Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16268 del 03/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 03/08/2016, (ud. 12/02/2016, dep. 03/08/2016), n.16268

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1713-2014 proposto da:

M.K., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PIETRO

SGARBI giusta procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), PREFETTURA – UTG DELLA PROVINCIA DI

MACERATA;

– intimati –

avverso la sentenza N. 311/2012 del GIUDICE DI PACE di MACERATA del

7/06/2011, depositata L’11/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/02/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che è stato depositata la seguente relazione in ordine al procedimento civile iscritto al R.G. 1713/2014 “Il ricorrente, cittadino del Bangladesh, veniva attinto da un decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Macerata in data 30.01.12.

Avverso tale provvedimento presentava opposizione, ex D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 8, dinanzi al Giudice di Pace di Macerata.

Quest’ultimo, con sentenza n. 311 del 2012, respingeva il ricorso alla luce delle seguenti considerazioni:

– l’opposto decreto è esente da vizi formali e sostanziali;

– quanto esposto in ricorso non trova conferma in atti, nella documentazione prodotta unitamente al ricorso nè in diritto atteso che giustamente il Prefetto ha emesso il decreto opposto ai sensi e per gli effetti del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. c) avendo il ricorrente violato il cit. D.Lgs., art. 13, comma 4, lett. a);

– la permanenza in Italia non è prevista per il caso in cui il cittadino extracomunitario sia stato colpito da provvedimento di diniego del permesso di soggiorno come accaduto nel caso di specie con provvedimento notificatogli il 14.07.11;

– l’istante è stato colpito da diversi procedimenti penali per reati ostativi al rinnovo del permesso di soggiorno quali il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e falsità ideologica, condannato in data 01.12.2010 dal Gip presso il Tribunale di Macerata ex D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 3;

– va riconosciuta in capo al cittadino straniero, ex D.Lgs. 159 del 2011, la pericolosità sociale, desunta oggettivamente da una condotta delittuosa reiterata che non gli consentirebbe di avere un permesso di soggiorno nello Stato italiano;

– “il provvedimento… impugnato è stato tradotto nelle lingue veicolari, il che garantisce a sufficienza il cittadino extracomunitario per quanto riguarda il suo diritto di difesa, tanto che ha presentato il ricorso de quo”.

Avverso la pronuncia del Giudice di Pace ha proposto ricorso per cassazione M.K., affidandosi ad un unico articolato motivo:

1. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (art. 5, comma 5 in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9 – D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, commi 2, 3, 4, 7 – D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 – L. n. 241 del 1990 – L. n. 1423 del 1956, art. 1) nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Evidenzia il ricorrente come tanto il provvedimento prefettizio quanto la sentenza del Giudice di Pace siano privi di un adeguato supporto motivazionale. Il Giudice avrebbe confermato un provvedimento di fatto contenente un mero richiamo a disposizioni di legge asseritamente confacenti al caso di specie e un generico (ed erroneo) richiamo a vari procedimenti penali che vedrebbero coinvolto l’interessato, attraverso una sentenza altrettanto immotivata, poichè costituita da mere clausole di stile prive di contenuto concreto in ordine ai presupposti per l’emissione del provvedimento, alla violazione dell’art. 13, comma 4, lett. a), alla pericolosità sociale dello straniero ed al rispetto dell’obbligo di traduzione da parte dell’Autorità amministrativa. Lamenta, pertanto, la violazione tanto della normativa generale quanto di quella specifica che obbliga la P.A. a motivare, concretamente, i propri provvedimenti.

Si duole, inoltre, dell’omessa valutazione complessiva della propria posizione personale (lavorativa, familiare), della mancata verifica della durata del proprio soggiorno in Italia, dell’effettività dei vincoli familiari, dell’esistenza di legami familiari e sociali in patria ed infine della concretezza ed attualità della pericolosità sociale, evidenziando come nel ricorso introduttivo tali circostanze fossero stato oggetto di specifica doglianza. Lamenta, sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, la mancata considerazione di elementi, quali il riconoscimento delle attenuanti generiche da parte del Gup di Macerata in considerazione della propria incensuratezza nonchè della sospensione condizionale, che avrebbero dovuto portare il Giudice di prime cure ad escludere la sussistenza e/o comunque l’attualità della pericolosità sociale.

Evidenzia, altresì, che i vari “episodi di reato” citati dal Prefetto ai fini della sussistenza della pericolosità sociale sono relativi a tre procedimenti pendenti relativi a fatti intercorsi tra il 2002 ed il 2008 e, pertanto, non attuali. La mancata valutazione di tutte le circostanze rilevanti nel caso di specie si estende, inoltre, alla situazione familiare del ricorrente (padre di due figli nati sul territorio italiano), come argomentato nel ricorso introduttivo del giudizio. La situazione personale del ricorrente avrebbe potuto portare al rilascio di un permesso di soggiorno “per motivi familiari” e/o comunque “umanitari” (in relazione alle condizioni socio-politiche del Bangladesh). Ne deriverebbe, pertanto, la violazione delle norme citate in rubrica stante la mancata valutazione e istruttoria da parte della P.A. e l’omessa pronuncia del Giudice di pace sulle doglianze di parte ricorrente.

Viene, inoltre, censurata la scelta di optare per l’accompagnamento coattivo alla frontiera in luogo della concessione di un termine per la partenza volontaria, mancando nel caso di specie concreti motivi di allarme sociale e/o potenziale pericolo di fuga dell’interessato soggiornante in Italia unitamente alla di lui famiglia ormai da 15 anni. Da ultimo, viene sottolineata l’illegittimità del decreto di espulsione per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7 poichè non tradotto in lingua conosciuta dal ricorrente. La traduzione in lingua veicolare dimostra come lo straniero non conoscesse la lingua italiana (perlomeno scritta). Tale circostanza – non rappresentando la lingua veicolare nè la lingua madre nè una lingua conosciuta dallo straniero -avrebbe compromesso il diritto di difesa dell’odierno ricorrente (per di più accompagnato nelle immediatezze alla frontiera). Sul punto la motivazione del Giudice di Pace appare inesistente e di fatto costituita da una mera clausola di stile.

Si ritiene, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso nella parte in cui viene dedotta l’illegittimità del decreto di espulsione (sotto un profilo di carenza motivazionale e violazione di legge) in riferimento alla pericolosità sociale dell’espellendo e, più in generale, alla erronea/mancata valutazione della sua posizione personale. Si rileva, in particolare, che nonostante il provvedimento del Giudice di Pace non brilli certo per chiarezza, è dato comunque ricavare dal medesimo come il decreto di espulsione trovi il suo fondamento in un provvedimento di diniego del permesso di soggiorno.

A pag. 2 del provvedimento in parola si legge, infatti, quanto segue: “la permanenta in Italia non è prevista nel caso in cui il cittadino extracomunitario sia stato colpito da provvedimento di diniego del permesso di soggiorno come accaduto nel caso di specie con provvedimento notificatogli il 14.07.2011”. Chiarita, dunque, la ragione dell’emissione del provvedimento prefettizio, non resta che evidenziare come le doglianze di parte ricorrente dovevano tutt’al più focalizzarsi sui motivi del diniego del permesso di soggiorno ed andavano proposte dinanzi all’autorità giurisdizionalmente competente, ovverosia davanti al giudice amministrativo (v. Cass. 20331/2013).

Peraltro, sempre dal provvedimento del Giudice di Pace, emerge che lo straniero si è già rivolto al Tar (“veniva rigettata l’istanza di sospensione del provvedimento di espulsione dal Tar delle Marche Fg. (OMISSIS) del 16.09.2011”).

Si ritiene, tuttavia, la manifesta fondatezza del ricorso laddove viene dedotta l’illegittimità del decreto di espulsione per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, poichè non tradotto in una lingua conosciuta dal destinatario. Si evidenzia, preliminarmente, che secondo la più recente giurisprudenza di legittimità in materia di traduzione del decreto di espulsione “è nullo il provvedimento di espulsione… tradotto in lingua veicolare per l’affermata irreperibilità immediata del traduttore nella lingua conosciuta dallo straniero, salvo che l’amministrazione non affermi e il giudice ritenga plausibile, l’impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dallo straniero per la sua rarità ovvero l’inidoneità di tal testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta” (Cass. n. 3676 del 2012).

Orbene, nel caso di specie, l’utilizzo di una lingua veicolare non appare giustificato da alcuna delle predette ragioni, essendo il destinatario del provvedimento originario del Bangladesh”.

Il collegio aderisce alla relazione e per l’effetto cassa il provvedimento impugnato decidendo nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, annulla il provvedimento di espulsione condannando la Prefettura di Macerata in persona del legale rappresentante pro tempore al pagamento delle spese processuali del giudizio di merito, in applicazione del principio di soccombenza.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, annulla il provvedimento di espulsione condannando la Prefettura di Macerata in persona del legale rappresentante pro tempore al pagamento delle spese processuali del giudizio di merito, da liquidarsi in Euro 600,00 per compensi ed Euro 100,00 per spese e Euro 1.200,00 per compensi ed Euro 100 per esborsi per il presente giudizio, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2016

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