Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16260 del 16/07/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 16260 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: BANDINI GIANFRANCO

SENTENZA

sul ricorso 3727-2009 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
contro

1992

MANCINI

MARIA

RITA

C.F.

mncmrt68a71d653g,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA TARQUINIA n.
5/D, (STUDIO AVVOCATO FALLA TRELLA MARIA LUISA) presso

Data pubblicazione: 16/07/2014

lo studio degli avvocati RIOMMI MAURIZIO e MICHELI
CARLO che la rappresentano e difendono, giusta delega
in atti;

controri corrente

avverso la sentenza n. 336/2008 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 05/06/2014 dal Consigliere Dott.
GIANFRANCO BANDINI;
udito l’Avvocato MICHELI CARLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

di PERUGIA, depositata il 25/06/2008 R.G.N. 637/2006;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

confermò la pronuncia di prime cure, che aveva dichiarato la nullità
del termine apposto al contratto concluso tra la Poste Italiane spa e
Mancini Maria Rita, relativamente al periodo 17.5-30.9.1999.
Per la cassazione di tale sentenza la Poste Italiane spa ha proposto
ricorso fondato su due motivi.
L’intimata Mancini Maria Rita ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La sentenza impugnata ha ritenuto l’infondatezza della tesi
dell’avvenuta risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso
in relazione all’inerzia mantenuta dal lavoratore dopo la scadenza
del contratto a termine e fino alla manifestazione della volontà di
ripristinare la funzionalità di fatto del rapporto; tale assunto è stato
censurato dalla ricorrente con il secondo mezzo.
1.1 Secondo il condiviso orientamento di questa Corte (cfr, ex
plurimis, Cass., n. 23554/2004), nel giudizio instaurato ai fini del

riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a
tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al
relativo contratto di un termine finale ormai scaduto) per la
configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è
necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo
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Con sentenza del 23.4-25.6.2008, la Corte d’Appello di Perugia

trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché

tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara
e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del
significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto
compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili
in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto.
Nel caso in esame la Corte di merito ha ritenuto di disattendere la
tesi secondo cui la mancanza di una più tempestiva reazione del
lavoratore alla estromissione avrebbe configurato un suo consenso
alla risoluzione del rapporto alla scadenza del termine apposto,
osservando che il lasso di tempo intercorso tra la cessazione del
rapporto e il tentativo di conciliazione non poteva essere interpretato
come volontà di accettazione della risoluzione per mutuo consenso,
non essendovi stato alcun comportamento del lavoratore che
potesse far presumere una sua acquiescenza a detta risoluzione.
Premesso che, in conformità ai principi sulla ripartizione degli oneri
probatori, sarebbe stato onere della parte eccipente (ossia la Poste
Italiane spa) dimostrare la sussistenza di circostanze dalle quali
avrebbe potuto effettivamente ricavarsi la comune volontà delle parti
di voler porre definitivamente fine al rapporto lavorativo, le

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alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento

conclusioni della Corte territoriale, in quanto prive di vizi logici o

2. Il contratto in relazione al quale è stata ritenuta l’illegittimità

dell’apposizione del termine è stato stipulato a norma dell’art. 8 del
CCNL 26 novembre 1994 e, in particolare, in base alla previsione
dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che prevede, quale
ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza
di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e
rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della
graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione
di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo
equilibrio sul territorio delle risorse umane.
La Corte territoriale ha attribuito rilievo decisivo al fatto che, avendo
le parti collettive raggiunto un’intesa originariamente priva di termine,
le stesse avevano stipulato accordi attuativi che avevano fissato un
limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a
termine, limite fissato al 30 aprile 1998; i contratti conclusi fino al
dicembre 2000, stipulati in epoca successiva al suddetto termine,
erano quindi illegittimi in quanto privi del supporto derogatorio.
L’impostazione seguita dalla Corte territoriale è stata ampiamente
censurata dalla Società ricorrente con il primo mezzo; la ricorrente
contesta, in particolare, l’interpretazione data dalla Corte di merito al
citato accordo integrativo del 25 settembre 1997 ed agli accordi dalla
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errori di diritto, resistono alle censure mosse in ricorso.

stessa definiti come attuativi; deduce in particolare che questi ultimi

2.1 Osserva il Collegio che le considerazioni della Corte territoriale in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato dalla
giurisprudenza di legittimità (con riferimento al sistema vigente
anteriormente al CCNL del 2001 ed al dl.vo n. 368/01) – è sufficiente
a sostenere sul punto l’impugnata decisione.
Al riguardo, sulla scia di Cass., SU, n. 4588/2006, è stato precisato
che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 legge n.
56/87, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine
rispetto a quelli previsti dalla legge n. 230/62, discende dall’intento
del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali
sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i
lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite
della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere
a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e
prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche
di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a
condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di
fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al
datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato (cfr,
ex plurimis, Cass., nn. 21063/2008; n. 9245/2006; 4862/2005;
14011/2004); ne risulta, quindi, una sorta di delega in bianco a
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accordi avevano natura meramente ricognitiva.

favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari,

omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul
medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi
nel sistema da questa delineato (cfr,

ex plurimis, Cass., nn.

21062/2008; 18378/2006).
In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite
temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi
integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la
nullità della clausola di apposizione del termine (cfr, ex plurimis,
Cass., nn. 18383/2006; 7745/2005; 2866/2004).
In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente
affermato e come va anche qui ribadito, in materia di assunzioni a
termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25
settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994,
e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio
1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della
situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica
dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e
rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino
alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la
legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998,
per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore
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non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque

conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo

Cass., nn. 20608/2007; 28450/2008; 21062/2008; 7979/2008;
18378/2006).
In base a tale orientamento consolidato ed al valore dei relativi
precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr,
ex plunmis, Cass., nn. 6703/2007; 15969/2005), il motivo all’esame
va quindi respinto.
3. Va considerato, in via di principio, che costituisce condizione
necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius
superveniens, che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una

nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia
in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura
nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui
perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr, Cass. 8
maggio 2006 n. 10547).
Nel caso in esame la ricorrente non ha svolto motivi inerenti alle
conseguenze risarcitorie derivanti dalla nullità della clausola
appositiva del termine, ossia al tema al quale è riferibile la disciplina
di cui all’art. 32, commi 5 0 , 6° e 7°, legge n. 183/10, onde deve
convenirsi per l’inapplicabilità nel presente giudizio del testé ricordato
ius superveniens.

4. In definitiva il ricorso va rigettato.
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indeterminato, in forza dell’art. 1 legge n. 230/62 (cfr, ex plurimis,

Le spese, liquidate come in dispositivo e da distrarsi a favore degli

seguono la soccombenza.
P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle
spese, che liquida in euro 3.600,00 (tremilaseicento), di cui euro
3.500,00 (tremilacinquecento) per compensi, oltre accessori come
per legge, da distrarsi a favore degli avv.ti Maurizio Riommi e Carlo
Micheli.
Così deciso in Roma il 5 giugno 2014.

avv.ti Maurizio Riommi e Carlo Micheli, dichiaratisi antistatari,

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