Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16269 del 30/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 30/06/2017, (ud. 15/02/2017, dep.30/06/2017),  n. 16269

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. PROTO Cesare A. – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6122-2012 proposto da:

C.L. (OMISSIS), CO.LU. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avv. ANTONIO ORLANDO;

– ricorrenti –

contro

co.fi. C.F.(OMISSIS), NELLA QUALITA’ DI EREDE UNIVERSALE DI

S.D.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avv. FRANCESCO FIERRO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 12/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/02/2017 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO ROSARIO GIOVANNI che ha concluso per il rigetto del ricorso e

per la condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

All’esito del doppio grado di merito d’una causa avente ad oggetto svariate e contrapposte domande negatoriae servitutis tra L.S., attore e proprietario di un appartamento condominiale in Monte di Procida, e C.L. e Lu., convenuti e proprietari di un fabbricato confinante, la lite residua limitatamente alla condanna di questi ultimi ad arretrare due terrazzini alla distanza prescritta dall’art. 907 c.c..

In particolare, l’impugnata sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 12/2011, nel confermare la condanna disposta dal giudice di primo grado, ha osservato che la domanda di L.S. diretta alla rimozione delle vedute a distanza non regolamentare implicava necessariamente l’allegazione del diritto dell’attore a tenere aperture proprie vedute dirette sul fondo di proprietà C.. Non a caso, proseguiva la Corte, contestato tale diritto dai convenuti. l’attore aveva – eccepito a sua volta l’usucapione della servitù di veduta quale mera esplicazione dello ius in re aliena posto a base della domanda. Inoltre, la formulazione di quest’ultima era talmente ampia da includere entrambi i terrazzini di proprietà convenuta (primo e secondo piano).

Per la cassazione di tale sentenza Livia e Luciano C. propongono ricorso affidato a quattro motivi, successivamente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.depositata fuori termine.

Resiste con controricorso co.fi., quale erede di Antonietta S.D.M., erede a sua volta di L.S..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo deduce la violazione o falsa applicazione art. 112 c.p.c. e artt. 905 e 907 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e carente motivazione, in quanto la corte territoriale avrebbe errato: a) nell’applicare l’art. 907 c.c. in luogo dell’art. 905 c.c., disposizione che, invece, doveva ritenersi fosse stata invocata dall’originario attore, lì dove questi aveva lamentato l’apertura da parte dei C. di “vedute a distanza non regolamentare dalla proprietà dell’istante”; con la conseguenza, nella specie, che la veduta esercitata dal terrazzino posto al secondo piano dell’edificio C. rispetta la distanza dal confine della proprietà dell’attore; e h) nell’estendere il proprio giudizio anche al terrazzino sito al primo piano, giacchè, nella prospettazione attorea, soltanto sopraelevando il loro edificio i C. avrebbero realizzato delle vedute non “regolamentari”.

2. – Il secondo motivo allega, in subordine, la violazione o falsa applicazione dell’art. 907 c.c. e art. 163 c.p.c., comma 2, n. 4, nonchè l’omessa e insufficiente motivazione, poichè l’attore non aveva neppure dedotto l’esistenza di vedute legittime, nè domandato od eccepito l’usucapione del diritto di mantenere quelle presenti.

3. – Il terzo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 110 c.p.c., in quanto co.fi. nel costituirsi nel giudizio d’appello non aveva dato prova di essere erede di S.D.M.A..

4. – Col quarto motivo parte ricorrente espone la violazione o falsa applicazione dell’art. 1158 c.c. e art. 116 c.p.c., nonchè il vizio di contraddittorietà ed insufficienza motivazionale, poichè la Corte territoriale avrebbe errato nel considerare provata l’usucapione della servitù di veduta. Lamenta, in particolare, che la Corte d’appello non abbia tenuto in alcun conto l’elemento documentale. in particolare la planimetria catastale dell’immobile di proprietà L., datata 1.10.1987, nella quale non figurava alcuna finestra della camera da letto. Contesta la valutazione operata dalla Corte distrettuale sulle deposizioni dei testi di parte attrice, ritenuti ora ininfluenti, ora contrastanti, ora addirittura corroboranti la tesi difensiva dei convenuti. Deduce che, invece, i testi di parte convenuta abbiano confermato che solo nel 1986 L.S. trasformò l’apertura lucifera del bagno in finestra, e che. ad ogni modo, l’attore, su cui incombeva il relativo onere probatorio, non abbia dimostrato la dedotta servitù di veduta.

5. – Il primo ed il secondo motivo, da esaminare congiuntamente per la loro consecuzione, sono infondati.

La prima censura non considera che la domanda, quando se ne discuta non l’esistenza ma il contenuto (uno piuttosto d’un altro). è oggetto d’interpretazione che spetta esclusivamente al giudice del merito, la cui statuizione, ancorchè erronea, non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione dovesse ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato la erroneità di quella motivazione, sicchè, in tal caso, il dedotto errore non si configura come error in procedendo, ma attiene al momento logico dell’accertamento in concreto della volontà della parte (cfr. Cass. nn. 1545/16 e 17451/06).

Accertamento la cui illogicità resta, nella specie, del tutto indimostrata, poichè da un lato è carente l’allegazione di parte, che non trascrive in maniera idonea il contenuto della domanda, limitandosi ad estrapolarne solo tre righi, insondato e insondabile tutto il resto; dall’altro, la sentenza impugnata ha condivisibilmente affermato (richiamandosi a Cass. n. 15907/00) che la domanda va interpretata non solo nella sua formulazione letterale, ma anche nel suo contenuto sostanziale, avendo riguardo alle finalità perseguite dalla parte, sicchè un’istanza non espressa può ritenersi implicitamente formulata se in rapporto di connessione con il petitum e la causa petendi, senza però estenderne l’ambito di riferimento.

Da tale premessa la Corte di merito ha tratto, in maniera del tutto logica e consequenziale – e con ciò si passa all’esame della seconda censura -, che nella specie la domanda, nel lamentare l’apertura da parte convenuta di “vedute a distanza non regolamentare e nel chiedere il ripristino dello stato dei luoghi e il risarcimento del danno, lungi dal rappresentare una mera situazione di fatto, implicava necessariamente l’allegazione del diritto dell’attore a tenere aperte sul confine vedute dirette sul fondo di proprietà C..

A ciò va aggiunto, a confutazione ulteriore del motivo ed a parziale correzione della motivazione (ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c.), che così interpretata e ricondotta l’azione proposta al paradigma normativo dell’art. 907 c.c., l’acquisto della veduta da parte dell’attore non costituisce “eccezione” ma elemento costitutivo di una domanda autodeterminata, elemento di cui è necessaria la prova piuttosto che un’autonoma allegazione.

6. – Anche il terzo motivo non ha pregio.

Infatti, il soggetto che si costituisce in giudizio come successore a titolo universale di una delle parti ha l’onere di provare detta qualità ed il fatto che non vi siano altri eredi, tuttavia il mancato adempimento di tale onere, ove nessuna contestazione sul punto sia stata svolta dalla controparte nelle udienze successive alla costituzione e neppure in sede di conclusioni, non può essere denunciato per la prima volta in sede di legittimità (Cass. n. 3112/99).

7. – Il quarto motivo è inammissibile.

Lungi dal dimostrare un deficit di logicità intrinseca dell’ordito motivazionale, la censura mira a sollecitare ad opera di questa Corte un inammissibile sindacato di merito sulla controversia. prospettandone (non l’illegittima, ma) l’errata decisione, in punto di fatto. circa l’esistenza della servitù di veduta dell’attore.

8. – Il ricorso va dunque respinto.

9. – Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza dei ricorrenti, in solido tra loro.

10. – Non ricorrono le condizioni per la condanna di questi ultimi per responsabilità aggravata, come richiesto dal Procuratore generale, non ravvisandosi nella proposizione del ricorso un atteggiamento soggettivo di colpa grave.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, alle spese, che liquida in Euro 3.200,00, di cui 200,00 per esborsi. oltre spese forfettarie nella misura del 50% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2017

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