Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1627 del 27/01/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 1627 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: CARRATO ALDO

compravendita
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 2695/’08) proposto da:
BENATTI ELISABETTA (C.F.: BNT LBT 65H54 F205B), rappresentata e difesa, giusta
procura speciale alle liti conferita con scrittura privata autenticata nella firma per notar
Taddeo (rep. n. 12664), dall’ Avv. Raffaella Pirrotta ed elettivamente domiciliata presso lo
studio dell’Avv. Claudio Romano, in Roma, Via Sabotino, n. 46;
– ricorrente –

contro
INCARBONA PAOLO (C.F.: NCR PLA 73E18 G273T) e CECCHIN TIZIANA PAOLA
(C.F.: CCC TNP 77H61 F205G), rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in calce
al controricorso, dagli Avv.ti Daniela Rossi e Francesco Braschi ed elettivamente
domiciliati presso lo studio del secondo, in Roma, Viale Parioli, n. 180;

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Data pubblicazione: 27/01/2014

- controricorrenti e
Avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 2820/2007, depositata il 24 ottobre
2007 e notificata il 30 novembre 2007;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 26 novembre 2013 dal

uditi gli Avv.ti Antonio De Simone (per delega) nell’interesse della ricorrente e Piero
Biasotti (per delega) nell’interesse dei controricorrenti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Luigi
Salvato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 2 marzo 2002 i sigg. Cecchin Maria Tiziana ed Incarbona Paolo
– sul presupposto che il secondo aveva stipulato un contratto preliminare di
compravendita con la sig.ra Benatti Elisabetta relativo ad un appartamento sito in
Rozzano (fraz. Quinto De Stampi), v. Arno 24 e poiché la promittente venditrice aveva
consegnato loro l’immobile soltanto in data 11 settembre 2001 anziché nella precedente
data del 10 luglio 2001 — convenivano la stessa Benatti dinanzi al Tribunale di Milano per
l’ottenimento del risarcimento dei danni conseguente all’indicato inesatto adempimento
consistito nella tardiva consegna del bene. Nella costituzione della convenuta, il
Tribunale adito, con sentenza n. 11192 del 2004, rigettava la proposta domanda,
regolando le spese in base al principio della soccombenza.
Interposto appello da parte degli originari attori e nella costituzione dell’appellata, la
Corte di appello di Milano, con sentenza n. 2820 del 2007 (depositata il 24 ottobre 2007),
in riforma dell’impugnata decisione ed in accoglimento del gravame, condannava la
Benatti al pagamento, in favore degli appellanti, della somma, a titolo risarcitorio, di euro

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Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

2.579,00, oltre interessi e rivalutazione, nonché alla rifusione delle spese di entrambi i
gradi di giudizio.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte meneghina ravvisava la fondatezza
dell’appello sul presupposto che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di prime
cure, la clausola riportata al n. 7 del contratto preliminare dedotto in controversia non

bensì considerandola nel suo complesso alla stregua dei principi della buona fede e
dell’affidamento riposto dal promissario acquirente, ragion per cui la stipula del rogito e la
consegna dell’immobile sarebbero dovuti intervenire entro il termine del 10 luglio 2001.
La Benassi impugnava la citata sentenza (non notificata) con ricorso per cassazione
notificato il 23 gennaio 2008, articolato in tre motivi, al quale gli intimati resistevano con
controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per assunta
violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c., in ordine
all’interpretazione del contratto preliminare stipulato “inter partes” in data 16 settembre
2000, con particolare riguardo all’art. 7 che testualmente recitava: “l’atto definitivo di
intestazione della proprietà sarà stipulato dal notaio dott. Cesare Cantù presso la sede
prescelta dall’istituto mutuante entro e non oltre il 10 luglio 2001. La consegna
dell’abitazione ed il relativo rogito saranno vincolati alla consegna della nuova abitazione
della sig.ra Benatti Elisabetta, che dovrà avvenire entro maggio 2001”. A corredo di tale
motivo i ricorrenti hanno formulato — ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (“ratione temporis”
applicabile, essendo stata la sentenza impugnata pubblicata il 24 ottobre 2007) — il
seguente quesito di diritto: “accerti la S.C. se vi sia stata violazione e falsa applicazione
degli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c. in ordine all’interpretazione del contratto preliminare

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avrebbe potuto essere interpretata separando i due periodi in cui essa si articolava,

stipulato “inter partes” in data 16 settembre 2000, con particolare riguardo all’art. 7 di
detto contratto”.
2 Con il secondo motivo i ricorrenti hanno dedotto l’omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione sul punto decisivo della controversia, riguardante l’entità dei danni
riconosciuti in capo ai sigg. Incarbona e Cecchin, chiedendo (peraltro sotto forma di

3 Con il terzo motivo i ricorrenti hanno prospettato la violazione e falsa dell’ad. 2697 c.c.
in ordine alla dimostrazione della natura ed entità dei danni patiti dai sigg. Cecchin ed
Incarbona, indicando — ai sensi dell’ad. 366 bis c.p.c. — un quesito di diritto speculare
all’intitolazione della doglianza.
4. Ritiene il collegio che, nel caso in questione, tutti i motivi proposti con il ricorso non
rispondono all’osservanza del requisito di ammissibilità previsto dall’ad. 366 bis c.p.c.
(introdotto dal d. Igs. n. 40 del 2006 e “ratione temporis” applicabile nella fattispecie ai
sensi dell’ari. 58, comma 5, della legge n. 69 del 2009, vertendosi nell’ipotesi di ricorso
avverso sentenza ricadente nell’ambito di applicabilità dell’indicato d. Igs., siccome
pubblicata il 24 ottobre 2007: cfr. Cass. n. 26364/2009 e Cass. n. 6212/2010).
Sul piano generale, infatti, occorre rilevare (cfr., ad es., Cass. n. 4556/2009) che l’art.
366-bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in
cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo,
una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in
presenza dei motivi previsti dai numeri 1, 2, 3 e 4 dell’ad. 360, comma 1, c.p.c., ovvero
del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna
censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui
enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’ari. 384
c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dicta” giurisprudenziali su
questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui al
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quesito) a questa Corte l’accertamento di tale vizio.

n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione
impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve
concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al
quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le
quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.

inoltre, ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto non può essere implicitamente
desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, né può consistere o essere ricavato dalla
semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla
fattispecie, poiché una simile interpretazione si sarebbe risolta nell’abrogazione tacita
della suddetta norma codicistica), deve escludersi che la ricorrente si sia attenuta alla
rigorosa previsione scaturente dal citato art. 366 bis c.p.c., poiché:
– con riferimento al primo motivo implicante la deduzione della supposta violazione degli
artt. 1362, 1363 e 1367 c.c. la ricorrente ha provveduto all’indicazione di un quesito
assolutamente generico e tautologico (ponente riferimento all’erronea interpretazione
della volontà delle parti in ordine al contratto preliminare stipulato il 16 settembre 2000,
con particolare riguardo all’art. 7 dello stesso), la cui formulazione non risulta certamente
idonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di
diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (v., tra le
tante, Cass. n. 7197/2009);
– con riguardo al secondo motivo, riferito ad un’assunta omissione, insufficienza o
contraddittorietà della motivazione circa l’entità dei danni riconosciuti e liquidati a favore
delle controparti, mancano, del tutto, sia la necessaria e chiara esposizione del fatto
controverso – in relazione al quale si è dedotto che la motivazione era da ritenersi
omessa o contraddittoria – sia la indispensabile sintesi delle ragioni per le quali la
prospettata insufficienza motivazionale rendeva inidoneo il percorso logico seguito dal
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Ciò posto, alla stregua della uniforme interpretazione di questa Corte (secondo la quale,

giudice di appello allo scopo di giustificare la decisione (risultando, invero, riportato un
inammissibile ed assolutamente generico “quesito” sulla sussistenza o meno del vizio
motivazionale);
– con riferimento al terzo motivo implicante la deduzione della supposta violazione e falsa
applicazione dell’art. 2697 c.c. (avuto riguardo alla dimostrazione della natura ed entità

assolutamente apodittico e generico, con il quale si ripete, in effetti, la rubrica della
dedotta censura.
In ogni caso, il collegio rileva che, con la prima censura, la ricorrente ha inteso, in effetti,
contrapporre inammissibilmente una propria interpretazione a quella compiuta — in modo
non implausibile – dalla Corte territoriale (fondata sulla valorizzazione del tenore
complessivo della clausola riportata al n. 7 del contratto preliminare intercorso tra le parti,
inquadrato alla luce del principio di buona fede e del legittimo affidamento riposto dal
promissario acquirente), mentre con le altre due censure la Benatti si è, essenzialmente,
lamentata, in modo assertivo, dell’erroneità della quantificazione dei danni, in ordine alla
quale, tuttavia, la Corte milanese ha adottato una motivazione logica e sufficiente,
avendo valutato sia in 42 giorni l’indisponibilità dell’alloggio sia il contenuto delle fatture
prodotte, affermando, in particolare, che le spese di trasloco riguardavano il trasporto dei
mobili dall’abitazione degli appellanti al deposito.
5. In definitiva, alla stregua delle esposte ragioni, il ricorso deve essere integralmente
respinto, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo sulla scorta dei nuovi
parametri previsti per il giudizio di legittimità dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140
(applicabile nel caso di specie in virtù dell’art. 41 dello stesso
17405 del 2012).
P.Q.M.
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D.M.: cfr. Cass., S.U., n.

dei danni patiti dai sigg. Cecchin ed lncarbona), risulta riportato un quesito di diritto

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, liquidate in complessivi euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre
accessori nella misura e sulle voci come per legge.

Così deciso nella camera di consiglio della 2″ Sezione civile in data 26 novembre 2013.

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