Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16262 del 28/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 28/06/2017, (ud. 19/04/2017, dep.28/06/2017),  n. 16262

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10179-2016 proposto da:

CEV CENTRO ENERGIA VITERBO SRL, SU IN LIQUIDAZIONE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA MONTE SANTO 68, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA

FONSI, rappresentata e difesa dagli avvocati RENATO ARSENI, ANTONIO

ARSENI;

– ricorrente –

contro

AGINZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALI DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5407/09/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARLA

REGIONALE di ROMA, depositata il 19/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/04/2017 dal Consigliere Dott. MANZON ENRICO.

Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del

Presidente e del Relatore.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

Con sentenza in data 24 settembre 2015 la Commissione tributaria regionale del Lazio respingeva l’appello proposto da C.E.V. – Centro Energia Viterbo spa avverso la sentenza n. 552/1/14 della Commissione tributaria provinciale di Viterbo che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento IRAP, IVA 2007. La CTR osservava in particolare che l’apparato indiziario emergente dall’attività di verifica fiscale era tale, come ritenuto dal primo giudice, da far considerare fondata la pretesa creditoria portata dall’atto impositivo impugnato.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo un motivo unico.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

La ricorrente ha presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

Con l’unico articolato mezzo proposto – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3/4, – la ricorrente lamenta il mancato esame/la mancata valutazione da parte della CTR della sentenza penale di proscioglimento, perchè il fatto non sussiste, dei propri amministratori/dirigenti e dei soci amministratori/dirigenti della società terza fatturante in ordine al reato di emissione/utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti emessa dal Tribunale di Viterbo, denunciando la correlativa violazione dell’art. 2697 c.c., art. 115 c.p.c., comma 1, art. 116 c.p.c., comma 1, art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 111 Cost..

La censura è infondata.

Vanno anzitutto ribaditi i seguenti principi di diritto:

– che “Nel processo tributario, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula “perchè il fatto non sussiste”, non spiega automaticamente efficacia di giudicato, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta sentenza è destinata ad operare” (Sez. 5, Sentenza n. 10578 del 22/05/2015, Rv. 635637 – 01);

– che “Nel contenzioso tributario, la sentenza penale irrevocabile intervenuta per reati attinenti ai medesimi fatti su cui si fonda l’accertamento degli uffici finanziari rappresenta un semplice elemento di prova, liberamente valutabile in rapporto alle ulteriori risultanze istruttorie, anche di natura presuntiva” (Sez. 5, Sentenza n. 2938 del 13/02/2015, Rv. 634894 – 01);

– che “In materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorchè i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 4, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sè inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perchè il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario” (Sez. 5, Sentenza n. 8129 del 23/05/2012, Rv. 622685 – 01);

– che “Nel processo tributario, l’efficacia vincolante del giudicato penale di assoluzione del legale rappresentante della società contribuente per insussistenza del reato di esposizione di elementi passivi fittizi mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, non opera automaticamente per i fatti relativi alla correlata azione di accertamento fiscale nei confronti della società, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto di quella testimoniale il D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a fondare una pronuncia penale di condanna. Pertanto, stante l’evidenziata autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c., deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto corretto l’operato del giudice tributario che, nonostante il giudicato penale di assoluzione, ha dato conto che nell’accertamento della indeducibilità dei costi afferenti ad operazioni soggettivamente inesistenti, opposti elementi indiziari permettevano altresì di negare la stessa esistenza oggettiva di tali operazioni, come le risultanze del processo verbale di constatazione, le informative attestanti la non operatività della società straniera destinataria degli esborsi, l’irregolare tenuta della contabilità della contribuente, l’assenza di contratti scritti per prestazioni professionali di terzi e la non autenticità delle relative sottoscrizioni apposte su documenti)” (Sez. 5, Sentenza n. 19786 del 27/09/2011, Rv. 619306 – 01).

La sentenza impugnata, che pure ha dato atto della esistenza del giudicato penale oggetto del mezzo proposto, ha poi correttamente applicato tutti detti principi di diritto consolidatisi nella giurisprudenza di questa Corte, valorizzando in fatto le prove contrarie rivenienti dalle indagini fiscali e quindi statuendo nel merito insindacabilmente in questa sede.

In particolare va rilevato che, come incontestatamente puntualizzato dall’agenzia fiscale controricorrente, le fatture considerate nella sentenza penale di assoluzione sono soltanto una minima parte di quelle complessivamente oggetto della ripresa fiscale (circa Euro 20.000 su Euro 577.000) e che comunque la CTR ha preso in considerazione proprio le fatture oggetto del giudicato penale, così implicitamente valutandolo, secondo i citati pertinenti arresti giurisprudenziali, ed esprimendo un giudizio di merito che appunto non può essere oggetto di valutazione ulteriore in questa sede.

Va in ogni caso escluso che la motivazione della sentenza impugnata sia mancante ovvero rientri nelle ipotesi di “mera apparenza”, sì da integrare il vizio di cui all’ ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, superando senz’altro il testo argomentativo in esame il “minimo costituzionale” (cfr. SU 8053/2014).

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.600 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2017

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