Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16261 del 29/07/2020

Cassazione civile sez. un., 29/07/2020, (ud. 18/12/2018, dep. 29/07/2020), n.16261

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente di Sez. –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23995/2017 proposto da:

ENEL GREEN POWER S.P.A., società soggetta a direzione e

coordinamento di Enel s.p.a., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO

BERTOLONI 44, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE DE VERGOTTINI,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO DEI COMUNI DELLA VALLE D’AOSTA – BACINO IMBRIFERO MONTANO,

in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato

e difeso dall’avvocato GIANNI MARIA SARACCO;

– controricorrente –

e contro

FEDERAZIONE NAZIONALE DEI CONSORZI DI BACINO IMBRIFERO MONTANO –

FEDERBIM;

– intimata –

avverso la sentenza n. 115/2017 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 31/05/2017.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/12/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO.

 

Fatto

RITENUTO

che la spa Enel Green Power convenne dinanzi al TRAP presso la Corte d’appello di Torino il Consorzio dei Comuni della Valle d’Aosta – Bacino imbrifero montano, per ottenere l’accertamento negativo della pretesa creditoria da tale ente vantata, con richiesta del 15 marzo 2013, in relazione al sovracanone inerente a due impianti idroelettrici, la centrale di ponte (OMISSIS) e la centrale di (OMISSIS).

che in primo luogo eccepì l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 137, della legge di stabilità 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228), avente ad oggetto l’estensione dei sovracanoni idroelettrici già previsti con una legge del 1953; lamentò l’infondatezza della pretesa vantata dal Consorzio, denunciando plurimi vizi del procedimento amministrativo.

che il consorzio convenuto eccepì il difetto di giurisdizione del Tribunale delle Acque, a favore della Commissione tributaria, sul rilievo del carattere di prestazione patrimoniale imposta del sovracanone; dedusse la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale e chiese il rigetto della domanda;

che intervenne, aderendo nel merito alla posizione del convenuto, la Federazione nazionale dei Consorzi di Bacino Imbrifero Montano – FEDERBIM;

che il Tribunale di primo grado dichiarò manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale proposta dall’attrice, respinse l’eccezione di difetto di giurisdizione proposto dal Consorzio, e rigettò la domanda dell’attrice;

che il Tribunale superiore delle Acque pubbliche, adito in appello dalla spa Enel Green Power, nel contraddittorio col Consorzio appellato e con la FEDERBIM ha rigettato l’appello;

che ha in primo luogo ritenuto infondata l’eccezione di difetto di giurisdizione, a favore del giudice tributario, sulla base della ritenuta natura tributaria del sovracanone BIM – che pure ha natura di prestazione imposta di carattere tributario -, riconducendo quest’ultimo alla disciplina contenuta nel R.D. n. 1775 del 1933, art. 140, lett. c), a tenore del quale appartengono alla giurisdizione del Tribunale delle Acque “le controversie aventi ad oggetto qualunque diritto relativo alle derivazioni e utilizzazione di acqua pubblica”.

che ha poi ritenuto infondati i motivi di merito e manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale.

che nei confronti della decisione la spa Enel Green Power ha proposto ricorso per cassazione; resiste con controricorso il Consorzio dei Comuni della Valle d’Aosta – Bacino Imbrifero Montano.

che il ricorso per cassazione è stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

che tanto l’Enel Green Power che il Consorzio dei Comuni hanno depositato memoria in prossimità della Camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che la legge di stabilità 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228), dell’art. 1, comma 137, dispone che “AI fine di consentire la prosecuzione degli interventi infrastrutturali da parte dei Comuni e dei bacini imbriferi montani, i sovracanoni idroelettrici, previsti ai sensi della L. 27 dicembre 1953, n. 959, art. 1, sono estesi con decorrenza dal 10 gennaio 2013 a tutti gli impianti di produzione di energia idroelettrica superiori a 220 kw di potenza nominale media, le cui opere di presa ricadano in tutto o in parte nei territori dei Comuni compresi in un bacino imbrifero montano già delimitato”;

che in via pregiudiziale, la ricorrente propone eccezione di incompatibilità col diritto dell’UE e richiesta di disapplicazione dell’art. 1, comma 137, della legge di stabilità 2013, per violazione dell’art. 17 della Carta di Nizza e degli artt. 101 e 102 T.F.U.E., sostenendo, in proposito, che con l’estensione del sovracanone si sarebbe realizzato un illegittimo pregiudizio delle libertà economiche del concessionario e dei principi in materia di concorrenza, in ragione di una sopravvenuta e non prevista maggiore onerosità dell’attività, laddove l’affidamento di un operatore accorto del settore riposava su una disciplina consolidata in circa sessant’anni di applicazione. Di talchè si sarebbe verificata una sorta di confisca dei margini di profitto del concessionario con ingiustificato raddoppio dei costi impositivi, peraltro già di per se stessi molto superiori a quelli sopportati da altre imprese del settore operantiYdiversi Paesi membri;

che in via ulteriormente pregiudiziale, la ricorrente ripropone questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 137, della legge di stabilità 2013, per violazione: a) degli artt. 3,23,53,41 Cost. (circa i profili tributari); b) degli artt. 3,41 Cost. e art. 117 Cost., comma 1 (circa i profili di onerosità sopravenuta e di legittimo affidamento); c) dell’art. 119 Cost. (circa il federalismo fiscale);

che nel merito la ricorrente censura la sentenza impugnata denunciando: a) violazione di norme di diritto sostanziali (dell’art. 1, comma 137, della legge di stabilità 2013 e art. 12 preleggi), per aver erroneamente ritenuto che il sovracanone sia dovuto dal concessionario a prescindere dal presupposto di esigibilità indicato dalla legge (motivo 1); violazione di norme di diritto processuali (art. 132 c.p.c., comma 4, in relazione all’art. 1, comma 137, della legge di stabilità 2013), per aver formulato una motivazione apparente sulla ritenuta insindacabilità della finalizzazione delle risorse del sovracanone (motivo 2); c) violazione di norme di diritto procedimentali (Statuto dei diritti del contribuente; Legge sul procedimento amministrativo), per aver trascurato che in materia di sovracanone vanno applicate tutte le garanzie che la speciale disciplina fiscale assicura ai soggetti incisi dal tributo, nonchè gli oneri di motivazione e di avviso previsti comunque, a carico della P.A., dalla normativa generale sul procedimento;

che il ricorso è infondato; giudizi analoghi – si indica segnatamente Cass., sez. un., 19 giugno 2018, n. 16157, con la medesima ricorrente; inoltre, Cass. sez. un. 27 dicembre 2019, n. 34475 – sono stati definiti in tal senso da questo Giudice della nomofilachia;

che nella sua versione originaria, il testo unico delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici stabilì che: a) nelle concessioni di grandi derivazioni per produzione di energia poteva essere riservata, ad uso esclusivo dei servizi pubblici, a favore dei Comuni rivieraschi, nel tratto compreso tra il punto ove aveva termine praticamente il rigurgito a monte della presa ed il punto di restituzione, una quantità di energia non superiore ad un decimo di quella ricavata dalla portata minima continua, anche se regolata, da consegnarsi alla officina di produzione (art. 52); b) quando l’energia fosse trasportata oltre il raggio di quindici chilometri dal territorio dei predetti Comuni rivieraschi, il Ministro delle finanze, avrebbe potuto stabilire con proprio decreto, a favore degli enti locali, un ulteriore canone annuo, a carico del concessionario, che avrebbe avuto la stessa scadenza del canone governativo ed era ripartito fra i Comuni rivieraschi. La L. 27 dicembre 1953, n. 959, art. 1, modificò tale ventennale assetto, introducendo i “bacini imbriferi montani” nel territorio nazionale, affidando ad appositi D.M., la determinazione del perimetro di ognuno e prevedendo che i Comuni – i quali in tutto o in parte fossero compresi in ciascun bacino imbrifero montano – si costituissero in consorzio obbligatorio, qualora ne facessero domanda non meno di tre quinti di essi. Precisò, inoltre, che i Comuni già rivieraschi agli effetti del predetto testo unico e quei Comuni che in conseguenza di nuove opere fossero venuti a rivestire i caratteri di Comuni rivieraschi ai sensi dell’art. 52 del ridetto testo unico facessero parte di diritto del bacino imbrifero, anche se non inclusi nel perimetro del bacino stesso; mentre con D.M., sarebbero stati inclusi nei consorzi quei Comuni che, in conseguenza di nuove opere, fossero venuti a rivestire i caratteri di Comuni rivieraschi ai sensi sempre dell’art. 52. Stabilì, infine, che i concessionari di grandi derivazioni d’acqua per produzione di forza motrice le cui opere di presa fossero situate, in tutto o in parte, nell’ambito del perimetro imbrifero montano, fossero soggetti, in sostituzione degli oneri di cui al menzionato art. 52, al pagamento di un sovracanone annuo di lire 1300 per ogni kw di potenza nominale media, risultante dall’atto di concessione;

che la legge di stabilità per il 2013, all’art. 1, modifica il sistema vigente e prevede che: a) “Al fine di consentire la prosecuzione degli interventi infrastrutturali da parte dei Comuni e dei bacini imbriferi montani, i sovra canoni idroelettrici, previsti ai sensi della L. 27 dicembre 1953, n. 959, art. 1, sono estesi con decorrenza dal 1 gennaio 2013 a tutti gli impianti di produzione di energia idroelettrica superiori a 220 kw di potenza nominale media, le cui opere di presa ricadano in tutto o in parte nei territori dei Comuni compresi in un bacino imbrifero montano già delimitato” (comma 137); b) “Per gli impianti realizzati successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione, i sovracanoni idroelettrici, previsti ai sensi della L. 27 dicembre 1953, n. 959, art. 1, di cui al comma 137 del presente articolo, sono comunque dovuti, anche se non funzionali alla prosecuzione degli interventi infrastrutturali” (comma 137-bis, introdotto però dal 2016);

che il sistema ideato negli anni ‘30 del secolo scorso per il testo unico prescinde dunque da ogni discrimine altimetrico tra i Comuni beneficiari delle forniture o del sovracanone, mentre i soggetti legittimati a ottenere la prestazione sono i Comuni rivieraschi e l’onere relativo, anche come fornitura di energia, incombe su tutte le derivazioni. Con la riforma del ‘53 mutano i soggetti beneficiari del nuovo sovracanone, che diventano i Comuni facenti parte di “bacini imbriferi montani” (BIM), la cui perimetrazione “montana” è demandata ad appositi D.M., nonchè quelli “rivieraschi”, ovverosia situati nel tratto compreso tra il punto ove ha termine praticamente il rigurgito a monte della presa ed il punto di restituzione. Ne deriva che, per il legislatore del ‘53, accanto ai Comuni del perimetro “montano” coesistono, quali beneficiari, i Comuni “rivieraschi” anche se posti al di fuori di tale perimetro ma entro il “punto di restituzione”, laddove l’onere economico è, però, circoscritto a carico dei soli impianti con opere di presa poste nel ridetto perimetro. In altre parole, sono “montani” tutti gli impianti generatori di sovracanoni per i concessionari, mentre possono non esserlo i Comuni beneficiari e consorziati. L’ulteriore riforma del 2013 reintroduce l’originario sistema che onera del pagamento del sovracanone tutti gli impianti senza discrimine altimetrico, cioè tutti quelli siti nei bacini imbriferi montani compresi quelli siti nei Comuni sì rivieraschi ma posti al di fuori del perimetro montano e in altre parole rende omogenee le situazioni mettendo sul medesimo piano tutti i Comuni e tutti gli impianti del bacino;

che il sovracanone (BIM) richiesto al concessionario di utenza idrica configura una prestazione patrimoniale imposta a fini solidaristici e ha, pertanto, natura tributaria; infatti la legislazione statale (L. n. 959 del 1953, art. 1, comma 14) prevede la destinazione del sovracanone ad un fondo comune gestito dai consorzi per finalità di promozione dello sviluppo economico e sociale delle popolazioni interessate e per la realizzazione delle opere che si rendano necessarie per rimediare alla alterazione del corso naturale delle acque causata dalla loro regimazione artificiale (Corte Cost., 20/12/2002, n. 533 che supera le iniziali incertezze di Corte Cost., 04/07/1957, n. 122). Inoltre, data la natura tributaria del sovracanone, la relativa disciplina rientra nelle materie di “armonizzazione dei bilanci pubblici” e “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, oggetto di potestà legislativa concorrente ex art. 117 Cost., comma 3, quale normazione di principio (Corte Cost., n. 533/2002). Il che esclude, di per sè, qualsivoglia interferenza col cd. federalismo fiscale (art. 119 Cost.), laddove le finalità e le entrate dei consorzi BIM sono loro attribuite direttamente dalla legge in ragione della loro esclusiva attività, dato che gli enti in parola non vivono di contribuzioni statali nè di quelle dei Comuni consorziati (circ. min. interno, 15/12/1986, n. 08706208). Mentre i loro cespiti, che non riguardano la finanza pubblica allargata e/o derivata, non rientrano nella finanza comunale nè, tanto meno, in quella regionale. Anzi i sovracanoni appartengono alla materia del sistema finanziario e tributario degli enti locali, cioè ad una materia interamente regolata dalla legge dello Stato, la cui competenza, fino all’attuazione dell’art. 119 Cost., resta sicuramente ferma (Corte Cost., 22/07/2004, n. 261). E’ vero che, nel frattempo, sono intervenute, in attuazione dell’art. 119 Cost., la delega al Governo sul federalismo fiscale (L. 5 maggio 2009, n. 42) e il consequenziale decreto attuativo (D.Lgs. n. 88 del 2011). Quest’ultimo, però, reca disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali e le sue disposizioni trattano tutt’altra materia (risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione, finanziamenti a finalità strutturale dell’Unione Europea, cofinanziamenti nazionali, etc.) rispetto a quella del sovracanone. Pertanto, sul punto, la questione di legittimità costituzionale del ridetto comma 137, sollevata dalla ricorrente, è manifestamente infondata;

che altrettanto infondata è la questione di legittimità costituzionale del medesimo comma 137, sollevata dalla ricorrente con riferimento alla presunta violazione del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.. Non sussiste la dedotta violazione, atteso che lo svolgimento di attività d’impresa sulla base di una concessione di derivazione è di per se stessa sintomatica di capacità contributiva. Nè l’aumento dei costi fiscali per il concessionario rileva in sè, posto che sono rimesse alla discrezionalità del legislatore sia l’individuazione delle situazioni significative della capacità contributiva, sia la determinazione dell’entità dell’onere tributario, con il limite della non arbitrarietà o irrazionalità della scelta legislativa (Corte Cost., 19/01/2005, n. 23). E tale irrazionalità non è di certo ravvisabile nella specie, laddove il comma 137, come si è visto, reintroduce, in fin dei conti, l’originario sistema del testo unico, onerando del pagamento del sovracanone tutti gli impianti senza discrimine altimetrico (ovverosia tutti quelli siti nei bacini imbriferi montani compresi quelli siti nei Comuni sì rivieraschi ma posti al di fuori del perimetro montano) e, in ultima analisi, rende omogenee le posizioni di tutti i Comuni e di tutti gli impianti del bacino. Inoltre, persino gli interventi legislativi volti ad adeguare in generale i canoni di godimento dei beni pubblici sono normalmente ritenuti conformi agli artt. 3 e 97 Cost., avendo lo scopo di consentire allo Stato una maggiorazione delle entrate (Corte Cost., 27/01/2017, n. 29 in tema di concessioni demaniali marittime);

che ciò esclude pure che la questione di legittimità costituzionale sempre del comma 137, possa essere positivamente scrutinata riguardo ai principi di legittimo affidamento e certezza del diritto e al rischio di un’ablazione meramente confiscatoria di una rilevante quota di ricchezza (artt. 3,41,42,43,117 Cost.), la cui quantificazione sul piano nazionale è, peraltro, rimasta a livello di enunciazione puramente verbalistica. Lo stesso tema risulta, altrettanto infondatamente, sviluppato dalla ricorrente pure sul versante della pretesa violazione dell’art. 17 della Carta di Nizza e degli artt. 101 e 102 T.F.U.E. La Corte di Strasburgo è solita affermare, in tesi generale, che i cittadini non possono vantare legittime aspettative d’immutabilità giuridica neppure riguardo alla giurisprudenza (Corte EDU, in caso Unedic c. Francia; conf. in caso Atanasovski c. Macedonia), laddove il legittimo affidamento può rilevare solo riguardo a leggi interpretative o retroattive che costituiscano ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia al fine d’influenzare l’esito di una controversia (Corte EDU, in caso De Rosa c. Italia; conf. in caso Arras c. Italia). La stessa Corte Europea ritiene, inoltre, che la materia della imposizione tributaria faccia parte del cd “nucleo duro” delle prerogative della potestà pubblica, poichè la natura autoritativa del rapporto tra il contribuente e la collettività sarebbe predominante (Corte EDU, in caso Ferrazzini c. Italia). Dunque, gli Stati godono sicuramente di vasta discrezionalità, sia pure entro i confini della riserva di legge sostanziale (Corte EDU, in caso James c. Regno Unito; conf. in caso Spack c. Rep. Ceca) e del rispetto taluni diritti fondamentali (Corte EDU, in caso Darby c. Svezia, sul divieto di discriminazione fiscale; conf. in caso N. K.M. c. Ungheria, su abnorme prelievo fiscale a carico di dipendenti pubblici). Il che spiega l’atteggiamento restrittivo di quella Corte nel sindacare le scelte degli Stati, che non siano manifestamente prive di giustificazioni ragionevoli (Corte EDU, in caso National & provincial building society c. Regno Unito). Ciò risulta pure dalla giurisprudenza costante della Corte di Lussemburgo, laddove si afferma che gli operatori economici non possono fare affidamento sulla conservazione di una situazione esistente che può, invece, essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle autorità nazionali (Corte giustizia, 10/09/2009, Piantano GmbH & Co. KG, in tema di abolizione di esenzioni). La stessa Corte ha parimenti dichiarato che un operatore economico non può basare il suo affidamento sulla mancanza totale di modifiche normative, ma unicamente mettere in questione le modalità applicative di siffatte modifiche, atteso che il principio di certezza del diritto non impone la mancanza di modifiche normative, ma richiede piuttosto che il legislatore nazionale tenga conto delle situazioni specifiche degli operatori economici e preveda, eventualmente, taluni adeguamenti all’applicazione delle nuove disposizioni (Corte giustizia, 11/06/2015, Berlington Hungary Tanecsadò ès Szolgeltatò). A tal proposito, per quanto riguarda l’affidamento che un soggetto passivo può fare sull’applicazione di un più favorevole regime, la suddetta Corte ha già statuito che quando una direttiva in ambito fiscale lascia ampio potere agli Stati membri, una modifica legislativa adottata in conformità con la direttiva non può essere considerata imprevedibile (Corte giustizia, 29/04/2004, Gemeente Leusden e Ho/in Groep). Nella specie non si verte in materia di tributi armonizzati e non vi sono direttive che regolino, anche indirettamente, la materia. Sicchè non può dirsi che il sovracanone costituisca addirittura una restrizione alla libera prestazione dei servizi (es. art. 56 T.F.U.E.) o alla correttezza della concorrenza (es. artt. 101 – 102 T.F.U.E.). Per un verso non v’è alcuna discriminazione, essendo le imprese idroelettriche tutte sullo stesso piano nel mercato interno e non essendovi armonizzazione Eurounitaria dell’imposizione fiscale sul punto. Così come sono rispettati quei principi di ragionevolezza, laddove la legge di stabilità 2013 – estendendo il sovracanone a tutti gli impianti di produzione superiori a una determinata potenza nominale media, le cui opere di presa ricadano in tutto o in parte nei territori di Comuni compresi in un bacino imbrifero montano, indipendentemente dalla quota altimetrica – razionalizza la disciplina nazionale, riprende e rielabora gli originari principi informatori del testo unico del 1933 ed elimina le criticità insite nella pregressa legislazione del 1953 (conf. Corte Cost., 01/04/2014, n. 64, sulla non arbitrarietà di una decisione del legislatore, che s’inserisca in una linea evolutiva). Nè consta alcuna violazione dell’art. 17 della Carta di Nizza, che tutela il diritto di proprietà; questo diritto, già sancito dalla giurisprudenza Eurounitaria (Corte giustizia, 13/12/1979, Hauer), ai sensi dell’art. 52, p. 3, della stessa Carta di Nizza ha significato e portata identici al diritto garantito dall’art. 1 del protocollo addizionale alla CEDU (cfr. Spiegazioni, 2007/C, 303/02). Esso riguarda il momento statico dei fatti economici, che nel loro momento dinamico sono tutelati dall’art. 16 della Carta di Nizza, sulla libertà d’impresa, che nella specie non viene in riguardo nè sul piano della libertà di esercitare un’attività economica e commerciale (Corte giustizia, 27/08/1979, Eridania), in alcun modo compromessa da un’ imposizione egualitaria, nè in termini di libertà contrattuale (Corte giustizia, 18/04/2012, F.Tex), essendo il sovracanone estraneo, per la sua natura tributaria, alla determinazione del prezzo della prestazione (canone di concessione). Nè, può ipotizzarsi alcuna rimessione alla Corte di giustizia, sia perchè neppure sollecitata, sia perchè non v’è diritto della parte all’automatico rinvio pregiudiziale ogniqualvolta la Corte di cassazione non ne condivida le tesi difensive (Cass. Sez. U. 08/07/2016, n. 14043), bastando che le ragioni siano espresse (Corte EDU, in caso Ullens de Schooten e Rezabek c. Belgio), ovvero implicite laddove la questione pregiudiziale sia manifestamente inammissibile o manifestamente infondata (Corte EDU, in caso Wind Telecomunicazioni c. Italia, p.36), ovverosia quando l’interpretazione della norma e del caso siano evidenti (Cass. Sez. U. 24/05/2007, n. 12067). Infatti, un organo giurisdizionale di ultima istanza non è tenuto a presentare alla Corte di giustizia una domanda di pronuncia pregiudiziale (art. 267, comma 3, T.F.U.E.), qualora esista già una giurisprudenza consolidata in materia o qualora la corretta interpretazione della norma di diritto di cui trattasi non lasci spazio a nessun ragionevole dubbio (Raccomandazioni 2016/C – 439/01, p.6). Inoltre, la Corte di cassazione ha l’onere di delibare preliminarmente l’asserita violazione del diritto dell’UE dedotta in ricorso, solo se una legge sia oggetto di dubbi di compatibilità rispetto tanto a norme dell’UE dotate di effetto diretto quanto a norme costituzionali, in quanto il suo mancato previo esame determinerebbe l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale da sollevare. Viceversa, in caso di contrasto con norme dell’UE prive di effetti diretti, il giudice deve sollevare questione di legittimità costituzionale, senza delibare preventivamente i profili di incompatibilità con il diritto dell’UE. In tale ipotesi, operante nella specie, spetterebbe solo alla Corte costituzionale giudicare la legge, sia in riferimento ai parametri Europei (come veicolati dagli artt. 11 e 117 Cost.), sia in relazione agli altri parametri costituzionali interni (Corte Cost., 14/12/2017, n. 269). Ma, come si è visto, va escluso ogni rilievo convenzionale e/o Eurounitario delle tesi difensive della ricorrente e, dunque, resta disattesa, per manifesta infondatezza, ogni questione di legittimità costituzionale correlata alle norme della CEDU e dell’UE, quali “norme interposte” ai fini dagli artt. 11 e 117 Cost.;

che non rimane, in conclusione, che esaminare la questione di legittimità costituzionale del comma 137, avuto riguardo all’asserita violazione dell’art. 23 Cost.. Rispetto al sovracanone, come si è visto, ricorrono i criteri stabiliti dalla giurisprudenza per qualificare come tributari alcuni prelievi: a) doverosità della prestazione; b) mancanza di un rapporto sinallagmatico tra parti; c) collegamento di detta prestazione alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante. L’obbligo di pagamento del sovracanone, innovato del ridetto comma 137, sorge da presupposti interamente regolati dalla legge, senza che siano riservati alla p.a. spazi di discrezionalità circa la concreta individuazione dei soggetti obbligati, i presupposti oggettivi o il quantum del corrispettivo (conf. Cass. Sez. U. 13/12/2016, n. 25515, in gen. sul cd “tasso d’imposta”). Anzi il sovracanone è costruito quale tributo proporzionale rispetto a una base imponibile non pecuniaria. L’obbligazione, dunque, discende direttamente dalla legge ed è determinabile, avuto riguardo all’ammontare unitario fissato dalla legge stessa e alla potenza media annua concessa, il tutto sulla base di un mero calcolo aritmetico;

che tali ultime considerazioni evidenziano anche la palese infondatezza del terzo motivo di ricorso, laddove si censura la violazione delle regole sul procedimento amministrativo e dello Statuto del contribuente, circa l’omesso espletamento del prodromico procedimento per l’accertamento dell’obbligo tributario verso il consorzio BIM. Nel nostro ordinamento fiscale si esclude che, riguardo ai tributi “non armonizzati”, sussista una clausola che imponga all’ente impositore un generale obbligo di attivazione del contraddittorio endoprocedimentale; tale obbligo viene meno ove non espressamente previsto, come nel caso degli “accertamenti a tavolino” (Cass. Sez. U. 09/12/2015, n. 24823). Il sovracanone è un tributo “non armonizzato” per il quale la legge d’imposta non prevede alcun procedimento di accertamento in contraddittorio. La sua liquidazione è fatta sulla scorta di dati documentali ben noti e in base a un mero calcolo aritmetico rispetto a parametri legali. Sicchè la liquidazione del sovracanone è a pieno titolo assimilabile agli “accertamenti a tavolino”, che non richiedono contraddittorio endoprocedimentale, laddove le garanzie previste dall’art. 12, comma 7, dello Statuto operano esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente (Cass. Sez. U. n. 24823/2015; conf. Cass. 19/10/2017, n. 24636 e molte altre). Il che, nell’ambito della specificità dell’ordinamento tributario, supera e assorbe ogni altra questione circa la portata e i limiti di applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 21-octies;

che, quanto agli altri motivi ricorso, il primo è manifestamente infondato. E’ vero che il comma 137 recita: “Al fine di consentire la prosecuzione degli interventi infrastrutturali da parte dei Comuni e dei bacini imbriferi montani, i sovracanoni sono estesi con decorrenza dal 1 gennaio 2013…”. Tuttavia l’esordio della disposizione, come spesso accade nelle leggi di stabilità e di bilancio, costituisce un enunciato programmatico e non un presupposto dell’azione impositiva dei consorzi BIM, fatti salvi i controlli delle autorità contabili circa l’effettiva destinazione delle risorse così reperite agli interventi infrastrutturali da parte dei Comuni e dei bacini imbriferi montani. Il che è confermato dal comma 137 bis, laddove esso precisa, che i sovracanoni idroelettrici per gli impianti realizzati dal 2016 sono comunque dovuti, anche se non strettamente funzionali a interventi infrastrutturali, fermo restando il perseguimento di finalità di promozione dello sviluppo economico e sociale delle popolazioni interessate e di rimedio all’alterazione del corso naturale delle acque causata dalla loro regimazione artificiale (L. n. 959 del 1953, art. 1, comma 14; Corte Cost., n. 533/2002). Da tali principi non si discosta il TSAP laddove ritiene che non sia necessario che il Consorzio BIM espliciti quali siano gli interventi infrastrutturali che richiedono di essere proseguiti, perchè il presupposto dell’operatività della norma non riposa sulla preventiva dimostrazione delle concrete modalità di impiego dei proventi derivanti dai sovracanoni, in relazione alle quali il concessionario contribuente non ha alcun potere di scrutinio. Il che, riguardo al correlato secondo motivo, esclude pure che la motivazione adotta dal giudice d’appello possa dirsi apparente, estrinsecandosi, invece, in argomentazioni pienamente idonee a rivelare la ratio decidendi senza prospettare proposizioni fra loro logicamente inconciliabili, ovvero perplesse, od obiettivamente incomprensibili. Com’è noto la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, unicamente quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, cioè tali da lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 03/11/2016, n. 22232);

che il ricorso deve essere pertanto rigettato;

che le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

che sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese sostenute dal controricorrente, liquidate in complessivi Euro 10.300, di cui Euro 200 per esborsi, oltre a spese generali nella misura del 15% e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2020

 

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