Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1626 del 19/01/2022
Cassazione civile sez. II, 19/01/2022, (ud. 10/12/2021, dep. 19/01/2022), n.1626
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7706-2017 proposto da:
P.C., P.D., elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA G MAZZINI 55, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE
SINESIO, rappresentati e difesi dall’avvocato VINCENZO CAPONNETTO;
– ricorrenti –
contro
C.G.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1546/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,
depositata il 24/08/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
10/12/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.
Fatto
FATTI DI CAUSA
La vertenza riguarda il contratto preliminare fra C.G. (promittente venditore) e P.D. (promissaria acquirente) avente ad oggetto un terreno agricolo con fabbricati rurali. Il Tribunale di Sciacca, adito da C.G., ha dichiarato la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento della promissaria. La Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza di primo grado. Essa ha condiviso la valutazione del primo giudice circa la gravità dell’inadempimento della promissaria, la quale, nonostante avesse conseguito l’immediato possesso dei beni promessi in vendita, aveva sistematicamente disatteso le scadenze di pagamento; ha aggiunto che la P. aveva ignorato anche la diffida inviatale dal C. nel periodo (OMISSIS), prima dell’inizio della lite, avvenuta nel (OMISSIS). La Corte d’appello ha riconosciuto la correttezza della decisione impugnata anche nella parte in cui il primo giudice non aveva ammesso la prova testimoniale richiesta dalla promissaria; ha osservato che, tramite tale prova, la promissaria avrebbe voluto dimostrare che il promittente era a sua volta inadempiente, avendola spogliata del possesso del fondo; tuttavia, secondo la corte di merito, i fatti, oggetto di prova, non erano rilevanti rispetto a questa finalità, essendo inoltre smentiti dallo svolgimento degli eventi.
Per la cassazione della sentenza P.D. e P.C. hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi.
C.G. rimane intimato.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Va in primo luogo rilevato che non è stata impugnata la statuizione con la quale la Corte d’appello ha ritenuto coperto da giudicato il riconoscimento del difetto di legittimazione di P.C., il cui ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
2. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. La ricorrente si duole perché la Corte d’appello ha ritenuto che non vi fosse prova dei pagamenti, nonostante esistesse prova documentale, derivante dalla scrittura integrativa del 23 gennaio 2007, che la promissaria acquirente aveva versato, sul prezzo della vendita, l’importo complessivo di Euro 11.500,00. La Corte di merito non avrebbe poi considerato che, in presenza di clausola penale pattuita per il ritardo, questo non avrebbe potuto riguardarsi alla stregua di un inadempimento idoneo a giustificare la risoluzione: il ritardo, nella specie esiguo, avrebbe giustificato l’insorgere di un credito, con esclusione del diritto di pretendere la risoluzione. Si sostiene ancora, da parte della ricorrente, che a essere inadempiente era piuttosto il C., che aveva spogliato la promissaria del possesso del fondo, ricevuto a seguito del preliminare. Le prove testimoniali, ingiustamente non ammesse dai giudici di merito, avrebbero compiutamente dimostrato l’inadempimento della controparte.
Il motivo è infondato. La Corte d’appello non ha negato l’avvenuto pagamento di una parte del prezzo pattuito, ma ha riconosciuto l’inadempimento e la gravità del medesimo per avere la parte acquirente sistematicamente disatteso le scadenze di pagamento. In verità la Corte di merito menziona anche una diffida inviata dal venditore nel periodo (OMISSIS)” ma si tratta di argomento aggiuntivo, privo di incidenza sulla decisione, fondata sulla ritenuta gravità dell’inadempimento a causa del ritardo (del resto la stessa ricorrente, nell’evidenziare l’estraneità della diffida rispetto al contratto preliminare, riconosce che “né il Tribunale né la Corte d’appello hanno fondato le loro decisioni su tale lettera”). E’ principio acquisito che la valutazione dell’importanza dell’inadempimento, al fine della risoluzione del contratto, comporta apprezzamenti di fatto istituzionalmente devoluti al giudice del merito, e non sindacabili in sede di legittimità, se correttamente e adeguatamente motivati (Cass. n. 12182/2020; n. 6401/2015). In questo senso la valutazione operata nella specie dalla corte d’appello, che ha dichiarato la risoluzione in considerazione del fatto che il compratore aveva sistematicamente disatteso le scadenza di pagamento, è incensurabile in questa sede (cfr. Cass. n. 3955/1978).
Diversamente da quanto sostiene la ricorrente, la previsione di una penale per il ritardo non preclude al creditore di agire per la risoluzione. L’art. 1383 c.c. vieta il cumulo tra la domanda della prestazione principale e quella diretta ad ottenere la penale per l’inadempimento, mentre si ammette che la penale possa cumularsi con il rimedio della risoluzione (Cass. n. 12349/2002; n. 27994/2018), poiché nei contratti a prestazioni corrispettive la penale per l’inadempimento è normalmente riferita al danno conseguente alla risoluzione (cfr. Cass. n. 4069/1983). In ogni caso non risulta che il C., nel richiedere la risoluzione del contratto per inadempimento, abbia preteso anche la penale.
La ricorrente continua a sostenere, ancora in questa sede, che a essere inadempiente era l’altra parte, avendola spogliata del possesso del fondo. Ma al riguardo c’e’ poco da aggiungere rispetto a quanto già detto, se non rilevare che la Corte d’appello ha preso in esame queste deduzioni e le ha ritenute irrilevanti già in linea di principio, in quanto fondate su circostanze estranee al preliminare; le ha poi ritenute infondate in punto di fatto, in quanto smentite dalla cronologia degli eventi. L’una e l’altra considerazione, giustificate in modo logico e coerente, esprimono un apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede. In verità la ricorrente, senza formulare alcuna specifica censura, si limita a contrapporre la propria valutazione rispetto a quella della corte di merito, dolendosi in ultima analisi della mancata ammissione delle prove orali, in particolare del capitolo n. 3, senza tuttavia dedurre una specifica censura neanche in ordine al diniego della prova.
3. Il secondo motivo denuncia nullità della sentenza per omissione di pronuncia sulla domanda di riduzione a equità della penale e di risarcimento del danno derivante dall’inadempimento del C., oltre che per la sommaria e cattiva coltivazione del terreno, fatta dal medesimo a seguito dello spoglio.
Il motivo è infondato. La censura trascura che è stata dichiarata la risoluzione del contratto per inadempimento della P., senza applicazione di penali; trascura inoltre che la Corte d’appello ha negato l’inadempimento del promittente, disconoscendo, quanto alle vicende dello spoglio, la versione dei fatti proposta dalla promissaria. Vale pertanto il principio secondo cui che “il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132 c.p.c., n. 4, che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorché risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto” (Cass. n. 407/2006; n. 868/2010; n. 16252/2020).
4. Il terzo motivo denuncia nullità della sentenza per omissione di pronuncia sulla domanda, riproposta nelle conclusioni dell’atto di appello, di restituzione degli acconti versati in esecuzione del contratto preliminare oggetto di risoluzione.
Il motivo è fondato. A’ seguito della risoluzione si estinguono le obbligazioni non adempiute e le prestazioni già eseguite devono essere restituite (Cass., S.U., n. 12942/1992), anche se esse risultino ricevute dal contraente non inadempiente (Cass. n. 6911/2018), che, nella specie, sin dal primo grado aveva proposta apposita domanda, reiterata in appello. Su tale domanda la Corte di merito, nel confermare la risoluzione, ha omesso ogni statuizione, incorrendo perciò nel vizio di omessa pronuncia, fondatamente denunciato con il motivo in esame.
5. In conclusione, rigettati il primo e il secondo motivo, accolto il terzo, la sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione, perché pronunci sulla domanda di restituzione della promissaria. La corte di rinvio liquiderà anche le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo; rigetta il primo e il secondo motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia la causa alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di cassazione, il 10 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022