Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16264 del 10/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 10/06/2021, (ud. 18/03/2021, dep. 10/06/2021), n.16264

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9082-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.B.C., M.A.J., elettivamente

domiciliati in ROMA, VICOLO ORBITELLI 31, presso lo studio

dell’avvocato MICHELE CLEMENTE, rappresentati e difesi dall’avvocato

GIOVANNI LAURIOLA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 42/2014 della COMM. TRIB. REG. MARCHE,

depositata il 17/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/03/2021 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

 

Fatto

RITENUTO

che:

Con sentenza n. 42/2/14, depositata il 17/2/2014, la Commissione Tributaria Regionale delle Marche rigettava l’appello dell’Agenzia delle Entrate avverso la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Ascoli Piceno, con compensazione delle spese di lite, avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di rettifica e liquidazione, notificato a M.A.J. e M.B.C., con il quale l’Agenzia delle Entrate, ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale, sulla base delle diverse valutazioni OMI, dei valori di riferimento di strutture similari della zona rilevate da riviste specializzate di agenzie immobiliari, nonchè di quelli attribuiti a fini espropriativi ai terreni agricoli della zona dalla Regione Marche, aveva rideterminato in Euro 200.000,00 il valore venale in commercio del compendio immobiliare costituito da due fabbricati ex rurali in stato di abbandono e circostante terreno agricolo, oggetto di compravendita al dichiarato prezzo di Euro 100.000,00.

La CTR, a conferma della decisione di primo grado, la quale aveva accolto parzialmente il ricorso dei contribuenti e ridotto, all’esito di c.t.u., il valore accertato dall’Ufficio, portandolo a quello di Euro 108.000,00, rilevava che tale importo era quello più “aderente alla realtà”, tenuto conto che gli immobili avevano una “scarsa appetibilità, atteso che uno dei fabbricati (il n. 2), a causa delle dimensioni e delle sue cattive condizioni, risultava di difficile utilizzo e/o trasformazione, situazione questa di notevole rilievo ai fini della commerciabilità dell’intero compendio”, e che l’appellante non aveva, di contro, contrastato le conclusioni peritali con “concrete argomentazioni con specifico riferimento al procedimento che il consulente ha seguito per la valutazione del compendio immobiliare”, e con riferimento al fabbricato n. 2, essendosi l’Agenzia delle Entrate “limitata ad osservare, tautologicamente, che, allora, tale porzione di fabbricato sarebbe stata regalata (così a pag. 6 dell’appello)”.

Avverso la sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui i contribuenti hanno resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata e denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ritenendo che il giudice di appello non ha correttamente interpretato ed applicato le norme richiamate, avendo l’Ufficio legittimamente utilizzato il criterio residuale di stima basato sugli elementi in suo possesso, come peraltro esplicitato nella motivazione dell’atto impositivo, mentre i contribuenti non ne avevano adeguatamente confutato la valenza probatoria, per cui il giudice di prime cure avrebbe dovuto respingere l’originario ricorso, in quanto non fondato, senza dare ingresso alla diversa valutazione degli immobili mediante nomina di un consulente tecnico d’ufficio.

Con il secondo motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ritenendo che il giudice di appello ha omesso di operare una valutazione critica della prima decisione, essendo oggetto di censura, da parte dell’appellante, la “introduzione surrettizia di un elemento di prova a sostegno di un fatto contestato dall’Ufficio”, avuto riguardo alla c.t.u. arbitrariamente disposta dal giudice di primo grado.

Con il terzo motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ritenendo che la sentenza impugnata è viziata perchè sorretta da una “motivazione meramente apparente” che non consente di comprendere l’iter logico seguito dal giudice di appello, il quale si è limitato a richiamare le conclusioni peritali.

Con il quarto motivo, censura la sentenza impugnata, denunciando la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 e 1992, art. 15, degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ritenendo che il giudice di appello non ha correttamente regolato le spese di lite, le quali andavano opportunamente compensate anche in relazione al primo grado di giudizio.

Le censure sono infondate e vanno disattese per le ragioni di seguito esposte.

Quanto alla prima, appare indiscutibile il potere/dovere del giudice tributario di merito di pronunciarsi sul quantum della pretesa impositiva, della quale abbia ritenuto provato l’an, anche mediante l’espletamento di una c.t.u., considerato che “Il processo tributario è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente, sia dell’accertamento dell’Ufficio, sicchè il giudice, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte.” (tra le tante, Cass. n. 18777/2020).

Ciò detto, resta fermo che la legittimità formale dell’atto è cosa diversa dalla sua fondatezza nel merito, la quale dipendente dall’assolvimento da parte dell’Amministrazione creditrice dell’onere probatorio che su di essa grava in ordine alle circostanze che, poste a fondamento dell’avviso di rettifica, siano state contestate dal contribuente, cose che, nel caso di specie, è avvenuto in modo niente affatto generico, avuto riguardo, in particolare, alle oggettive (cattive) condizioni dei fabbricati alle quali non può essere negato rilievo ai fini della corretta individuazione del valore venale in comune commercio dei beni immobili.

Quanto alla seconda censura, la decisione della CTP di Ascoli Piceno che, in parziale accoglimento della domanda, aveva ridotto la pretesa impositiva, anzichè confermarla integralmente, è stata condivisa dalla CTR delle Marche, essenzialmente, perchè gli elementi di natura presuntiva utilizzati dall’Ufficio per pervenire alla valutazione degli immobili oggetto del rogito di compravendita presentato alla registrazione non coglievano l’effettivo valore di mercato dei beni, in ragione delle loro specifiche caratteristiche, ubicazione e condizioni, elementi viceversa considerati dal consulente tecnico d’ufficio, il quale aveva proceduto alla puntuale descrizione dei beni medesimi “in modo del tutto aderente alla realtà”, e ne aveva evidenziata “una scarsa appetibilità”, soprattutto con riguardo ad uno dei fabbricati (il n. 2) che per “dimensioni” e “cattive condizioni, risultava di difficile utilizzo e/o trasformazione, situazione questa (ritenuta) di notevole rilievo ai fini della commerciabilità dell’intero compendio”, che era stato oggetto di vendita “a corpo” al prezzo complessivo di Euro 100.000,00, rettificato dall’esperto in Euro 107.500.000, importo poi arrotondato dal primo giudice ad Euro 108.000,00 (“verosimilmente per accedere ai rilevi dell’Ufficio”).

E’, dunque, al difetto di specificità delle censure oggetto del gravame erariale, in punto di correttezza della stima peritale, che la sentenza impugnata fa riferimento, e l’Agenzia delle Entrate insiste a porre una questione di oneri probatori senza evidenziare, neppure in questa sede di legittimità, in che modo la consulenza tecnica d’ufficio abbia concretamente travalicato la sua natura di mezzo (non di prova) istruttorio volto ad ausiliare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti di specifiche conoscenze, e sia stata, invece, indebitamente utilizzata in funzione di mezzo di prova, per acquisire la dimostrazione di un fatto che la parte gravata del relativo onere avrebbe dovuto e potuto provare.

La ricorrente, nel motivo d’impugnazione, non solo non individua in che modo il consulente d’ufficio, svolgendo le indagini o le ulteriori attività di ausiliare del giudice, abbia trasformato la sua funzione da deducente a percipiente (peraltro non a priori necessariamente illegittima: cfr. Cass. 03/07/2020, n. 13736), ma neppure chiarisce in che modo abbia illegittimamente sollevato i contribuenti dall’onere della prova, deduzione quest’ultima che mal si concilia con il consolidato principio, già innanzi ricordato, secondo cui, in tema di imposta di registro, adempiuto l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento di maggior valore mediante l’enunciazione del criterio astratto in base al quale è stato rilevato il maggior valore di un bene, con le specificazioni che si rendano in concreto necessarie per consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa e per delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, resta riservato all’Ufficio, in questa fase, l’onere di fornire la prova della sussistenza in concreto dei presupposti per l’applicazione del criterio prescelto, essendo il contribuente onerato di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri, cosa appunto che si è verificata nella esaminata fattispecie avendo il giudice di merito ritenuto necessario procedere a consulenza d’ufficio (tra le tante, Cass. n. 11560/2016).

Quanto alla terza censura, è appena il caso di ricordare che, in generale, non è carente di motivazione la sentenza che recepisca per relationem le conclusioni ed i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito, ancorchè si limiti a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini esperite e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione (Cass. n. 4352/2019).

E’ stato anche precisato che diversa è l’ipotesi – che, per quanto già detto, è stata esclusa dal giudice del gravame – in cui alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori, ed in tal caso il giudice del merito, per non incorrere nel vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione (Cass. n. 15417/2018; Cass. n. 2671/2020; in motivazione, al punto 8; Cass. n. 7701/2018; Cass. n. 20178/2017; Cass. n. 12703/2015).

In ordine alle modalità di denuncia del preteso vizio di motivazione, questa Corte ha affermato che “In tema di ricorso per cassazione, per infirmare, sotto il profilo della insufficienza argomentativa, la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice “a quo”, e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità.” (Cass. n. 11482/2016; Cass. n. 19427/2017).

Nel caso di specie, viene a torto evocato l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, laddove il percorso logico-giuridico che ha condotto il giudice di secondo grado a respingere l’appello erariale traspare dall’affermazione che il complesso probatorio (i valori OMI ed i dati di zona rilevati da un’agenzia immobiliare riferibili a strutture similari) portato dall’Ufficio non è idoneo a supportare la congruità della stima di maggior valore, trattandosi di elementi indiziari in grado di fornire solo indicazioni di massima, le quali non hanno retto alle contestazioni dei contribuenti, basate sulla non contestata sussistenza di concreti elementi di valutazione sfavorevoli, mentre rispetto alla prospettata incoerenza della stima operata dall’esperto nominato dal primo giudice con riguardo al fabbricato di maggiore superficie, “di difficile utilizzo e/o trasformazione”, attinge piuttosto al merito della decisione.

Quanto alla quarta e ultima censura, deve farsi applicazione del principio secondo cui, in tema di spese processuali, il sindacato della corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite; e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di gravi ed eccezionali ragioni. (Cass. n. 8421/2017; Cass. n. 13229/2011).

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 4.000,00 per compensi e Euro 200,00 per spese, oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 18 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2021

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