure in caso di violazione di norme di diritto sostanziale o processuale o per errore del principio di diritto affermato, la cui giuridica correttezza non è sindacabile dal giudice del rinvio neanche alla stregua di arresti giurisprudenziali successivi della corte di legittimità (Sez. 2, n. 27343 del 29/10/2018, Rv. 651022 – 01; Sez. 3, n. 20887 del 22/08/2018, Rv. 650434 – 01);

a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 1, l’enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, anche qualora, nel corso del processo, siano intervenuti mutamenti della giurisprudenza di legittimità, sicchè anche la Corte di cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di merito, deve giudicare sulla base del principio di diritto precedentemente enunciato, e applicato dal giudice di rinvio, senza possibilità di modificarlo, neppure sulla base di un nuovo orientamento giurisprudenziale della stessa Corte, salvo che la norma da applicare in relazione al principio di diritto enunciato risulti successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di jus superveniens, comprensivo sia dell’emanazione di una norma di interpretazione autentica, sia della dichiarazione di illegittimità costituzionale (Sez. 6 – L, n. 6086 del 17/03/2014, Rv. 630470 – 01; Sez. 6 – 1, n. 27155 del 15/11/2017, Rv. 646772 – 01; Sez.1, n. 27081 del 23/10/2019);

con il secondo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti lamentano errata applicazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, e del criterio del valore venale del bene, asseritamente trascurato da parte della Corte di appello, al pari dell’appetibilità di mercato del terreno;

con il terzo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti lamentano errata applicazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, in relazione alla determinazione della categoria edificatoria di riferimento poichè la Corte di appello non aveva tenuto conto della possibilità di edificazione a fini di edilizia universitaria, consentita anche a fini privati, e aveva equiparato il bene in modo illogico e ingiusto al verde rurale;

le due censure proposte, connesse tra loro, possono essere esaminate congiuntamente;

le critiche dei ricorrenti hanno carattere del tutto generico e richiedono a questa Corte una rivalutazione di merito circa il valore effettivo del terreno e soprattutto appaiono anche inammissibili ex art. 384 c.p.c., laddove aspirano ad infrangere il vincolo esercitato dalle statuizioni della precedente sentenza di legittimità;

la Corte territoriale ha ritenuto che il principio di diritto espresso dalla Cassazione le imponesse di ritenere l’area de qua non edificabile, in forza dell’esistenza di un vincolo, di natura conformativi, che la destinava a utilizzi meramente pubblicistici;

tale diagnosi è pienamente corretta poichè nella sentenza n. 7304 del 2015 questa Corte ha ritenuto che poichè l’area oggetto di causa ricadeva nello strumento urbanistico del Comune di (OMISSIS) in zona “L”, destinata alla realizzazione della “Città universitaria” anche alla data del decreto di esproprio, non le poteva essere attribuita destinazione edificatoria, disattendendo radicalmente la disciplina di cui al D.L. n. 333 del 1992, art. 5-bis, comma 3, – non incisa dalla sentenza di incostituzionalità n. 348 del 2007 ed ora recepita nel D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 37, – improntata all’unico criterio di qualificazione dell’edificabilità legale;

la Corte ha anche aggiunto che le possibilità legali di edificazione debbono essere escluse tutte le volte in cui per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.), in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte le forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione e che sono, come tali, soggette al regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione edilizia e che in tal caso non ha rilevanza neppure che la destinazione zonale consenta la costruzione di edifici o attrezzature pubblici, in quanto l’attività di trasformazione del suolo per la realizzazione dell’opera pubblica, ove questa sia inderogabilmente rimessa all’iniziativa pubblica, non può essere assimilata al concetto d’edificazione che la L. n. 359 del 1992, art. 5-bis, prende in considerazione agli effetti indennitari, da intendere come estrinsecazione dello ius uedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area; con il quarto motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti lamentano errata applicazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, in relazione alla illogicità e ingiustizia del trattamento riservato al terreno dei ricorrenti rispetto ai beni circostanti e in particolare a quello di proprietà Seminara che era stato oggetto della sentenza n. 427 del 2004 della Corte di appello di Catania;

la censura è inammissibile perchè pretende da questa Corte di legittimità la formulazione di valutazioni di merito e l’apprezzamento diretto di elementi probatori, di cui, per vero, i ricorrenti neppure allegano come e quando siano stati sottoposti alla dialettica del contraddittorio;

ritenuto pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore del contro ricorrente, liquidate nella somma di Euro 8.000,00 per compensi, 100,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

 

 

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