Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16269 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/07/2020, (ud. 05/06/2020, dep. 30/07/2020), n.16269

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 32342-2018 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 281, presso lo studio dell’avvocato NICOLA ROMANO, che lo

rappresenta e difende, con procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappres. p.t.;

– intimata –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di LIVORNO, depositata il

01/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/06/2020 dal Consigliere relatore, Dott. ROSARIO

CAIAZZO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con ordinanza del 16.11.18, il Tribunale di Livorno respinse l’opposizione allo stato passivo proposta da G.M. avverso il decreto emesso dal giudice delegato del fallimento della “(OMISSIS)” s.r.l. che non aveva ammesso al passivo il credito relativo al t.f.r. fatto valere dal ricorrente per l’attività lavorativa svolta alle dipendenze della suddetta società.

In particolare, il Tribunale rilevò che il credito era prescritto e che i documenti prodotti non erano idonei ad interrompere il decorso del termine prescrizionale in quanto privi di data certa in considerazione dell’inopponibilità al fallimento dell’attestazione del legale rappresentante della società in bonis di ricezione delle richieste di pagamento del t.f.r. contenute negli stessi documenti.

Il G. ricorre in cassazione con due motivi, illustrati con memoria.

Il giudice designato ha formulato la proposta ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

RITENUTO

CHE:

Con il primo motivo si denunzia violazione falsa applicazione degli artt. 2704 e 1219 c.c., avendo il Tribunale erroneamente escluso che le lettere di costituzione in mora firmate per ricevuta dal legale rappresentante della società poi fallita avessero valore di atti interruttivi del termine di prescrizione, in quanto prive di data certa opponibile al fallimento.

Al riguardo, il ricorrente, evidenziato come i documenti esaminati dalla corte di merito esprimessero chiaramente la volontà di esercitare il proprio diritto di credito, si duole che tali atti di costituzione in mora non siano stati considerati opponibili al curatore fallimentare, osservando che la posizione di terzo di quest’ultimo rispetto al soggetto fallito potrebbe semmai rendergli inopponibili atti o comportamenti negoziali del fallito, non quelli di altri soggetti.

Con il secondo motivo il ricorrente si duole altresì che la questione della mancanza di data certa sia stata rilevata d’ufficio dal giudice delegato (non essendosi costituita la curatela fallimentare) in violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, e art. 183 c.p.c., perchè non sottoposta al contraddittorio tra le parti.

Il primo motivo del ricorso è manifestamente infondato. Invero, premesso che non è qui in discussione il contenuto degli atti di costituzione in mora bensì solo la loro tempestiva ricezione da parte della società poi fallita, si osserva che la Corte d’appello ha rettamente ritenuto che la qualità di terzo rivestita dal curatore nel procedimento di accertamento del passivo non consente di rendergli opponibili le attestazioni del legale rappresentante della società fallita di ricezione delle dichiarazioni di costituzione in mora prodotte dalla odierna ricorrente quali atti interruttivi della prescrizione, e che quindi, mancando la prova della data certa di ricezione di tali atti a norma dell’art. 2704 c.c., la prescrizione non può dirsi efficacemente interrotta. Il ricorrente oppone non utilmente un principio (l’inopponibilità cui il provvedimento impugnato ha fatto riferimento riguarderebbe i soli documenti provenienti dal fallito, non quelli provenienti da terzi) che si mostra comunque non pertinente alla fattispecie in esame, perchè nella specie le dichiarazioni di ricezione delle richieste provengono per l’appunto dal legale rappresentante della società fallita.

Il secondo motivo è inammissibile perchè, in tema di ricorso per cassazione, la censura concernente la violazione dei “principi regolatori del giusto processo” e cioè delle regole processuali ex art. 360 c.p.c., n. 4, deve avere carattere decisivo, cioè incidente sul contenuto della decisione e, dunque, arrecante un effettivo pregiudizio a chi la denuncia (Cfr. Cass., n. 26087/19 e n. 22341/17). E, nella specie, nessun pregiudizio al proprio diritto di difesa ha specificamente prospettato il ricorrente; nè può comunque considerarsi tale l’impedimento alla produzione di ulteriori elementi dai quali evincere la data certa della ricezione dei già ricordati atti di costituzione in mora, tenendo conto che nel giudizio di opposizione, a differenza del sub-procedimento di verifica dei crediti cui fa riferimento, all’opponente è preclusa (L. Fall., ex art. 99), la produzione di altri documenti e la formulazione di istanze istruttorie in corso di causa.

Nulla per le spese, attesa la mancata costituzione della parte contro ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

 

 

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