Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16252 del 03/08/2016

Cassazione civile sez. II, 03/08/2016, (ud. 19/04/2016, dep. 03/08/2016), n.16252

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16439-2013 proposto da:

C.F.N., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE XXI APRILE 11, presso lo studio dell’avvocato CORRADO MORRONE,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI

BATTISTA POLICASTRI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI, (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 531/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 09/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/04/2016 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

udito l’Avvocato GIOVANNI BATTISTA POLICASTRI, difensore del

ricorrente, che si riporta agli atti depositati;

udito l’Avvocato CORSINI Isabella difensore del resistente che si

riporta agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso in opposizione C.F.N. esponeva che, con ordinanza del 18 dicembre 2006 n. 229, notificata in data 26 gennaio 2007, l’Ispettorato centrale repressione frodi del Ministero delle politiche agricole gli aveva comminato, in qualità di concorrente responsabile, la sanzione pecuniaria per la somma di Euro 40.571,00 con riferimento alla violazione della L. n. 898 del 1986, artt. 2 e 3 posta in essere da D.L.S.. Tale provvedimento era stato pronunciato sulla base del rapporto del Comando nucleo provinciale di polizia tributaria di Catanzaro, secondo cui il predetto D.L. aveva percepito indebitamente finanziamenti comunitari per l’esecuzione di interventi di miglioramento boschivo, denunciando un’estensione dell’impianto di latifoglie superiore a quello risultante all’esito del controllo e omettendo il completamento delle opere previste, con riguardo specifico a un intervento di recinzione. La violazione contestata all’opponente riguardava l’omesso collaudo finale delle opere: collaudo che, se effettuato, avrebbe evidenziato la non regolare esecuzione dei lavori e la loro difformità rispetto al progetto ammesso.

Nella resistenza del Ministero il Tribunale di Catanzaro, rilevando che l’esecuzione dei controlli sui lavori realizzati costituiva condizione per la liquidazione della sovvenzione e che nel caso di specie il mancato diligente controllo da parte di C. aveva contribuito alla commissione dell’illecito amministrativo da parte del beneficiario del contributo comunitario, respingeva l’opposizione, confermando l’ordinanza ingiunzione opposta.

L’opponente proponeva appello e il Ministero si costituiva anche in fase di gravame.

La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza depositata il 9 maggio 2012, rigettava l’impugnazione.

Contro quest’ultima pronuncia ha proposto ricorso per cassazione C.F.N., il quale ha fatto valere tre motivi di impugnazione illustrati da memoria. Resiste con controricorso il Ministero delle politiche agricole e forestali, costituitosi a mezzo della avvocatura generale dello Stato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. per non avere la Corte di merito ritenuto, con la sentenza impugnata, che la fattispecie sottoposta al proprio vaglio era coperta dal giudicato formatosi con riguardo a sentenza emessa dal Tribunale di Catanzaro;

lo stesso motivo lamenta inoltre insufficiente e contraddittoria motivazione della pronuncia impugnata, nonchè violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 111 Cost., comma 6. Espone il ricorrente che nell’atto introduttivo del giudizio di appello aveva evidenziato che il Ministero aveva notificato ad esso ricorrente altre ordinanze-ingiunzioni con riferimento a finanziamenti percepiti da distinti soggetti indicati nel medesimo elenco inviato all’Agea per la liquidazione dell’importo da erogarsi a titolo di contributo. In particolare, era stato richiamato il provvedimento sanzionatorio emesso con riferimento alla sovvenzione percepita da tale P.F.A., il quale si basava sulla contestazione, al ricorrente, del concorso nella medesima violazione della L. n. 898 del 1986, art. 2 che costituiva oggetto del presente giudizio: concorso che, secondo l’Amministrazione, si sarebbe attuato attraverso la trasmissione all’AGEA del nominato elenco. Nel detto diverso giudizio il Tribunale di Catanzaro aveva accolto l’opposizione, dichiarando insussistente la prova dell’elemento soggettivo dell’illecito in capo a C., e la sentenza non era stata impugnata, passando così in giudicato. La Corte di appello, nella sentenza che è oggetto del presente ricorso per cassazione aveva peraltro ritenuto irrilevante l’eccezione osservando come la violazione dei doveri di controllo imputata a C. si atteggiasse in maniera diversa con riguardo alle diverse fattispecie di illecito contestate. Secondo il ricorrente, in presenza di un unico comportamento, costituito dalla trasmissione dell’elenco più volte richiamato all’Agea, la declaratoria di insussistenza dell’elemento psicologico operata dal Tribunale si riverberava sul presente giudizio, inerendo la questione risolta con sentenza passata in giudicato allo stesso tema che era stato dibattuto nella causa decisa dalla Corte di appello. Assume infine l’istante che la Corte territoriale aveva omesso di prendere in considerazione il provvedimento reso dal Tribunale di Catanzaro nella parte in cui valorizzava l’assenza del’elemento psicologico dell’illecito.

Occorre premettere che la fattispecie oggetto del giudizio è regolamentata dal D.M. n. 494 del 1998, che ha dato attuazione al reg. (CEE) n. 2080/92 in materia di gestione, pagamenti, controlli e decadenze dell’erogazione di contributi per l’esecuzione di rimboschimenti o miglioramenti boschivi.

Prevede l’art. 5, comma 3 cit. decreto l’esecuzione di accertamenti “finali” aventi ad oggetto tutte le domande ammesse all’aiuto in relazione alle quali siano stati realizzati gli interventi autorizzati nella fase istruttoria: tali accertamenti sono condizione per la liquidazione del contributo. Per accertamento finale dell’avvenuta esecuzione dei lavori di rimboschimento e di miglioramento – spiega l’art. 5, comma 1 – si intende l’accertamento svolto dagli uffici regionali competenti, mediante sopralluoghi, al termine dei lavori, avente ad oggetto l’esecuzione degli interventi e la loro conformità qualitativa e quantitativa agli impegni assunti in domanda e ammessi in sede istruttoria.

Il D.M. cit., art. 6, comma 1 dispone poi che sulla base di quanto verificato in sede di accertamento finale, i beneficiari vengano inseriti negli elenchi di liquidazione per gli importi effettivamente dovuti. In base al detto art. 6, comma 4 qualora poi la superficie rimboschita e migliorata sia inferiore a quella ammessa, l’aiuto viene concesso e liquidato solo nei limiti di quanto accertato.

Risulta quindi dal D.M. n. 494 del 1998 che l’erogazione della sovvenzione è condizionata all’accertamento finale in loco, a seguito del quale l’organo competente provvede alla formazione dell’elenco.

Tanto detto, e prendendo in esame l’exceptio rei judicatae su cui verte il primo motivo, il ricorrente non ha prodotto copia integrale della sentenza resa dal Tribunale di Catanzaro munita della certificazione relativa al passaggio in giudicato: il provvedimento depositato col ricorso per cassazione è infatti addirittura incompleto, dal momento che è carente della parte motiva, mentre quello prodotto nella precedente fase di impugnazione (richiamato come doc. n. 13 del fascicolo di appello alla sesta pagina del ricorso) manca dell’attestazione di passaggio in giudicato della pronuncia (essendo stata anzi versata in atti una attestazione della pendenza del giudizio di appello).

Ciò determina l’inammissibilità della censura. Infatti, affinchè il giudicato esterno possa far stato nel processo, è necessaria la certezza della sua formazione, la quale deve essere provata attraverso la produzione della sentenza con il relativo attestato di cancelleria (Cass. 8 maggio 2009, n. 10623; Cass. 19 settembre 2013, n. 21469).

Va osservato, per completezza, che, come è stato osservato nella sentenza impugnata, l’interferenza della pronuncia resa dal Tribunale di Catanzaro col presente giudizio è comunque insussistente. E’ pacifico che tale pronuncia concerna l’erogazione di sovvenzione comunitaria attuatasi a seguito dell’inoltro all’Agea del medesimo elenco contenente il nominativo di D.L.: in particolare è incontestato che C. provvide a inviare il suddetto elenco in cui figuravano sia D.L., sia P.F.A. (nel concorso del cui illecito si è dibattuto nel diverso giudizio conclusosi con la sentenza resa dal Tribunale di Catanzaro), senza che si fosse prima proceduto al collaudo degli interventi eseguiti dai detti soggetti. Ma il fatto che D.L. e P. figurassero nel medesimo elenco inviato all’Agea non vale tuttavia a postulare che l’accertamento compiuto con riferimento ad una delle suddette posizioni valga anche per l’altra: e cioè che C., in quanto ritenuto non responsabile per il concorso nell’illecito addebitato a P.F.A., debba esserlo anche per l’illecito ascritto a Salvatore D.L.. Vengono infatti in questione diverse ordinanze-ingiunzioni, ciascuna delle quali è fondata sul concorso di C. in un distinto, autonomo, illecito amministrativo. La considerazione vale anche per l’elemento soggettivo, dal momento che, essendo plurime le violazioni contestate, ancorchè poste in essere con un unico atto, l’accertamento compiuto con riguardo a una di esse non implica alcunchè con riguardo alle altre, essendo certamente ipotizzabile un diverso atteggiarsi della sfera cognitiva e volitiva dell’incolpato con riferimento alle diverse fattispecie di illecito che gli sono state addebitate. Ne discende che le fattispecie oggetto dei due giudizi sono accomunate dalla sola circostanza che C. provvide a inserire i nominativi dei due richiedenti nel medesimo elenco, mentre la condotta consistente nell’omissione dei doverosi controlli quanto all’effettuazione dell’accertamento circa gli interventi che dovevano essere costitutivo estraneo all’accertamento Tribunale di Catanzaro nella sentenza è elemento compiuto dal che si deduce essere passata in giudicato (la quale si occupò della diversa vicenda che interessava P.F.A.).

Non è nemmeno congruente quanto osservato dal ricorrente in ordine ai vizi di omessa pronuncia e di omessa motivazione in ordine al dedotto giudicato. A prescindere, infatti, da quanto rilevato in ordine alla mancata documentazione di quest’ultimo, va osservato che il denunciato vizio di omessa pronuncia non si ravvisa, dal momento che la Corte di merito ha espressamente rigettato l’eccezione di giudicato, mentre quello basato sul difetto di motivazione non è nemmeno concepibile, visto che il giudicato (ove esistente) va assimilato agli elementi normativi, con riferimento ai quali non è deducibile una censura siffatta (per tutte: Cass. S.U. 25 novembre 2008, n. 28054).

Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, artt. 1, 3 e 5. La corte di merito aveva impropriamente ritenuto che l’elemento psicologico del concorso potesse ravvisarsi dal solo fatto che l’agente avesse presuntivamente violato una norma regolamentare che governa la fattispecie, senza alcuna prova di un consilium fraudis con il percettore delle somme. La stessa corte aveva infatti accertato che il ricorrente aveva quantomeno accettato il rischio del verificarsi dell’illecito sanzionato dalla norma, ma non aveva considerato che la responsabilità solidale negli illeciti amministrativi deve essere oggetto di specifica prova da parte dell’amministrazione intimante della consapevolezza, in capo all’incolpato, del collegamento finalistico dei vari atti, ovvero della coscienza e volontà di portare un contributo materiale e psicologico alla realizzazione dell’illecito. Inoltre, in base a quanto stabilito dalla Delib. Giunta Regionale 27 luglio 1999, n. 29999 e secondo le “prescrizioni e norme di carattere generale” adottate dalla Regione Calabria, era prevista la possibilità che l’impresa richiedente il contributo ottenesse la liquidazione delle somme prima del collaudo, salvo, nell’ipotesi di successivo accertamento di difformità delle opere rispetto al progetto, la facoltà, da parte dell’Amministrazione, di ottenere la restituzione delle somme erogate.

Il motivo va disatteso, in quanto la questione è mal posta e il ricorrente non coglie la ratio decidendi dell’impugnata pronuncia.

Il ricorso non censura sul versante motivazionale (art. 360 c.p.c., n. 5) i passaggi argomentativi della sentenza sul tema che qui interessa. Tali passaggi sono i seguenti: a) la qualifica di dirigente dell’assessorato all’agricoltura implicava in C. la necessaria conoscenza dell’iter burocratico e amministrativo della pratica di accesso agli aiuti comunitari; b) l’inserimento del nominativo di D.L. nell’elenco poi trasmesso all’Agea non costituiva un evento occasionale o fortuito: c) la tempistica dei fatti rendeva manifesto che il ricorrente fosse a conoscenza del fatto che l’Ispettorato provinciale dell’agricoltura non poteva aver operato l’accertamento finale all’esito del sopralluogo e del collaudo; d) quindi, poteva ritenersi provato che C., al momento in cui aveva inserito il nominativo di D.L. nell’elenco di liquidazione fosse pienamente consapevole dell’inesistenza del collaudo.

Da tale quadro la Corte di merito ha tratto la conseguenza che l’odierno istante avesse quantomeno accettato il rischio della percezione indebita di aiuti comunitari da parte del richiedente, avendo egli coscientemente proceduto all’inserimento di D.L. negli elenchi di liquidazione ben sapendo che non era stato espletato l’accertamento da parte dell’Ispettorato provinciale dell’agricoltura, e quindi senza che fosse stato posto in atto alcun controllo circa la corrispondenza tra le opere eseguite e quelle finanziate.

Ora, è ben vero che la L. n. 689 del 1981, art. 5 in tema di concorso di persone nella commissione di illeciti amministrativi, recepisce i principi fissati in materia dal codice penale, rendendo applicabile la pena pecuniaria a tutti coloro che abbiano offerto un contributo alla realizzazione dell’illecito, concepito come una struttura unitaria, nella quale confluiscono tutti gli atti dei quali l’evento punito costituisce il risultato, anche se detti atti, atomisticamente considerati, possono non essere illeciti, sempre che sussista nei singoli partecipi la consapevolezza del collegamento finalistico dei vari atti, e, cioè, la coscienza e volontà di portare un contributo materiale e psicologico alla realizzazione dell’illecito perseguito da tutti (Cass. 19 luglio 2001, n. 9837; Cass. 7 maggio 2002, n. 6531; Cass. 30 maggio 2002, n. 7908; cfr. pure: Cass. 13 luglio 2006, n. 15929; Cass. 4 agosto 2006, n. 17681). E’ però anche vero che a una coscienza e volontà orientate in tal senso è assimilabile l’atteggiamento psicologico di chi, violando un preciso obbligo di garanzia posto a suo carico, sia consapevole di rendere possibile con la propria condotta la consumazione, da parte di altri, di un illecito, di cui accetti il rischio: fattispecie, questa, riconducibile, in campo penalistico, al dolo eventuale. Competeva del resto al giudice del merito l’accertamento di fatto quanto alla indicata consapevolezza ed è insindacabile in questa sede, in quanto non censurata attraverso il vizio di motivazione, l’inferenza logica dell’accettazione del rischio (che del resto la corte di merito ha basato su di un procedimento deduttivo del tutto congruo).

Nè appare concludente l’assunto secondo cui l’assenza di colpevolezza del ricorrente dovrebbe desumersi dal fatto che la Delib. Giunta Calabra 27 luglio 1999 e le non meglio precisate “prescrizioni e norme di carattere generale” consentissero di chiedere l’erogazione del contributo prima del collaudo. A prescindere da ogni ulteriore considerazione, va infatti osservato come la Corte di appello abbia ben chiarito che la citata delibera, di cui ha riprodotto il punto 11, richiamato dal ricorrente, delinei un sistema di erogazione degli aiuti rigidamente subordinato al previo svolgimento dei controlli da parte degli organi competenti, avendo particolare riguardo alla fase dell’accertamento finale; quanto poi alle nominate “prescrizioni e norme di carattere generale” il giudice distrettuale ha evidenziato che le stesse non risultavano adottate da alcun organo della Regione Calabria, sicchè non poteva affermarsi che esse avessero valore normativo: affermazione, questa, che non è stata nemmeno censurata. Non si vede, dunque, come il ricorrente, che rivestiva una precisa posizione di garanzia in ordine alla concreta esecuzione delle verifiche del caso, potesse ritenersi esonerato da un obbligo di controllo, imposto da disposizioni normative vincolanti, in forza di un atto privo del nominato valore. In ciò non può non condividersi l’affermazione della corte territoriale, la quale ha correttamente rilevato come l’istante sarebbe incorso in un error juris non scusabile ove pure le prescrizioni in esame fossero state emanate da un’autorità avente potestà regolamentare, in quanto la normativa secondaria non può derogare a quella primaria.

Il terzo motivo prospetta una violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 112 e 116 c.p.c., nonchè della L. n. 689 del 1981, artt. 22, 22 bis e 23. Spettava alla pubblica amministrazione convenuta in giudizio – si sostiene – fornire la prova dei presupposti di fatto per l’irrogazione della sanzione, e cioè della sussistenza della condotta integrante la violazione e della sua riferibilità all’intimato; ciò che doveva essere rigorosamente provato era stato presunto per il sol fatto che l’inserimento di D.L. negli elenchi di liquidazione prima del collaudo rendeva del tutto prevedibile, da parte dell’appellante, la possibilità che gli aiuti fossero erogati senza che le opere fossero state in tutto o in parte eseguite. Con ciò la Corte di appello aveva ritenuto sufficiente per la conferma del provvedimento un giudizio di semplice prevedibilità quando avrebbe dovuto ancorare la decisione a un requisito di certezza.

In realtà, la Corte di merito ha evidenziato che, in base a quanto appurato dalla Guardia di finanza, D.L. aveva acquistato le piante nel periodo ricompreso tra il 22 aprile 2000 e il 20 giugno 2000, sicchè l’impianto era stato realizzato in epoca di gran lunga successiva all’inserimento dello stesso nell’elenco di liquidazione del 26 novembre 1999; ha poi aggiunto che era del tutto inverosimile che il sovvenzionato potesse aver completato le opere indicate nel progetto al momento della presentazione della dichiarazione degli interventi all’assessorato (ciò che era avvenuto il 24 novembre 1999), visto che il detto progetto era stato giudicato ammissibile al finanziamento appena il giorno prima, ossia il 23 novembre 1999). D.L. – ha rilevato ancora il giudice del gravame – aveva incassato contributi comunitari per somme maggiori di quelle cui aveva diritto in base all’accertamento compiuto nell’agosto del 2000 e questo evento non avrebbe potuto verificarsi se C., contravvenendo alle norme che disciplinano il procedimento amministrativo di erogazione degli aiuti, non avesse inserito il nominativo dello stesso D.L. nell’elenco di liquidazione prima che avesse luogo l’accertamento finale cui era subordinato il pagamento dei contributi. Ne ha tratto la conclusione che la condotta posta in essere dal ricorrente avesse avuto un’efficacia causale, o anche solo agevolatrice, rispetto alla violazione posta in atto dal sovvenzionato. Il che – deve osservarsi – vale a fondare la responsabilità dell’odierno istante per l’illecito contestatogli: infatti, anche nel campo dell’illecito amministrativo è configurabile un apporto esterno alla consumazione di esso, a condizione che ciò avvenga attraverso azioni od omissioni che, pur senza integrare la condotta tipica dell’illecito, ne rendano, però, possibile o ne agevolino la consumazione (Cass. 20 maggio 2011, n. 11160; cfr. pure Cass. 27 dicembre 2011, n. 28929). Questa Corte ha del resto sottolineato che anche nella materia dell’illecito per indebita percezione di aiuti comunitari il contributo concorsuale assuma rilevanza, e ciò sia quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione indefettibile della violazione, sia quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando l’illecito, senza la condotta di agevolazione, sarebbe egualmente commesso, ma con maggiore incertezze di riuscita o difficoltà (Cass. 13 luglio 2006, n. 15929; Cass. 12 aprile 2012, n. 5811, in motivazione, proprio con riferimento ad altro illecito addebitato all’odierno ricorrente con riferimento alla riscossione delle sovvenzioni resa possibile dall’invio del noto elenco).

A fronte dell’impianto argomentativo della sentenza impugnata, che è basato su precise risultanze, la censura di cui al terzo motivo si risolve in una generica contestazione dell’accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito: accertamento che non è evidentemente sindacabile nella presente sede.

Il ricorso va quindi rigettato, con condanna alle spese del ricorrente.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 3000,00, oltre spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. at. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 19 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2016

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