Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16259 del 29/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 29/07/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 29/07/2020), n.16259

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13654/2014 proposto da:

L.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OTRANTO 36,

presso lo studio dell’avvocato MARIO MASSANO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GABRIELE DALLA SANTA;

– ricorrente –

contro

CASSA DI RISPARMIO DI VENEZIA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO,

rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO TOSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 646/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 14/01/2014 R.G.N. 177/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/03/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MARIO MASSANO;

udito l’Avvocato FRANCESCA BONFRATE, per delega verbale Avvocato

PAOLO TOSI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 646 del 2013, ha respinto l’appello proposto da L.P., dipendente della Cassa di Risparmio di Venezia s.p.a. (d’ora in avanti Cassa), avverso la sentenza di primo grado di rigetto della domanda proposta dal medesimo L. nei confronti della Cassa e tesa alla condanna della stessa al pagamento di Euro 530,87, pari alla differenza tra la dotazione individuale (cd. zainetto) effettivamente dovuta al ricorrente in sostituzione della pensione integrativa (come previsto dell’accordo sindacale del 21 maggio 2008) e quella offertagli dopo l’applicazione del coefficiente riduttivo dello 0,0189 per cento sull’importo dapprima comunicato al dipendente.

2. La Corte territoriale, dopo aver esposto vicende relative alla Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo aventi ad oggetto la stipula di un accordo sindacale diretto a trasformare la Cassa di Previdenza ed il Fondo pensioni in fondo a contribuzione definita dei trattamenti pensionistici integrativi del personale del ruolo del credito assunto prima del gennaio 1991, e ciò in relazione alla posizione di cento dipendenti che avevano cessato il proprio rapporto di lavoro tra il primo luglio 1998 ed il 31 dicembre 1998, ha precisato che l’accordo sindacale del 21 maggio 2008 aveva in concreto previsto la dotazione, per ogni dipendente aderente al fondo, di uno zainetto iniziale in base ad una precisa formula matematica e ciò in ragione delle previsioni della L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 3; tale disposizione aveva previsto la possibilità di trasformare le forme pensionistiche a prestazione definita in forme a contribuzione definita, attraverso accordi con le organizzazioni sindacali, nel termine del 30 giugno 1998 poi prorogato di 12 mesi. Dunque, con l’accordo del 30 giugno 1998 era stata fissata la regolamentazione complessiva dei rapporti, mentre, con l’accordo del 21 maggio 2008, erano stati definiti i criteri di calcolo della dotazione individuale dei dipendenti in servizio. In applicazione di tali previsioni, stante la necessità di garantire l’intangibilità del patrimonio vincolato, doveva ritenersi giustificata l’applicazione del correttivo determinato dall’incapienza del patrimonio comune. I dati forniti dalla Cassa in tal senso non erano stati neanche adeguatamente contestati dal dipendente.

3. Avverso tale sentenza, propone ricorso per cassazione L.P. sulla base di cinque motivi.

Resiste con controricorso, successivamente illustrato da memoria, Cassa di Risparmio di Venezia s.p.a..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 4, la nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla domanda in relazione all’art. 156 c.p.c., comma 2, art. 159 c.p.c. e art. 112 c.p.c., in quanto la Corte avrebbe respinto la domanda ritenendo, come si evince dalle premesse in fatto, che la stessa fosse stata proposta da cento dipendenti della Cassa di Risparmio di Padova e di Rovigo, che gestisce un fondo della Cassa di Previdenza ed il FIP, e non dall’odierno ricorrente. In particolare, la sentenza avrebbe deciso la causa ritenendo operante e vincolante tra le parti intese e contratti del 1998 (tra i quali uno risalente al 30 giugno 1998) certamente estranei alla questione.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia nuovamente la nullità della sentenza, anche se ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in ragione della violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. e dell’accordo sindacale 21 maggio 2008. In sostanza, si rinviene una ragione di nullità della sentenza sempre in ragione del fatto che la stessa non avrebbe, in realtà, esaminato la concreta fattispecie prospettata dalla domanda proposta dal L., ma quella proposta da circa cento dipendenti della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo contro tale Istituto bancario.

3. Il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, prospetta, ancora, una ragione di nullità della sentenza per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ed ancora in relazione agli artt. 99,112 e 113 c.p.c.. Anche in questo caso, la ragione di fondo della censura viene collegata alla circostanza, considerata dalla sentenza impugnata, che la questione da decidere fosse quella relativa a cento dipendenti della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo sopra descritta e non quella prospettata dal ricorrente, dipendente della Cassa di Risparmio di Venezia che aveva chiesto la condanna della stessa Cassa a corrispondergli un importo, secondo le previsioni dell’accordo sindacale del 21 maggio 1998 e dell’offerta a tutti gli iscritti del 6 giugno 2008.

4. Il quarto motivo, messo in relazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, deduce anche in questo caso la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 1136 c.c. e art. 112 c.p.c., ed insieme per la contraddittorietà della motivazione là dove la sentenza aveva affermato, senza motivare il perchè, che l’accordo del 21 maggio 2008 e la lettera del 6 giugno 2008 facevano riferimento ad un Fondo da ripartire; ad avviso del ricorrente ciò non corrispondeva al testo di tali atti, testo che faceva riferimento alla necessità di individuare e far confluire le posizioni individuali per poi ripartirle.

5. Il quinto motivo di ricorso, riferendosi ai medesimi vizi del punto precedente, li correla, questa volta, agli artt. 115,116 e 117 c.p.c., sotto il profilo della erronea valutazione delle prove. Si imputa alla sentenza impugnata di aver erroneamente accertato che la Cassa di Risparmio di Venezia aveva comunicato al ricorrente e agli altri dipendenti che sarebbe stato necessario applicare il coefficiente di correzione dello 0,0189, dimenticando che lo stesso legale rappresentante in sede di libero interrogatorio aveva ammesso che nessun dipendente era stato informato e che erano stati formalmente avvisati solo alcuni sindacalisti.

6. I motivi, connessi e quindi da trattarsi congiuntamente, sono infondati.

7. Viene evocato, fra gli altri e sotto varie forme, il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, prospettando lacune e contraddittorietà delle ragioni addotte, senza così rispettare il paradigma imposto dal testo vigente della disposizione appena citata. Infatti, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico, denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); sotto altro profilo, non è più configurabile il vizio di motivazione contraddittoria o insufficiente; i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6 e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ma tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. Sez. U. n. 8053 del 07/04/2014; Cass. n. 21257 del 2014; Cass. n. 23828 del 2015; Cass. n. 23940 del 2017; Cass. n. 22598 del 2018).

8. Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata non soffre di tali vizi. Infatti, la Corte territoriale, seppure citando nella narrazione dei fatti processuali una vicenda storicamente diversa (verosimilmente in ragione dell’utilizzo del mezzo informatico nella stesura del testo) da quella sottesa al ricorso proposto dal L., ha considerato che la pretesa del medesimo aveva ad oggetto, come in effetti è, la richiesta del pagamento di una differenza economica rispetto all’importo versato dalla Cassa relativamente alla liquidazione della dotazione individuale dovuta agli iscritti al Fondo di previdenza a seguito della iscrizione dei dipendenti della Cassa presso l’INPS; in sostanza, la pretesa derivava dalle vicende relative alla soppressione della Cassa di previdenza e alla stipula degli accordi sindacali, previsti dalla L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 3, attraverso i quali era stato possibile trasformare le forme pensionistiche a prestazione definita in forme a contribuzione definita.

9. La Corte ha individuato tale regolamentazione negoziale in un accordo aziendale del 30 giugno 1998, con il quale erano stati regolamentati complessivamente i rapporti, ed in altro accordo del 21 maggio 2008, con il quale erano stati definiti i criteri di calcolo della dotazione individuale degli iscritti in servizio. Tale disciplina doveva comunque assicurare il principio dell’intangibilità del patrimonio vincolato, previsto anche per i lavoratori attivi oltre che per i pensionati, per cui l’incapienza del patrimonio comune, in caso di realizzazione effettiva del progetto di distribuzione comunicato in applicazione dell’accordo del maggio 2008, aveva imposto l’applicazione del coefficiente di riduzione da cui è scaturita la differenza monetaria rivendicata in giudizio. Inoltre, la sentenza ha ritenuto infondata la doglianza circa la mancata adeguata informazione sui conteggi, posto che tali comunicazioni erano state rivolte alle organizzazioni sindacali ed il L. svolgeva un ruolo sindacale.

10. E’ evidente che tale motivazione non può certo definirsi apparente, nè l’erronea narrazione di talune circostanze ha inciso sulla percezione dei fatti davvero rilevanti per la decisione della controversia e che lo stesso ricorrente ravvisa nell’accordo sindacale del 21 maggio 2008 e nella offerta allo stesso conseguente.

11. Anche il ricorrente riconosce, illustrando il quarto motivo, che la sentenza si è in effetti pronunciata sulla domanda proposta dal L., anche se imputa alla stessa di aver malamente interpretato l’accordo del 21 maggio 2008 e la lettera di comunicazione dell’importo spettante per il cd. zainetto. Tali critiche sono formulate in modo del tutto generico, in quanto non vengono riportati i contenuti degli atti che sarebbero in contrasto insanabile con l’assunto della Corte territoriale. Ancora, il vizio dedotto, che si rifà al difetto di motivazione e alla violazione dell’art. 1336 c.c., comunque non aggredisce validamente il punto in discussione, giacchè si sarebbe dovuto denunciare il vizio di violazione dei criteri interpretativi legali del contratto previsti dagli artt. 1362 c.c. e segg..

12. Inammissibile, infine, è il profilo relativo alla erronea valutazione delle prove, posto che tale censura, attinente tipicamente al giudizio merito, non integra alcuno dei vizi di legittimità previsti dall’art. 360 c.p.c..

13. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2020

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