Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16258 del 29/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 29/07/2020, (ud. 03/03/2020, dep. 29/07/2020), n.16258

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30109/2014 proposto da:

R.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANTONIO NATALE;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati MAURO

RICCI, CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1201/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 09/06/2014 R.G.N. 492/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/03/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del primo

motivo del ricorso;

udito l’Avvocato CLEMENTINA PULLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. R.A., con ricorso al Tribunale del lavoro di Lecce del 12 ottobre 2009, espose di essere titolare di pensione di vecchiaia in convenzione internazionale dal 1 ottobre 1982 e che aveva chiesto inutilmente all’Inps la ricostituzione di tale trattamento pensionistico ai sensi della L. n. 160 del 1975, sul presupposto che tale trattamento, alla data del 1.1.1990, fosse superiore al trattamento minimo; pertanto chiese la determinazione della pensione di vecchiaia nell’importo corrispondente al dovuto, con condanna dell’INPS al pagamento delle differenze pensionistiche maturate.

2. Il Tribunale accolse la domanda limitatamente alle differenze sui ratei pensionistici maturati successivamente al 12 ottobre 2006, essendosi in precedenza verificata la decadenza triennale. La Corte d’appello, dato atto che la sentenza della Corte Costituzionale n. 69 del 2014 aveva dichiarato incostituzionale il D.L. n. 98 del 2011, art. 38, comma 4, conv. in L. n. 111 del 2011, nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui al comma 1, lett. d), si applicano anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del medesimo decreto, ha riformato la sentenza di primo grado ed accolto la domanda nei limiti della prescrizione con riferimento al quinquennio anteriore alla data della domanda amministrativa, con riconoscimento delle differenze sui ratei dal 21 maggio 2004.

3. Avverso tale sentenza ricorre R.A. sulla base di due motivi.

4. L’Inps non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso R.A. deduce la violazione dell’art. 2946 c.c. e con il secondo l’omessa applicazione dell’art. 416 c.p.c.; nella illustrazione comune ad entrambi i motivi, il ricorrente evidenzia l’erronea applicazione del termine di prescrizione quinquennale, posto che, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 69 del 2014, la disposizione contenuta nel D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 bis, relativa alla introduzione del termine di prescrizione quinquennale in materia di prestazioni previdenziali, era venuta meno con la conseguente necessità di rifarsi alla precedente disciplina, contenuta nell’art. 2946 c.c.; inoltre, la Corte territoriale avrebbe errato nel rilevare la prescrizione perchè l’INPS, che avrebbe dovuto eccepirla tempestivamente, si era costituito in primo grado il 1 febbraio 2014 in vista dell’udienza del 3 febbraio 2011 e, dunque, tardivamente.

2. I motivi, in quanto connessi, possono essere trattati congiuntamente e sono fondati.

3. Come affermato dalla ricorrente, il D.L. n. 98 del 2011, art. 38, comma 1, lett. d), n. 2, conv. in L. n. 111 del 2011, con modif. (che ha aggiunto al D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 bis), è stato interessato, quanto alla disciplina di regime transitorio, dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 69 del 2014 di illegittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, che riguarda anche le disposizioni introdotte dall’art. 47 bis, il quale non potrà che avere applicazione per il periodo successivo al 6/7/2011. Si legge, infatti, nella citata sentenza della Corte Costituzionale che l’illegittimità costituzionale è conseguenza del “vulnus arrecato al principio dell’affidamento, nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui al comma 1, lett. d), si applicano anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del presente decreto”; è evidente, dunque, che se il nuovo termine quinquennale di prescrizione per ratei non liquidati, in vigore dal 6 luglio 2011, sì applica solo da tale data, essendo stato proposto il ricorso introduttivo in data 2 luglio 2009, non viene neanche in rilievo l’applicazione dell’art. 252 disp. att. c.c. (valevole in ogni caso in cui in corso di rapporto muti il regime della prescrizione).

4. Anteriormente a tale nuova disciplina, come si è detto inapplicabile al caso di specie, la soluzione della questione del termine di prescrizione dei crediti per prestazioni non corrisposte integralmente ha formato oggetto di numerose pronunce di questa Corte di cassazione che ha avuto modo di elaborare il principio di diritto secondo il quale in tali casi l’applicabilità dell’art. 2948 c.c., è preclusa in quanto, pur trattandosi di erogazioni periodiche mensili, non sussiste il presupposto implicito della liquidità ed esigibilità del medesimo credito preteso; l’art. 2948 c.c., si è detto, presuppone la liquidità ed esigibilità del credito, perchè solo in tal caso il credito stesso si può considerare pagabile periodicamente e non è sufficiente, a questo fine, che tale sia soltanto in astratto, in base cioè alla disciplina legale applicabile nel momento in cui esso è sorto (Cass. 21 maggio 1990 n. 6245, Cass. n. 12472 del 1993, cit., Cass. n. 7393 del 1994; Cass. n. 4534 del 1995; Cass. 2563 del 2016).

5. Si è affermato che alle componenti essenziali di ratei di prestazioni previdenziali o assistenziali non liquidate si applica la prescrizione ordinaria decennale e non la prescrizione quinquennale, che presuppone la liquidità del credito, da intendere non secondo la nozione comune, ma secondo il disposto del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 129, secondo cui si prescrivono in cinque anni a favore dell’istituto le rate di pensione “non riscosse”; ne consegue che il diritto di credito relativo a qualsiasi somma (ivi compresa quella per rivalutazione ed interessi, costituente parte integrante del credito base) che non sia stata posta in riscossione si prescrive nel termine di dieci anni, trattandosi di credito non liquido ai sensi e per gli effetti del citato art. 129 (Cass. n. 10955 del 2002 ed anche Cass. n. 4353 del 2009, n. 16023 del 2004, n. 17771 del 2003, n. 7030 del 2003, n. 17126 del 2002).

6. In definitiva, non essendosi la sentenza impugnata conformata ai suddetti principi, la stessa va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione, che provvederà ad esaminare la fattispecie facendo applicazione dei principi sopra indicati ed alla luce della condotta processuale tenuta dall’INPS, oltre che e a regolare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2020

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