Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16251 del 29/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 29/07/2020, (ud. 21/01/2020, dep. 29/07/2020), n.16251

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. CIRIELLO Antonella – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21657/2018 proposto da:

ALLSYSTEM S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VIRGILIO 8, presso lo studio

dell’avvocato ANDREA MUSTI, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ANDREA FORTUNAT;

– ricorrente –

contro

A.F., domiciliato ope legis presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPE

MACRI’, MARCO ANDREA CAIONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 916/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 16/05/2018 R.G.N. 1524/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/01/2020 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANDREA MUSTI.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Milano rigettava il ricorso promosso da A.F., in opposizione all’ordinanza resa dallo stesso Tribunale in data 7 luglio 2017, al fine di ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli in data 17 novembre 2016 da Allsystem spa.

Il ricorrente riferiva di aver iniziato a prestare la propria attività lavorativa in favore della convenuta a partire dal 3 ottobre 2009, dapprima in forza di un contratto di apprendistato e, poi, di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato quale guardia giurata.

Allsystem, a seguito di numerose assenze per malattia del lavoratore aveva adito il Tribunale al fine di promuovere un a.t.p. diretto ad accertare lo stato di salute dell’ A. che, costituitosi, tuttavia si dichiarava indisponibile a sottoporsi all’esame.

Il giudice aveva quindi dichiarato il non luogo a provvedere.

Il 9 novembre 2016 l’ A. aveva ricevuto una contestazione disciplinare da parte della società, con cui si censurava il rifiuto del lavoratore di prestare il consenso a sottoporsi agli accertamenti, rendendo così impossibile la verifica del suo stato di salute e “giustificando ulteriormente i sospetti circa l’effettiva sussistenza degli episodi morbosi”.

La società, non accogliendo le giustificazioni del lavoratore, procedeva al suo licenziamento per giusta causa in data 17.11.16.

Il giudice dell’opposizione osservava come le numerose assenze per malattia del lavoratore nel corso del 2016, attestate da certificati emessi da medici diversi e poste a ridosso dei weekend e spesso alternate a ferie e permessi nei mesi di luglio e agosto 2016, avessero ingenerato in Allsystem s.p.a. dubbi circa l’effettività delle malattie stesse, ritenendo inoltre che il rifiuto dell’ A. a sottoporsi a CTU nell’ambito del giudizio per ATP dovesse essere qualificata come una rilevante violazione dei doveri di correttezza e buona fede gravanti sul lavoratore. Rigettava pertanto l’opposizione.

Contro la sentenza proponeva reclamo A.F. per non avere il Tribunale considerato che egli si costituì in sede di ATP, producendo documentazione sanitaria comprovante la sussistenza delle malattie e lamentando l’assenza di valutazione sul concorso di colpa della società per la tardività degli accertamenti ex art. 1227 c.c., senza mai aver proceduto ad eseguire i controlli sanitari previsti per le assenze effettuate, negando il suo obbligo di sottoporsi a c.t.u. nel procedimento di a.t.p..

Con sentenza depositata il 16.5.18, la Corte d’appello di Milano in totale riforma della sentenza impugnata, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato all’ A. da Allsystem spa e, per l’effetto condannava quest’ultima a reintegrare il reclamante nel precedente posto di lavoro con le medesime o equivalenti mansioni ed a corrispondergli l’indennità risarcitoria pari alle retribuzioni globali di fatto maturate dal giorno del recesso a quello dell’effettiva reintegrazione, nel limite massimo di 12 mensilità, oltre accessori di legge ed alle spese del doppio grado.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Allsystem, affidato a sette motivi, poi illustrati con memoria.

Resiste l’ A. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175,1375,2105 e 2119 c.c., anche in relazione alla L. n. 300 del 1970, art. 5 e art. 696 c.p.c..

Lamenta che la sentenza impugnata ritenne erroneamente che il rifiuto del lavoratore a sottoporsi all’ATP ed ispezioni sulla sua persona era facoltà della parte non qualificabile come grave inadempimento agli obblighi lavorativi (ai sensi dell’art. 696 c.p.c.) mentre era assolutamente valutabile come grave violazione degli obblighi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di lavoro.

2.- Con secondo motivo la società denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 118 c.p.c., comma 2, anche in relazione all’art. 13 Cost., comma 2 e art. 32 Cost., comma 2, laddove la corte di merito aveva escluso che dal rifiuto del lavoratore di sottoporsi all’ATP potessero evincersi argomenti di prova circa l’inesistenza delle malattie denunciate.

3.- Con terzo motivo la All System denuncia di nullità la sentenza per non aver valutato gli elementi di prova offerti dalla società, quali le date delle assenze (contigue ai fine settimana ed altri giorni non lavorativi), la diversità dei medici che certificarono le varie malattie.

4.- Con quarto motivo la società denuncia la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., in ordine alla violazione dei principi che regolano la prova presuntiva, ed in particolare la sussistenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, ravvisabili invece nella fattispecie, anche valutate le varie patologie denunciate (lombalgia, torocalgia, gastroenterite, rimozione di unghia incarnita, etc.) che non giustificavano certamente i 60 giorni di assenza in 10 mesi.

5.- Con quinto motivo la società denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ordine ai medesimi fatti ora esposti.

6.- con sesto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, per avere erroneamente ritenuto che le certificazioni mediche dell’ A. erano rimaste del tutto incontestate, mentre la società aveva evidenziato che tali certificazioni erano incomplete.

7.- con settimo, subordinato, motivo la società denuncia la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, commi 4 e 5. Lamenta che la sentenza impugnata ritenne erroneamente applicabile nella specie la tutela di cui all’art. 18, comma 4, Stat. lav. per insussistenza del fatto contestato, laddove, al più, poteva applicarsi la tutela di cui al comma 5, che presuppone la presenza del fatto contestato non integrante tuttavia gli estremi della giusta causa o del g.m. soggettivo di licenziamento.

8.- I motivi possono essere congiuntamente esaminati stante la loro connessione.

Deve premettersi che gli obblighi di correttezza e buona fede, sovente denunciata in ricorso, costituiscono un metro di valutazione in ordine all’adempimento o meno degli obblighi contrattuali e non anche una autonoma fonte di questi ultimi (ex aliis, Cass. n. 28974 del 04/12/2017, Cass. n. 6501 del 14/03/2013).

Occorre poi considerare che l’a.t.p., previsto dall’art. 445 bis c.p.c., per deflazionare il contenzioso in materia previdenziale e non certo per consentire al datore di lavoro di controllare lo stato di salute dei propri dipendenti, è dunque previsto come condizione di procedibilità nelle controversie di cui sopra, mentre per lo scopo voluto nella fattispecie dal datore di lavoro sovviene la L. n. 300 del 1970, art. 5, secondo cui: “sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente. 2. Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda. 3. Il datore di lavoro ha (inoltre) facoltà di far controllare la idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico”.

Il nuovo art. 445 bis c.p.c., prevede quindi come condizione di procedibilità nelle controversie previdenziali la presentazione, unitamente al ricorso giudiziario, di una istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa previdenziale fatta valere, restando così fermo il fatto che si tratta di un onere gravante su chi intende richiedere in giudizio una prestazione a carico dell’INPS, e non certo di un nuovo istituto, che si affiancherebbe senza alcun fondamento normativo agli ampi e diversi strumenti già indicati nel detto art. 5 S.L., che consente al datore di lavoro il controllo circa lo stato di salute dei suoi dipendenti ovvero la veridicità delle malattie da essi denunciate come causa di legittime assenze dal lavoro.

La circostanza poi che il ridetto art. 445 bis, richiami, nel procedimento da seguire in tema di a.t.p. ed in quanto compatibile, l’art. 696 c.p.c., previsto tra i mezzi di istruzione preventiva in casi connotati da particolare urgenza, non vale certo ad assimilare i due istituti, dovendo pertanto escludersi che al datore di lavoro sia consentito, in deroga non prevista al citato art. 5 S.L., far controllare per tale via, lo stato di salute dei suoi dipendenti.

Ciò incide anche sulla denunciata violazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 118 c.p.c., comma 2, che presuppongono un ordine giudiziale di ispezione, scaturito dall’istruttoria e non dal solo ricorso di una parte avente tale oggetto, restando comunque necessario il consenso dell’altra parte (art. 696 c.p.c., comma 1), consenso non richiesto dall’ispezione ex art. 118.

I motivi da 3 a 6 sono inammissibili in quanto diretti ad una diversa valutazione dei fatti di causa nel regime di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, novellato n. 5.

Il settimo motivo è invece infondato, non essendo affatto emersa dall’istruttoria la sussistenza dei fatti contestati.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2020

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