Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16271 del 26/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 26/07/2011, (ud. 23/06/2011, dep. 26/07/2011), n.16271

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25 B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, rappresentata e difesa

dall’avvocato TODARO ANTONIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

S.R., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA TARQUINIA

5-D (STUDIO Avv. MARIA LUISA FALLA TRELLA), presso lo studio

dell’avvocato RIOMMI MAURIZIO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MICHELI CARLO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 119/2007 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 03/04/2007 r.g.n. 460/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/06/2011 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega TODARO ANTONIO;

udito l’Avvocato GALLEANO SERGIO per delega RIOMMI MAURIZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Perugia, con sentenza del 13.4.2007, rigettava il gravarne proposto dalla spa Poste Italiane avverso la sentenza del Tribunale di Spoleto che, ritenuta ingiustificata la causale apposta al contratto a termine stipulato dall’appellante con S. R., in data (OMISSIS) (“esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi”, ex art. 8 ccnl 26.11.1994), per avere gli accordi attuativi dell’art. 8 ccnl 26 11.1994 previsto quale termine finale per procedere alle assunzioni quello del 30.4.1998 ed essendo, pertanto, venuta meno successivamente la contrattazione autorizzatoria, aveva condannato la società al pagamento delle retribuzioni globali di fatto dalla data di messa in mora.

Propone ricorso per cassazione, con quattro motivi, la società, che ha anche depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c…

Resiste con controricorso la S..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la società ricorrente deduce la violazione e l’erronea applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 1362 c.c. e segg. nonchè l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Asserisce la natura non negoziale, ma meramente ricognitiva del fenomeno della ristrutturazione e riorganizzazione aziendale in atto, degli accordi successivi a quello del 25.9.1997, rilevando che la norma contrattuale non deve necessariamente avere una efficacia temporale e che assume significato, a fini interpretativi, anche il comportamento complessivo delle parti posteriore alla conclusione dei patto collettivo oggetto di interpretazione, aggiungendo che occorreva pertanto verificare unicamente la permanenza del fenomeno di ristrutturazione invocato a fondamento dell’apposizione del termine. Pone, a conclusione della parte argomentativa del motivo, specifico quesito domandando se in virtù della delega in bianco contenuta nella L. n. 56 del 1987, art. 23 l’autonomia sindacale investita di funzioni paralegislative non incontra limiti ed ostacoli di sorta nella tipologia dei nuovi contratti a termine in relazione alle ipotesi che ne legittimano la conclusione per cui gli accordi successivi a quello del 25.9.1997 non hanno natura negoziale, ma meramente ricognitiva, e se la norma contrattuale debba necessariamente prevedere una specificazione della causale collettiva in una causale individuale.

Rileva, con il secondo motivo di impugnazione, che l’interpretazione del contratto deve essere condotta non fermandosi al senso letterale delle espressioni usate, dovendo valutarsi il comportamento delle parti anche successivo alla conclusione del contratto e pone quesito.

domandando se il sistema delineato dalla legge preveda la necessità che – ove le nuove ipotesi di contratto a termine siano dotate di particolare ampiezza tale da capovolgere il rapporto tra la regola generale del assunzione a tempo indeterminato e l’assunzione a termine – la norma contrattuale debba necessariamente avere una efficacia temporale limitata.

Con il terzo motivo, senza denunziare il corrispondente vizio della decisione, assume che la domanda, quanto alle richieste economiche, non era stata supportata da alcun elemento probatorio idoneo a soddisfare il precetto di cui all’art. 2697 c.c. e che, peraltro, la Corte territoriale aveva ignorato il principio della corrispettività della prestazione, in forza del quale il ricorrente avrebbe avuto diritto alle retribuzione solo dal momento dell’effettiva ripresa del servizio e domanda, a conclusione della parte espositiva, se. attesa la natura sinallagmatica del rapporto di lavoro ed in applicazione del principio generale di effettività e di corrispettività delle prestazioni, sia dovuta o meno l’erogazione del trattamento retributivo pur in assenza di attività lavorativa e se tale erogazione abbia natura retributiva o risarcitoria.

Infine, denuncia la omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, rilevando che il confermato risarcimento avrebbe dovuto essere determinato tenendo anche conto della possibilità che il lavoratore abbia espletato attività lavorativa retribuita da terzi una volta cessato il rapporto con la società ricorrente. Assume la intervenuta violazione del disposto di cui all’art. 210 c.p.c., e dell’art. 421 c.p.c. e rileva che le istanze istruttorie formulate erano state immotivatamente disattese dalla Corte territoriale. Domanda, se, nel caso di oggettiva difficoltà della parte ad acquisire precisa conoscenza degli elementi sui quali fondare la prova a supporto delle proprie domande o eccezioni – aliunde perceptum -, il giudice debba valutare le richieste probatorie con minor rigore rispetto all’ordinario, ammettendole ogni volta che le stesse possano comunque raggiungere un risultato utile ai fini della certezza processuale e rigettandole solo quando gli elementi somministrati dal richiedente risultino invece insufficienti ai fini dell’espediente richiesto.

I primo ed il secondo motivo di ricorso – che vanno trattati congiuntamente per riguardare questioni connesse – vanno respinti.

Osserva il Collegio che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato; per esigenze eccezionali . . – ai sensi dell’art. 8 ccnl del 1994. come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998.

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettalo da questa Corte (con riferimento ai sistema vigente anteriormente al ccnl del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de quo.

Al riguardo, sulla scia di Cass. SU 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data a datore di lavoro di procedere ad assunzioni a, tempo determinato” (v. Cass, 4-8-2008 n. 21063, v.

anche Cass. 20-4-2006 n. 9245. Cass, 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7- 2004 n 14011). “Ne risulta quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nei sistema da questa delineato.” (v , fra le altre.

Cass, 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con raccordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l, 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza, della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminata in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass, 28-11-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n- 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass 18378/2006 cit.) In base a tale orientamento consolidato ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr . Cass. 29-7-2005 n. 15969, Cass. 21-3-2007 n. 6703), va, quindi, confermata la declaratoria di nullità del termine apposto ai contratto de quo.

Quanto al terzo motivo, deve affermarsene la inammissibilità, atteso che il relativo quesito risulta dei tutto generico e astratto, mancando qualsiasi riferimento all’errore di diritto pretesamente commesso dai giudici nel caso concreto esaminato.

Pure il quarto motivo si conclude con quesito non correttamente formulato, oltre che per le ragioni già indicate con riferimento al precedente di cui al n. 3, anche per la sua parziale estraneità alle argomentazioni sviluppate nell’esposizione dei corrispondente motivo di ricorso.

Infine, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la società ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010.

Orbene, a prescindere dalla problematica relativa alla possibilità di ricomprendere tra i giudizi pendenti cui il comma 7 della citata norma applica i precedenti commi 5 e 6 anche il giudizio di cassazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nei giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr, Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n 4070; Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto e la soccombenza della società costituisce valido motivo per porre le spese di lite del presente giudizio a carico della stessa.

P.Q.M.

La Corte così provvede:

rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 40,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per onorario oltre spese generali IVA e Cpa come per legge.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2011

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