Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16278 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/07/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 30/07/2020), n.16278

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29321-2018 proposto da:

(OMISSIS) SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIORGIO SARDELLA;

– ricorrente –

Contro

BANCA POPOLARE PUGLIESE SOC. COOP PER AZIONI A RL, in persona del

Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAN

SEBASTIANELLO 6, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE CAPPIELLO,

rappresentata e difesa dagli avvocati GIUSEPPE DELL’ANNA MISURALE,

RAFFAELE DELL’ANNA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 811/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 18/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. UMBERTO

LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA e RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, rilevato che:

con sentenza del 29/5/2008 il Tribunale di Brindisi – Sezione Distaccata di Fasano aveva condannato la Banca Popolare Pugliese soc. coop. a r.l. a pagare alla società attrice Edil Sar.Tom s.r.l. la somma di Euro 1.170.334,81, indebitamente addebitati in conto corrente, oltre alle spese di lite;

a tale risultato il Tribunale era pervenuto, dichiarando la nullità della clausola che stabiliva la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista; rideterminando il saldo con riferimento alla capitalizzazione annuale; dichiarando la nullità della clausola che determinava la misura degli interessi passivi con rinvio agli usi di piazza; applicando al rapporto il tasso di interessi legali fino alla data di entrata in vigore della L. n. 154 del 1992, art. 5, e successivamente il tasso nominale massimo dei BOT nei 12 mesi anteriori alla conclusione del contratto e, solo dal 21/8/1991 all’1/8/1992, il tasso del 22%; rigettando le eccezioni di decadenza e prescrizione proposte dalla Banca; escludendo l’incidenza della commissione di massimo scoperto; con sentenza del 18/8/2017, successivamente corretta da un errore materiale in punto distrazione delle spese, la Corte di appello di Lecce, in accoglimento parziale del gravame della Banca, ha riformato la sentenza di primo grado, riducendo la condanna della Banca Popolare Pugliese al pagamento della minor somma di Euro 428.906,25, oltre Euro 10.906,13 a titolo di maggior danno, oltre interessi legali, compensando per metà le spese legali e condannando la Banca al pagamento della residua metà per il doppio grado di giudizio;

avverso la predetta sentenza, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione la Edil.Sar.Tom s.r.l., con atto notificato il 3/10/2018, svolgendo unico motivo, al quale ha resistito con controricorso notificato il 12/11/2018 la Banca Popolare Pugliese soc. coop. p.a., chiedendone l’inammissibilità o il rigetto;

dopo la proposta di trattazione in camera di consiglio non partecipata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 c.p.c., comma 2, facendo presente che in data 12-14/6/2019 il Tribunale di Brindisi aveva dichiarato il fallimento della (OMISSIS) s.r.l..

Diritto

RITENUTO

che:

secondo la giurisprudenza di questa Corte l’intervenuta modifica della L. fall., art. 43, per effetto del D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 41, nella parte in cui stabilisce che “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”, non determina l’interruzione del giudizio di legittimità, posto che in quest’ultimo, dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge (Sez. 1, n. 27143 del 15/11/2017, Rv. 646008 -01; Sez. 1, n. 7477 del 23/03/2017, Rv. 645844 – 01; Sez. L, n. 21153 del 13/10/2010, Rv. 614856 – 01; Sez. U, n. 14385 del 21/06/2007, Rv. 598042 – 01);

con il motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., comma 2, artt. 2935,2946 c.c. e art. 115 c.p.c., in relazione all’accoglimento da parte della Corte territoriale dell’eccezione di prescrizione proposta dalla Banca con riferimento al periodo 18/12/1987-21/8/1991 (data di sottoscrizione della richiesta di concessione di fido);

secondo la ricorrente, la Corte di appello aveva errato rigettando la sua contro-eccezione di inapplicabilità della distinzione fra versamenti solutori e ripristinatori della provvista, che non poteva essere riferita a rapporti bancari instaurati in epoca anteriore all’entrata in vigore della normativa di cui alla L. n. 154 del 1992, (e cioè dal 9/7/1992) e al Testo Unico Bancario (dal 1/9/1993), come il conto corrente in questione, sorto il 18/12/1987, sino alla concessione del fido, avvenuta il 21/8/1991, epoca in cui non esisteva nell’ordinamento una norma di legge che prescrivesse la forma scritta per l’instaurazione di rapporti bancari e in particolare per l’apertura di credito; secondo la ricorrente non era stato considerato l’affidamento di fatto del conto corrente, dedotto dalla (OMISSIS) e agevolmente verificabile attraverso l’esame degli estratti conto, da cui si evinceva la stabilità e la non occasionalità del debito e l’entità del saldo passivo a carico del correntista, accompagnata dalla regolare esecuzione sistematica di tutti gli ordini impartiti dal correntista;

con il motivo la ricorrente censura l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione quanto alle rimesse ritenute “solutorie”, accolta anche per il periodo di tempo anteriore all’introduzione di vincolo di forma per i contratti di apertura di credito, nonostante la prova in atti di un contratto di apertura di credito, senza limite di importo, stipulato per/1cta concludentia;

da un lato e preliminarmente, come rileva la controricorrente, la (OMISSIS) non allega e non dimostra un interesse concreto e attuale alla propria eccezione in difetto di detrazione di rimesse, appunto, solutorie nel conteggio contenuto nella relazione di c.t.u., recepito dal Giudice in sentenza;

dall’altro, occorre tener conto dei principi elaborati in materia dalle Sezioni Unite di questa Corte;

dapprima con la sentenza n. 24418 del 02/12/2010, Rv. 615489 – 01, le Sezioni Unite hanno affermato che l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, che lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati; infatti, in questa ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, poichè il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del solvens con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’accipiens;

successivamente le Sezioni Unite (Sez. U, n. 15895 del 13/06/2019, Rv. 654580 – 01) hanno puntualizzato che in tema di prescrizione estintiva, l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte;

secondo la giurisprudenza della Corte, inoltre, è onere del cliente provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi lo specifico versamento da lui eseguito come mero ripristino della disponibilità accordata (Sez. 1, n. 2660 del 30/01/2019, Rv. 652622 – 01; Sez. 1, n. 27704 del 30/10/2018, Rv. 651326 – 01);

il giudice è comunque tenuto a valorizzare la prova della stipula di un contratto di apertura di credito purchè ritualmente acquisita, indipendentemente da una specifica allegazione del correntista, perchè la deduzione circa l’esistenza di un impedimento al decorso della prescrizione determinato da una apertura di credito, costituisce un’eccezione in senso lato e non in senso stretto (Sez. 1, n. 31927 del 06/12/2019, Rv. 656479 – 01);

tuttavia nella fattispecie sussiste una precisa e specifica affermazione della Corte territoriale, contenuta nel primo paragrafo di pagina 7 della sentenza impugnata, circa l’insufficienza della mera costante tolleranza del saldo debitore da parte della Banca a dimostrare la stipulazione di un contratto di apertura di credito, già posta a fondamento della decisione istruttoria assunta con ordinanza del 6-9/2/2012, con cui era stato confermato il quesito peritale formulato il 14-19/7/2011;

è bene tener presente che il contratto di apertura di credito, o fido, in conto corrente, comunemente anche detto “scoperto di conto”, comporta l’assunzione da parte della Banca dell’obbligazione di mettere a disposizione del cliente sul conto corrente una somma fino un importo massimo prestabilito, per un tempo determinato o indeterminato, e ha quindi un contenuto ben diverso dalla mera tolleranza di fatto degli sconfinamenti a debito da parte del cliente;

a fronte di tale precisa affermazione della sentenza impugnata la ricorrente, non ha indicato come e quando abbia dedotto, tempestivamente, nel giudizio di merito la rilevanza probatoria degli elementi di fatto posti a sostegno della diversa valutazione richiesta, che non sono stati trascritti, nè sintetizzati, ma semplicemente qualificati e commentati;

inoltre la ricorrente sostiene che dall’esame degli estratti conto dell’intero rapporto, complessivamente considerati, emergerebbe la prova del fatto controverso e negato dal giudice del merito, sollecitando questa Corte ad un improprio esame diretto dei mezzi di prova e alla formulazione di un giudizio di fatto, che non le compete;

pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di Euro 8.000,00 per compensi, 100,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

 

 

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