Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16255 del 28/06/2017
Cassazione civile, sez. VI, 28/06/2017, (ud. 17/02/2017, dep.28/06/2017), n. 16255
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28051-2015 proposto da:
D.M.V., S.V., elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA MUZIO CLEMENTI 9, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE
RAGUSO, rappresentati e difesi dall’avvocato NATALE CLEMENTE;
– ricorrenti –
contro
M.M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA
CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati
NICOLA MILILLO, GIOVANNI CHICCO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1660/2014 della CORTE D’APPFLLO di BARI,
depositata il 27/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 17/02/2017 dal Consigliere Dott. SCALISI ANTONINO.
Fatto
FATTO E DIRITTO
Preso atto che:
il Consigliere relatore Dott. Scalisi A. ha proposto che la controversia fosse trattata in Camera di Consiglio non partecipata dalla Sesta Sezione Civile di questa Corte, ritenendo la: “Inammissibilità del ricorso perchè proposto in violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83”.
La proposta del relatore è stata notificata alle parti.
Letti gli atti del procedimento di cui in epigrafe.
Ritenuto che:
D.M.V. e S.V. con ricorso notificato il 25 novembre 2015 hanno chiesto a questa Corte di Cassazione l’annullamento della sentenza n. 1660 del 2014, con la quale la Corte di appello di Bari confermava la sentenza del Tribunale di Lucera sez. staccata di Rodi Garganicol che aveva revocato parzialmente il decreto ingiuntivo chiesto dall’arch. M.M.M. per il compenso della propria attività professionale riducendo il compenso ad Euro 83.594,75.
1.= Con l’unico motivo D.M.V. e S.V. denunciano difetto e/o assenza di motivazione. Motivazione illogica, irrazionale e contraddittoria. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1353, 1356, 1358, 1362, 1363, 1364 e 1366 c.. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c..
1.1. = Il motivo è inammissibile perchè in violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83.
L’assunta violazione di legge si basa e presuppone una diversa valutazione e ricostruzione delle risultanze di causa, censurabile solo sotto il profilo del vizio di motivazione, secondo il paradigma previsto per la formulazione di detto motivo. Ma, soprattutto, il tenore delle censure, nel suo complesso, richiama, in vero, il testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella versione anteriore alla riforma introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134; norma, nel caso, non più applicabile, trattandosi di sentenza depositata il 27 ottobre 2014, quindi dopo l’entrata in vigore della precitata novella, la quale ha introdotto una disciplina più stringente, limitate la possibilità della denuncia dei vizi di motivazione che consentono l’intervento della Corte di Cassazione solo al caso di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Il cambiamento operato dalla novella è netto, dal momento che dal previgente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, viene eliminato non solo il riferimento alla “insufficienza” ed alla “contraddittorietà”, ma addirittura la stessa parola “motivazione”. Può, quindi, affermarsi che la nuova previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, legittima solo la censura per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, non essendo più consentita la formulazione di censure per il vizio di “insufficienza” o “contraddittorietà” della motivazione. Nè a diverso opinamento può pervenirsi nella considerazione che la censura per “omessa, insufficiente o contraddittorietà motivazione”, potrebbe trovare ingresso, dando prevalenza all’aspetto sostanziale più che a quello letterale e formale del mezzo e quindi prescindendo dalla inidoneità della formulazione, ostandovi l’evidente prospettiva della novella, introdotta dal Legislatore al fine di ridurre l’area del sindacato di legittimità sui “fatti”, escludendo in radice la deducibilità di vizi della logica argomentazione (illogicità o contraddittorietà), che non si traducano nella totale incomprensibilità dell’argomentare. In buona sostanza, ciò che rileva, in base alla nuova previsione, è solo l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, cioè la pretermissione di quei dati materiali, acquisiti e dibattuti nel processo, aventi portata idonea a determinare direttamente un diverso esito del giudizio.
Pertanto, il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio da atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condanna parte ricorrente a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 4.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali pari al 15% del compenso ed accessori come per legge, dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.
Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2017