Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16276 del 16/07/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 16276 Anno 2014
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: MERCOLINO GUIDO

Data pubblicazione: 16/07/2014

pubblico – sospen

SENTENZA

sione dei lavori

sul ricorso proposto da
DI RENZO LUIGI, in qualità di titolare dell’omonima impresa di costruzioni, elettivamente domiciliato in Roma, alla via G. Pisanelli n. 4, presso l’avv. ANTONIO PALAMARA, unitamente agli avv. RENATO POTENTE e SALVATORE
DI PARDO, dai quali è rappresentato e difeso in virtù di procura speciale a margine del ricorso
RICORRENTE

contro
COMUNITA’ MONTANA DEL FORTORE MOLISANO, in persona del Commissario p.t., elettivamente domiciliata in Roma, alla via G. Ferrari n. 11, presso
l’avv. ALDO PINTO, unitamente all’avv. ANTONIO GUIDA, dal quale è rappresentata e difesa in virtù di procura speciale a margine del controricorso
CONTRORICORRENTE

ait4
39ALA
NRG 8212-09 Di Renzo-Com Pietracatella, Com Mont Fortore Molisano e Min Lavori Pubblici – Pag. 1

e
COMUNE DI PIETRACATELLA, in persona del Sindaco p.t., elettivamente domiciliato in Roma, alla via F. Innocenti n. 32, presso l’avv. MARIO MARIANO,

in virtù di procura speciale a margine del controricorso
CONTRORICORRENTE

e
MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI
INTIMATO

avverso la sentenza della Corte di Appello di Campobasso n. 37/08, pubblicata
1 1 11 febbraio 2008.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5 febbraio
2014 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Ignazio PATRONE, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.

L’ing. Luigi Di Renzo, in qualità di titolare dell’omonima impresa di co-

struzioni, convenne in giudizio la Comunità Montana del Fortore Molisano, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni causati dalla mancata cooperazione
all’adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto di appalto stipulato il
12 gennaio 1983 e dagli atti aggiuntivi del 13 maggio 1985 e del 28 settembre
1988, aventi ad oggetto la realizzazione della rete viaria nella zona destinata ad
insediamenti produttivi sulla fondovalle del Tappino, nel Comune di Pietracatella,
ed in subordine al pagamento dell’indennizzo dovuto per l’ingiustificato arricchimento.

NRG 8212-09 Di Renzo-Com Pietracatella. Com Mont Fortore Molisano e Min Lavori Pubblici – Pag. 2

unitamente all’avv. GIUSEPPE DE RUBERTIS, dal quale è rappresentato e difeso

A sostegno della domanda, espose che la durata dell’appalto aveva subito una
enorme dilatazione a causa della sospensione dei lavori illegittimamente disposta
dal 6 settembre 1990 al 13 ottobre 1998, in dipendenza dell’omessa integrale con-

variante e di un’ordinanza di sospensione emessa dal Sindaco di Pietracatella per
presunti illeciti urbanistico-edilizi.
1.1. — Si costituì la Comunità Montana, la quale eccepì la non imputabilità
delle cause della sospensione, chiedendo in via riconvenzionale la condanna
dell’attore al ripristino della piena funzionalità delle opere realizzate, rimaste incustodite e prive di manutenzione, nonché al risarcimento dei danni.
Nel corso del giudizio, fu autorizzata la chiamata in causa del Ministero dei
lavori pubblici, che in qualità di titolare originario dell’opera ne aveva affidato la
realizzazione alla Comunità Montana, e del Comune di Pietracatella, indicato quale responsabile della sospensione, i quali si costituirono, opponendo la prescrizione dell’azione di regresso e la responsabilità esclusiva della committente.
1.2. — Con sentenza del 17 settembre 2003, il Tribunale di Campobasso accolse parzialmente la domanda, condannando la Comunità Montana al pagamento
della somma di Euro 15.558,73, oltre interessi, a titolo di risarcimento dei maggiori oneri sopportati per la sospensione dei lavori nel periodo successivo al 26
luglio 1997; rigettò le altre domande dell’attore e la domanda di rivalsa proposta
dalla Comunità Montana, e condannò il Di Renzo a ripristinare la piena funzionalità delle opere realizzate.
2. — L’impugnazione proposta dalla Comunità Montana è stata rigettata dalla
Corte d’Appello di Campobasso, che con sentenza dell’il febbraio 2008 ha rigettato anche il gravame incidentale proposto dal Di Renzo.

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segna dell’area di sedime, della necessità di redigere ed approvare due perizie di

Premesso che i lavori erano stati sospesi dal Sindaco di Pietracatella perché
eseguiti in assenza di concessione, la Corte ha rilevato che, come riferito dallo
stesso attore, il procedimento penale promosso nei confronti del presidente della

cluso con sentenza di assoluzione, pronunciata dal Pretore di Larino in considerazione dell’avvenuto rilascio del visto di conformità urbanistica previsto dall’art. 81
del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, il quale escludeva la necessità della concessione
edilizia. Con nota del 6 dicembre 1994, il direttore dei lavori aveva pertanto sollecitato la revoca della sospensione, disposta dal Sindaco con provvedimento del 26
settembre 1997, a seguito della delibera adottata dalla Giunta comunitaria il 23
luglio 1997, con cui era stata riapprovata la seconda perizia di variante e suppletiva e dichiarata la pubblica utilità dell’opera, nonché del benestare rilasciato dal
settore sismico dell’Assessorato regionale.
Ciò posto, la Corte ha osservato, per quanto ancora rileva in questa sede, che
la riconducibilità della sospensione al provvedimento del Sindaco ne escludeva
l’imputabilità alla Comunità Montana, ritenendo irrilevante, a tal fine, il ritardo
con cui ne era stata disposta la revoca a seguito del giudicato penale, in quanto, in
una materia regolata da atti formali, l’eventuale diversità delle ragioni che avevano
determinato il mantenimento in vita del provvedimento, rispetto a quelle che ne
avevano giustificato l’adozione, sarebbe risultata inopponibile alla committente.
Quanto al danno subìto dall’attore per effetto della sospensione dei lavori nel
periodo successivo alla revoca del predetto provvedimento, la Corte ha ritenuto
non pertinente, ai fini del rimborso delle spese generali, il richiamo all’art. 20 del
regio decreto 25 maggio 1895, n. 350 ed alla giurisprudenza arbitrale, escludendo
la portata nomofilattica di quest’ultima ed osservando che la sospensione in esame

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Comunità Montana, del titolare dell’impresa e del direttore dei lavori si era con-

aveva fatto seguito ad un altro periodo di sospensione molto lungo, all’esito del
quale il cantiere era verosimilmente quasi smobilizzato. Ad analoghe conclusioni
è pervenuta con riguardo al vincolo del potenziale produttivo dell’impresa ed al

lità di un maggior impegno finanziario per effetto del prolungamento dei lavori, in
quanto non risultava l’esecuzione di ulteriori opere dopo il 6 settembre 1990. Ha
ritenuto meramente astratto il riferimento ai costi derivanti dal protrarsi dei vincoli delle polizze assicurative, ravvisando infine una mera clausola di stile nel richiamo alla rivalutazione monetaria ed agl’interessi, già liquidati nella sentenza di
primo grado.
3. — Avverso la predetta sentenza il Di Renzo propone ricorso per cassazione, articolato in due motivi. La Comunità Montana ed il Comune resistono con
controricorsi, illustrati con memorie. Il Ministero non ha svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. — Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 34 del capitolato generale d’appalto della Cassa per il Mezzogiorno, dell’art. 30 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 e dell’art. 116
cod. proc. civ., osservando che, nel ricondurre al . factum principis la sospensione
dei lavori, con la conseguente esclusione della responsabilità della committente, la
sentenza impugnata non ha tenuto conto della condotta negligente di quest’ultima.
Sostiene infatti che la Comunità Montana aveva omesso di comunicare al Comune
di Pietracatella sia la delibera del 12 aprile 1990, n. 2037, con cui la Giunta regionale aveva rilasciato il visto di conformità urbanistica, sia il successivo provvedimento con cui era stato segnalato l’inizio di alcune lavorazioni prima del rilascio
dell’autorizzazione di cui alla legge regionale 8 settembre 1986, n. 15. Premesso

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vincolo di impianti, macchinari ed attrezzature, escludendo inoltre la configurabi-

che la mancata comunicazione di tali provvedimenti aveva indotto il Comune a
ritenere i lavori ineseguibili per difetto della concessione edilizia, afferma che il
predetto adempimento non rientrava tra gli obblighi posti a carico dell’impresa

competenza esclusiva della stazione appaltante. Nell’escludere la responsabilità
della committente anche per il periodo di sospensione successivo alla sentenza
penale di assoluzione, la Corte di merito ha poi trascurato che il ritardo nella revoca delle ordinanze del Sindaco era stato determinato non già da una riserva
mentale di quest’ultimo, bensì dal ritardo nella redazione della variante tecnica e
suppletiva, alla cui approvazione la Comunità Montana era tenuta in adempimento
dei doveri di collaborazione e cooperazione derivanti dal contratto di appalto.
1.1. — A conclusione del predetto motivo, il ricorrente formula un complesso
quesito di diritto, con il quale, riassumendo le argomentazioni precedentemente
esposte, chiede a questa Corte di stabilire se possa ritenersi legittima, ai sensi delle norme invocate, una sospensione dei lavori disposta in conseguenza di provvedimenti resi da Autorità amministrative terze, quando tali provvedimenti siano riconducibili a negligenze e/o inadempimenti ascrivibili all’ente appaltante, e se, in
caso di cessazione delle ragioni che hanno dato luogo ad una sospensione dei lavori, il perdurare della stessa oltre i termini normativamente previsti possa ricondursi ad una responsabilità della stazione appaltante, quand’anche persistano
provvedimenti resi da Autorità amministrative terze.
Gl’interrogativi in tal modo proposti si sottraggono alla censura di genericità
sollevata dalla difesa del Comune, in quanto, recando una chiara indicazione dei
tratti essenziali della vicenda dedotta in giudizio e del principio di diritto di cui si
chiede l’enunciazione, dai quali può desumersi specularmente la ratio decidendi

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dall’art. 43, punto 35, del capitolato speciale d’appalto, trattandosi di un atto di

della sentenza impugnata, risultano più che sufficienti a sintetizzare la questione
giuridica sottoposta all’esame di questa Corte, la cui immediata individuazione
rappresenta la finalità specificamente perseguita dal legislatore attraverso l’intro-

ricorrente è tenuto a formulare nei casi previsti dall’art. 360, primo comma, nn. 14 cod. proc. civ. si pone infatti come il punto di congiunzione tra la risoluzione del
caso specifico e l’esercizio della funzione nomofilattica del Giudice di legittimità,
mirando a soddisfare al tempo stesso l’interesse della parte ad una decisione della
lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata e quello dell’ordinamento all’enucleazione di una regula juris suscettibile di applicazione in casi ulteriori (cfr. Cass., Sez. V, 7 marzo 2012, n. 3530; Cass., Sez. lav., 7 aprile 2009, n.
8463; Cass., Sez. III, 20 giugno 2008, n. 16803): esso, pertanto, pur non potendo
risolversi nella mera richiesta di accoglimento del motivo o in un generico interpello in ordine alla fondatezza degli argomenti addotti a sostegno delle censure,
deve costituire una chiara sintesi logico-giuridica della questione, formulata in
termini tali per cui dalla risposta negativa od affermativa che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del ricorso (cfr. Cass., Sez.
Un., 5 febbraio 2008, n. 2658; 28 settembre 2007, n. 20360; Cass., Sez. I, 24 novembre 2011, n. 24850). Qualora poi, come nella specie, il motivo d’impugnazione, pur prospettato in modo formalmente unitario, risulti in effetti articolato in una
pluralità di censure, attinenti ad aspetti diversi della vicenda presa in esame dalla
sentenza impugnata, sostanziandosi pertanto nella proposizione cumulativa di più
motivi, non nuoce alla predetta esigenza di chiarezza, potendo anzi contribuire a
soddisfarla in misura più ampia, la formulazione di tanti quesiti quanti sono i profili autonomi e differenziati in ordine ai quali si chiede a questa Corte di pronun-

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duzione del requisito di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ. Il quesito di diritto che il

ciarsi (cfr. Cass., Sez. Un., 9 marzo 2009, n. 5624; Cass., Sez. V., 28 giugno 2013,
n. 16345).
1.2. — Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa della Comunità Mon-

dell’ordinanza di sospensione dei lavori adottata dal Sindaco a causa della mancata comunicazione del visto di conformità urbanistica rilasciato dalla Regione, ma
la legittimità della sospensione dei lavori disposta dalla stessa Comunità a seguito
del predetto provvedimento, la cui riconducibilità all’inadempimento di un obbligo
gravante sulla committente impedisce, ad avviso del ricorrente, di ravvisare nella
ordinanza sindacale una causa di forza maggiore idonea ad escludere la responsabilità della controricorrente per il ritardo nello svolgimento dei lavori.
Non può pertanto condividersi il rilievo secondo cui le censure sollevate dal
ricorrente mirano ad introdurre nel giudizio una questione di diritto nuova rispetto
a quella prospettata nelle precedenti fasi di merito, nelle quali era stata fatta valere
esclusivamente l’illegittimità della sospensione disposta dalla stazione appaltante:
indipendentemente dalla considerazione che l’improponibilità di nuove questioni
giuridiche in sede di legittimità opera esclusivamente con riguardo alla prospettazione di questioni di diritto che implichino nuovi accertamenti o apprezzamenti in
fatto (cfr. Cass., Sez. 1, 26 marzo 2012, n. 4787; 14 ottobre 2005, n. 20005; Cass.,
Sez. lav., 3 marzo 2004, n. 4334), si osserva che gl’interrogativi proposti in questa
sede riflettono una problematica specificamente affrontata dalla sentenza impugnata: quest’ultima, infatti, pur dando atto che in sede penale era stata esclusa la
necessità della concessione edilizia, il cui mancato rilascio aveva costituto il presupposto della sospensione dei lavori disposta dal Sindaco, ha ritenuto che l’intervento dell’Autorità preposta alla vigilanza in materia edilizia impedisse di ravvisa-

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tana, la questione sollevata con il motivo in esame non ha ad oggetto la legittimità

re una responsabilità della Comunità Montana, alla quale non poteva essere ascritto alcun inadempimento, in considerazione della conformità delle opere alla disciplina urbanistica, attestata dall’avvenuto rilascio del relativo visto da parte della

1.3. — Precisato in tal modo l’oggetto delle censure prospettate dal ricorrente,
risulta inconferente l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa del
Comune, secondo cui l’accertamento dell’illegittimità dell’ordinanza sindacale avrebbe dovuto essere richiesto al Giudice amministrativo.
In quanto proposta per la prima volta in sede di legittimità, l’eccezione deve
peraltro ritenersi inammissibile, ponendosi in contrasto con la pronuncia adottata
dal Giudice di primo grado in ordine al merito della pretesa avanzata dal ricorrente, la cui mancata impugnazione per difetto di giurisdizione, comportando la formazione del giudicato implicito in ordine alla relativa questione, ne esclude la rilevabilità d’ufficio nelle successive fasi processuali e la proponibilità in cassazione
(cfr. Cass., Sez. Un., 22 aprile 2013, n. 9693; Cass., Sez. lav., 20 marzo 2013, n.
6966; Cass., Sez. III, 28 settembre 2011, n. 19792).
1.4. — Quanto invece alla sospensione dei lavori disposta dalla Comunità
Montana a seguito dell’ordinanza emessa dal Sindaco di Pietracatella, è opportuno
premettere che, pur essendo la stessa rivestita delle forme dell’atto amministrativo,
l’accertamento della sua illegittimità è devoluto alla giurisdizione del Giudice ordinario, trattandosi di un provvedimento attinente all’esecuzione del contratto
d’appalto, in relazione al quale, diversamente da quanto accade per quelli riguardanti la fase ad evidenza pubblica che precede la stipulazione del contratto, le posizioni soggettive del privato non assumono la consistenza di interessi legittimi,
ma quella di diritti soggettivi inerenti ad un rapporto di natura privatistica (cfr.

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Regione.

Cass., Sez. Un., 14 giugno 2006, n. 13690).
In riferimento alla disciplina della sospensione dettata dall’art. 30 del d.P.R.
16 luglio 1962, n. 1063 per gli appalti di opere di competenza del Ministero per i

Cassa per il Mezzogiorno), questa Corte ha chiarito che, ai fini del riconoscimento
di una causa di forza maggiore, in presenza della quale resta escluso il diritto
dell’appaltatore a qualsiasi compenso o indennizzo, non è di per sè sufficiente che
l’Amministrazione committente si limiti ad allegare, invocandone la forza cogente, il mero fatto obiettivo dell’intervento di un provvedimento emesso da un’altra
Autorità che abbia impedito la prosecuzione dei lavori, ma occorre che essa dimostri anche la propria assenza di colpa in riferimento alla determinazione dell’evento, che ha reso impossibile l’adempimento dell’obbligo, posto a suo carico, di assicurare all’appaltatore la possibilità di realizzare l’opera affidatagli, ovvero provi la
non imputabilità delle relative cause, sulla base dell’imprevedibilità, inevitabilità e
non superabilità delle stesse, alla stregua dello sforzo dovuto secondo l’ordinaria
diligenza (cfr. Cass., Sez. I, 20 agosto 2003, n. 12235; 25 febbraio 1971, n. 491).
Nella specie, la causa di forza maggiore che ha impedito la prosecuzione dei
lavori è stata individuata dalla Corte di merito nell’ordinanza adottata il 6 settembre 1990, con cui il Sindaco di Pietracatella ne dispose la sospensione, avendo accertato che per le opere commissionate dalla Comunità Montana all’impresa del
ricorrente non era stata preventivamente rilasciata la concessione edilizia; risulta
dalla sentenza impugnata che tale provvedimento fu poi revocato con ordinanza
del 26 settembre 1997, a seguito della conclusione del procedimento penale promosso nei confronti del Presidente della Comunità Montana, del titolare dell’impresa e del direttore dei lavori, nel quale era stato accertato che la concessione non

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lavori pubblici (analoga a quella dettata dall’art. 34 del capitolato generale della

era necessaria, trattandosi di opere per le quali era sufficiente il visto di conformità urbanistica previsto dall’art. 81 del d.P.R. n. 616 del 1977, regolarmente rilasciato dalla Regione. Sulla base di tale ricostruzione dei fatti, non contestata in

to, la quale ha escluso la responsabilità della Comunità Montana, in virtù dell’osservazione che le cause della sospensione non erano alla stessa imputabili, costituendo tale provvedimento una conseguenza necessaria di quello adottato dal Sindaco, ed avendo essa assicurato la conformità delle opere commissionate alla disciplina urbanistica. L’avvenuto rilascio del visto da parte della Regione, accertato
in sede penale, comprovando l’adempimento da parte della Comunità Montana
dell’obbligo di assicurare la possibilità giuridica e materiale della realizzazione
delle opere affidate all’appaltatore, consente infatti di ascrivere esclusivamente al
Sindaco la sospensione dei lavori, avuto riguardo all’insussistenza dei presupposti
per l’adozione della relativa ordinanza ed al dovere dell’Amministrazione di ottemperarvi prontamente mediante l’assunzione dei conseguenti provvedimenti
nell’ambito del rapporto di appalto.
Ininfluente, ai fini dell’affermazione della responsabilità della committente,
deve ritenersi la mancata comunicazione al Sindaco dell’avvenuto rilascio del visto di conformità urbanistica, trattandosi di un provvedimento del quale l’Amministrazione comunale non poteva risultare completamente all’oscuro, dal momento
che l’art. 81 del d.P.R. n. 616 del 1977, nel disciplinare il procedimento per la sua
adozione, prevedeva anche il coinvolgimento degli enti locali interessati, primo
fra tutti evidentemente il Comune nel territorio del quale doveva sorgere l’opera
pubblica, e la cui ignoranza non era comunque ascrivibile alla Comunità Montana,
ma alla Regione, in qualità di ente competente all’emanazione dell’atto. E’ invece

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questa sede, non meritano censura le conclusioni cui è pervenuta la Corte di meri-

inammissibile la censura riflettente la violazione dell’obbligo di provvedere alla
denuncia prevista dalla legge regionale n. 15 del 1986 prima dell’inizio dei lavori,
trattandosi di una questione coinvolgente un accertamento di fatto, che non risulta

de, essendosi il ricorrente limitato ad indicare il documento prodotto in giudizio
dal quale risultava l’inosservanza di tale obbligo, senza precisare la fase processuale e l’atto in cui l’inadempimento è stato fatto valere (cfr. Cass., Sez. lav., 28 luglio 2008, n. 20518; Cass., Sez. I, 31 agosto 2007, n. 18440). Correttamente, infine, la sentenza impugnata ha escluso la possibilità di addebitare alla Comunità
Montana il ritardo con cui il Sindaco dispose la revoca della sospensione a seguito
del passaggio in giudicato della sentenza penale con cui fu esclusa la sussistenza
dell’illecito urbanistico, non essendo stata accertata la sussistenza di un nesso eziologico tra il predetto ritardo ed il compimento degli adempimenti indicati dal
ricorrente, la cui efficacia ostativa alla prosecuzione dei lavori, come ha rilevato la
Corte di merito, non avrebbe potuto comportare un implicito mutamento delle ragioni poste a fondamento dell’ordinanza sindacale, ma avrebbe dovuto essere fatta
risultare da un apposito provvedimento.
2. — Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta l’omissione e/o l’insufficienza della motivazione, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha
negato il risarcimento dei maggiori oneri sostenuti da essa ricorrente per il fermo
delle attrezzature di cantiere, le spese generali e quelle di guardiania e manutenzione, nonché degli oneri derivanti dalla protrazione delle garanzie e del mancato
utile determinato in via presuntiva. Premesso che la fattispecie in esame è disciplinata dal capitolato generale della Cassa per il Mezzogiorno e dal d.P.R. n. 1063
del 1962, che non prevedevano criteri specifici ai fini della liquidazione del danno

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trattata nella sentenza impugnata, e non può quindi trovare ingresso in questa se-

derivante dalla sospensione dei lavori, sostiene che, pur non avendo carattere vincolante, la giurisprudenza arbitrale avrebbe potuto fornire utili indicazioni al riguardo, soprattutto in considerazione della mancata nomina di un c.t.u.: essa, in-

dell’impresa, ha chiarito che l’organo giudicante può liquidare le somme dovute
anche secondo equità.
2.1. — Il motivo è inammissibile, non essendo corredato da una distinta sintesi conclusiva, recante, come prescritto dal secondo periodo dell’art. 366-bis cod.
proc. civ., la chiara indicazione dei fatti controversi in relazione ai quali si lamenta l’omissione o la contraddittorietà della motivazione, ovvero delle ragioni per le
quali la dedotta insufficienza della stessa la rende inidonea a giustificare la decisione. Il ricorrente si è infatti limitato a denunciare l’omissione, l’insufficienza e la
contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata con riferimento ad
una pluralità di profili dell’accertamento in essa contenuto, astenendosi però dal
far precedere o seguire il motivo d’impugnazione da un momento di sintesi (omologo al quesito di diritto prescritto dal primo periodo dell’art. 366-bis cit. per il caso in cui vengano fatti valere vizi riconducibili all’art. 360, primo comma, nn. 1-4)
idoneo a circoscrivere puntualmente i limiti delle censure proposte, e ad evitare
quindi che la formulazione del ricorso ingeneri incertezze in sede di valutazione
della sua ammissibilità e fondatezza (cfr. Cass., Sez. Un., 1° ottobre 2007, n.
20603; Cass., Sez. lav., 25 febbraio 2009, n. 4556; Cass., Sez. III, 7 aprile 2008, n.
8897). L’indicazione prescritta dall’art. 366-bis, pur non essendo soggetta a rigidi
canoni formali, postula che in una parte del motivo o comunque del ricorso a ciò
specificamente e riassuntivamente destinata la parte enuclei, dal complesso delle
argomentazioni svolte a sostegno della censura, il fatto al cui accertamento la

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fatti, pur precisando che l’onere della prova del danno risarcibile è a carico

stessa si riferisce e le ragioni che la sorreggono, in modo da consentire di individuare idu ()culi la questione sottoposta all’esame del Giudice di legittimità (cfr.
Cass., Sez. III, 30 dicembre 2009, n. 27680; Cass., Sez. lav., 25 febbraio 2009, n.

nella specie, tale individuazione non costituisca oggetto di un’opera di puntualizzazione compiuta dallo stesso ricorrente, ma sia possibile soltanto attraverso la
lettura integrale della complessiva illustrazione del motivo, configurandosi pertanto come il risultato di un’attività interpretativa rimessa al lettore.
3. — Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P .Q .M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna Di Renzo Luigi, in qualità titolare dell’omonima impresa, al pagamento in favore della Comunità Montana del Fortore
Molisano e del Comune di Pietracatella delle spese processuali, che si liquidano
per ciascuno dei controricorrenti in complessivi Euro 7.200,00, ivi compresi Euro
7.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2014, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile

4556, cit.). Quest’esigenza non può quindi ritenersi soddisfatta allorquando, come

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