Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16251 del 03/08/2016


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Cassazione civile sez. II, 03/08/2016, (ud. 15/04/2016, dep. 03/08/2016), n.16251

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.S., rappresentata e difesa, in forza di procura speciale

in calce al ricorso, dagli Avvocati Pietro Zanchi e Lucia Secchi

Tarugi, elettivamente domiciliata in Roma, via Chellini n. 5, nello

studio dell’Avvocato Fabrizio Berliri;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MONTONE, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato

e difeso, in forza di procura speciale a margine del controricorso,

dagli Avvocati Maria Giovanna Belardinelli e Marcello Rosini,

elettivamente domiciliato nello studio dell’Avvocato Romana

D’Ambrosio in Roma, piazzale Clodio, n. 6;

– controricorrente –

e

GERIT s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Montepulciano, n.

66 in data 17 febbraio 2009;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15

aprile 2016 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentiti, per il ricorrente, l’Avvocato Lucia Secchi Tarugi e, per il

contro ricorrente, l’Avvocato Marcello Rosini;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore generale dott.

PRATIS Pierfelice, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 17 febbraio 2009, il Tribunale di Montepulciano, in riforma della pronuncia emessa dal Giudice di pace della stessa città, ha respinto l’opposizione proposta da A.S. avverso la cartella esattoriale emessa dalla Gerit s.p.a. per conto del Comune di Montone.

Per la cassazione della sentenza del Tribunale la A. ha proposto ricorso, sulla base di tre motivi.

Il Comune ha resistito con controricorso, mentre la Gerit s.p.a. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio e all’esito, con ordinanza interlocutoria n. 14888 del 2011, ne è stata disposta la trattazione in pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo la ricorrente si duole che la sentenza impugnata non abbia ritenuto soggetto alla sospensione feriale il termine per il pagamento in misura ridotta della sanzione in materia di infrazioni al codice della strada, e formula il seguente quesito di diritto: “Se in materia di pagamento delle infrazioni al Codice della Strada in misura ridotta, trovi applicazione – per ragioni di ordine sistematico, ricavabili dalla considerazione che il termine di sessanta giorni equivale a quello concesso all’interessato per il pagamento, ove consentito, in misura ridotta, con effetto estintivo dell’obbligazione – il prolungamento del termine di pagamento oltre i 60 giorni, qualora detto termine venga a scadere nel periodo in cui vige la sospensione feriale ex L. n. 742 del 1969, per cui sarebbe del tutto incongruo che si potesse decadere dall’azione giudiziaria prima del decorso di tale spatium deliberandi concesso dalla legge al trasgressore (se cioè pagare o contestare)”.

1.1. – Il motivo è infondato.

Occorre premettere che per chi riceve la contestazione o la notificazione dell’accertamento di una violazione del codice della strada si aprono tre possibilità.

La prima è quella del pagamento in misura ridotta, ai sensi dell’art. 202 C.d.S., comma 1, a tenore del quale “per le violazioni per le quali il presente codice stabilisce una sanzione amministrativa pecuniaria ferma restando l’applicazione delle eventuali sanzioni accessorie, il trasgressore è ammesso a pagare, entro sessanta giorni dalla contestazione o dalla notificazione, una somma pari al minimo fissato dalle singole norme”. A tale disposizione, vigente nel momento in cui la violazione è stata notificata, il legislatore ha poi aggiunto, sempre nel primo comma, la previsione che “tale somma è ridotta del 30 per cento se il pagamento è effettuato entro cinque giorni dalla contestazione o dalla notificazione. La riduzione di cui al periodo precedente non si applica alle violazioni del presente codice per cui è prevista la sanzione accessoria della confisca del veicolo, ai sensi del comma 3 dell’art. 210, e la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida”.

La seconda possibilità è quella del ricorso al prefetto, ai sensi dell’art. 203 C.d.S., il quale stabilisce che “il trasgressore o gli altri soggetti indicati nell’art. 196, nel termine di giorni sessanta dalla contestazione o dalla notificazione, qualora non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta nei casi in cui è consentito, possono proporre ricorso al prefetto del luogo della commessa violazione, da presentarsi all’ufficio o comando cui appartiene l’organo accertatore ovvero da inviarsi agli stessi con raccomandata con ricevuta di ritorno (…)”. L’art. 204, al comma 1, dispone poi che “il prefetto, esaminati il verbale e gli atti prodotti dall’ufficio o comando accertatore, nonchè il ricorso e i documenti allegati, sentiti gli interessati che ne abbiano fatta richiesta, se ritiene fondato l’accertamento adotta, entro centoventi giorni decorrenti dalla data di ricezione degli atti da parte dell’ufficio accertatore, secondo quanto stabilito al comma 2 dell’art. 203, ordinanza motivata con la quale ingiunge il pagamento di una somma determinata, nel limite non inferiore al doppio del minimo edittale per ogni singola violazione, secondo i criteri dell’art. 195, comma 2. L’ingiunzione comprende anche le spese ed è notificata all’autore della violazione ed alle altre persone che sono tenute al pagamento ai sensi del presente titolo. Ove, invece, non ritenga fondato l’accertamento, il prefetto, nello stesso termine, emette ordinanza motivata di archiviazione degli atti, comunicandola integralmente all’ufficio o comando cui appartiene l’organo accertatore, il quale ne dà notizia ai ricorrenti”.

Infine, l’art. 204-bis C.d.S. prevede che, “alternativamente alla proposizione del ricorso di cui all’art. 203, il trasgressore o gli altri soggetti indicati nell’art. 196, qualora non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta nei casi in cui è consentito, possono proporre ricorso al giudice di pace competente per il territorio del luogo in cui è stata commessa la violazione, nel termine di sessanta giorni dalla data di contestazione o di notificazione”. Nella formulazione originaria dell’art. 204-bis del codice della strada, introdotto dal D.L. n. 151 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2003, era anche contenuto il comma 3, il quale prevedeva che “all’atto del deposito del ricorso, il ricorrente deve versare presso la cancelleria del giudice di pace, a pena di inammissibilità del ricorso, una somma pari alla metà del massimo edittale della sanzione inflitta dall’organo accertatore. Detta somma, in caso di accoglimento del ricorso, è restituita al ricorrente”. Tale disposizione è però stata dichiarata incostituzionale con sentenza n. 114 del 2004. Il comma 5 dell’art. 204-bis, a sua volta prevedeva, nel testo ratione temporis applicabile, che “in caso di rigetto del ricorso, il giudice di pace, nella determinazione dell’importo della sanzione, assegna, con sentenza immediatamente eseguibile, all’amministrazione cui appartiene l’organo accertatore, la somma determinata, autorizzandone il prelievo dalla cauzione prestata dal ricorrente in caso di sua capienza; l’amministrazione cui appartiene l’organo accertatore provvede a destinare detta somma secondo quanto prescritto dall’art. 208. La eventuale somma residua è restituita al ricorrente”. Quest’ultima disposizione, con la L. n. 120 del 2010, è stata poi sostituita dalla seguente: “in caso di rigetto del ricorso, il giudice di pace determina l’importo della sanzione e impone il pagamento della somma con sentenza immediatamente eseguibile. Il pagamento della somma deve avvenire entro i trenta giorni successivi alla notificazione della sentenza e deve essere effettuato a vantaggio dell’amministrazione cui appartiene l’organo accertatore, con le modalità di pagamento da questa determinate”. Da ultimo, gli effetti della sentenza di rigetto dell’opposizione giurisdizionale sono delineati dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7, comma 11, a norma del quale “con la sentenza che rigetta l’opposizione il giudice determina l’importo della sanzione in una misura compresa tra il minimo e il massimo edittale stabilito dalla legge per la violazione accertata. Il pagamento della somma deve avvenire entro i trenta giorni successivi alla notificazione della sentenza e deve essere effettuato a vantaggio dell’amministrazione cui appartiene l’organo accertatore, con le modalità di pagamento da questa determinate.

1.2. – Il legislatore, a fronte della commissione di una violazione del codice della strada, ha dunque configurato una serie di rimedi di differente natura.

Il primo si sostanzia in una operazione materiale, consistente nella effettuazione di un pagamento: tale soluzione consente al contravventore di beneficiare di una riduzione della sanzione, che viene determinata per legge nella misura del minimo edittale (salve ulteriori riduzioni nel caso in cui il pagamento avvenga in termini particolarmente ravvicinati rispetto alla contestazione o alla notificazione della violazione). L’adempimento deve essere posto in essere entro sessanta giorni dalla contestazione o dalla notificazione della violazione e comporta la conseguenza che una volta effettuato non è più possibile ricorrere al prefetto o al giudice di pace. Il comma 3 del medesimo art. 203 dispone poi che “qualora nei termini previsti non sia stato proposto ricorso e non sia avvenuto il pagamento in misura ridotta, il verbale, in deroga alle disposizioni di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 17, costituisce titolo esecutivo per una somma pari alla metà del massimo della sanzione amministrativa edittale e per le spese di procedimento”.

Il secondo è un tipico ricorso amministrativo, che va del pari proposto entro il termine di sessanta giorni dalla contestazione o dalla notificazione della violazione. Il rigetto del ricorso comporta però la applicazione di una sanzione determinata nel limite non inferiore al doppio del minimo edittale per ogni singola violazione. In ordine a tale misura, nella giurisprudenza di legittimità si è ritenuto che anche in caso di reiezione dell’opposizione relativamente alla legittimità dell’ordinanza-ingiunzione impugnata, il giudice fosse legittimato a determinare, in senso migliorativo per l’opponente, la misura della sanzione, recependo le considerazioni svolte al riguardo dall’interessato, anche nell’ipotesi in cui la P.A. sia tenuta per legge, a determinare la sanzione con un limite non inferiore ad una data soglia (v. Cass. n. 12747 del 1999; Cass. n. 5070 del 2000). Si è anche ritenuto (Cass. n. 18811 del 2003) che il giudice investito della congruità della sanzione, non è propriamente chiamato a controllare la motivazione dell’atto sul punto, ma a determinare la sanzione stessa applicando direttamente i criteri di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 11, ma pur sempre in accoglimento della corrispondente domanda dell’opponente (v. Cass. n. 21486 del 2004).

Il terzo rimedio è un ricorso giurisdizionale, da proporre anch’esso entro il termine di sessanta giorni dalla contestazione o dalla notificazione, destinato a concludersi, in caso di rigetto della opposizione, nella formulazione originaria, prima della caducazione dell’art. 204, comma 3, ad opera della sentenza n. 114 del 2004, con la determinazione della sanzione entro il limite della cauzione versata, che doveva essere pari alla metà del massimo edittale; dopo la detta pronuncia, la determinazione della sanzione va fatta dal giudice di pace tra il minimo e il massimo previsti per la singola violazione accertata. In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che “in tema di opposizione al verbale di contestazione di una violazione al codice della strada, ai sensi del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 204-bis, il giudice, adito in alternativa al ricorso al prefetto, nel rigettare detta opposizione, può – anche d’ufficio, in assenza di espressa domanda da parte della Amministrazione in ordine alla determinazione della misura della sanzione – quantificare, in base al suo libero convincimento, la sanzione pecuniaria, che non sia predeterminata normativamente, in misura congrua, tra il minimo ed il massimo edittale” (Cass., S.U., n. 25304 del 2010).

Risulta chiaramente dalla formulazione delle richiamate disposizioni che il legislatore ha inteso incentivare la definizione in tempi rapidi delle conseguenze sanzionatore delle violazioni al codice della strada: definizione che, ai fini che qui rilevano, implica unicamente la scelta, da parte del soggetto sanzionato, se usufruire del beneficio del pagamento in misura ridotta, ovvero proporre ricorso al prefetto, nel medesimo termine di sessanta giorni decorrenti dalla contestazione o dalla notificazione della violazione, ovvero, in caso di reiezione del ricorso al prefetto e di emissione dell’ordinanza-ingiunzione, o al giudice di pace, entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione del provvedimento sanzionatorio.

2. – Venendo, quindi, più direttamente alla questione posta dal primo motivo di ricorso, si deve rilevare che, con riferimento al termine per il pagamento in misura ridotta, questa Corte ha già avuto modo di affermare che “la sospensione feriale dei termini, prevista per la proposizione del ricorso dinanzi al giudice di pace, non è applicabile al pagamento dell’oblazione. Tale sospensione, se è necessaria al fine di garantire al destinatario della contestazione uno spatium deliberandi effettivo in ordine ad un’attività prettamente tecnica (la proposizione di un ricorso) che potrebbe essere compromessa dalla chiusura degli studi legali nel periodo feriale, non appare invece necessaria per assicurare il compimento di una attività materiale come quella del pagamento dell’oblazione, il cui apatium deliberandi, fissato in 60 giorni, non risente in alcun modo del periodo feriale ed è comunque assicurato nella sua interezza. La previsione da parte del legislatore della sospensione feriale dei termini risponde dunque ad una ratio ben precisa (quella di consentire la difesa tecnica in giudizio), che non permette di ampliarne l’applicabilità ai termini per il pagamento dell’oblazione, poichè questi ultimi non sono termini processuali e non sono connessi con l’esercizio di un’azione giudiziale, ma attengono ad atti da compiersi nell’ambito di un procedimento amministrativo di carattere sanzionatorio” (Casa. 22 gennaio 2007, n. 1280; Cass. n. 19345 dal 2013, secondo cui “la sospensione feriale dei termini processuali, riconnettendosi alla necessità della difesa tecnica in giudizio, non si applica al termine per il pagamento in misura ridotta della sanzione amministrativa pecuniaria per le violazioni al codice della strada, in quanto esso è connesso non all’esercizio di un’azione giudiziale, ma ad un atto da compiersi nell’ambito di un procedimento amministrativo”).

Ma anche con riferimento al secondo rimedio questa Corte ha ritenuto che “la disciplina sulla sospensione dei termini dal l agosto al 15 settembre di ciascun anno, posta dalla L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1, riconnettendosi alla necessità della difesa tecnica in giudizio, vale per i soli termini processuali, non potendo così trovare applicazione al termine di sessanta giorni, dalla contestazione o dalla notificazione dell’accertamento di una violazione del codice della strada, stabilito dal D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 203, per proporre ricorso in via amministrativa al prefetto, che ha riguardo ad attività da compiersi nell’ambito di un procedimento amministrativo. Nè, in ragione della inapplicabilità della disciplina sulla sospensione feriale all’anzidetto termine di cui all’art. 203 citato, è dato apprezzare un vulnus agli artt. 24 e 3 Cost. (donde, la manifesta infondatezza della relativa questione di legittimità costituzionale) posto, rispettivamente, che: 1) il procedimento dinanzi al prefetto è privo del carattere giurisdizionale e, quindi, non richiede l’esplicazione della difesa tecnica; 2) la diversità di situazioni, tra l’impugnazione del verbale dinanzi al prefetto e quella, in via alternativa, dinanzi al giudice di pace, ex art. 204-bis C.d.S., che determina l’instaurarsi di un vero proprio giudizio, giustifica il loro differente trattamento in relazione alla sospensione feriale dei termini” (Casa. n. 4170 del 2010).

Nella motivazione di tale sentenza si è chiarito che la lettera e la ratio della L. n. 742 del 1969, che si riconnette alla necessità della difesa tecnica in giudizio, “impongono di riferire l’istituto della sospensione feriale a tutti i termini processuali, relativi alla giurisdizione sia ordinaria che amministrativa, ed anche al termine entro il quale deve essere proposta l’azione giudiziaria (Corte cost., sentenza n. 268 del 1993; ordinanza n. 296 del 1998), ma non consentono di ampliarne l’applicabilità al termine per l’impugnazione dinanzi al prefetto del verbale di contestazione o di accertamento dell’infrazione al codice della strada, il quale non è un termine processuale nè è connesso con l’esercizio di un’azione giudiziale, ma attiene ad atti da compiersi nell’ambito di un procedimento amministrativo”. Si è quindi rilevato che “la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel negare l’applicabilità della L. n. 742 del 1969, art. 1 al di fuori del processo e degli atti di accesso al giudice (Cass., Sez. 1, 8 ottobre 2008, n. 24866, in tema di termine per la pronuncia del lodo previsto dall’art. 820 cod. proc. civ.; Cass., Sez. 1, 26 febbraio 2004, n. 3842, e Cass., Sez. 2, 22 gennaio 2007, n. 1280, entrambe con riguardo ai termini per la notifica dei verbali di accertamento delle violazioni del codice della strada; Casa., Sez. 3, 12 aprile 1990, n. 3143, in relazione al termine di sessanta giorni entro cui, ai sensi del D.L. 23 dicembre 1976, n. 857, art. 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1977, n. 39, per i sinistri con soli danni alle cose, l’assicuratore deve comunicare al danneggiato la misura della somma offerta per il risarcimento ovvero indicare i motivi per i quali non ritiene di fare offerta)”. E si è ulteriormente osservato che “nello stesso senso è orientato il giudice amministrativo, che esclude l’operatività della sospensione dei termini nel periodo feriale in materia di ricorsi amministrativi, ivi compreso il ricorso straordinario al Capo dello Stato (Cons. Stato, Sez. 3, 31 gennaio 1984, n. 155; Cons. Stato, Sez. 5, 3 ottobre 1989, n. 577; Cons. Stato, Sez. 6, 3 dicembre 1994, n. 1727; Cons. Stato, Sez. 3, 8 gennaio 2002, n. 1492/2001; Cons. giust. amm. Reg. Siciliana 14 dicembre 1992, n. 539/92)”.

Nella stessa sentenza si ribadisce, invece, la piena assoggettabilità del ricorso ex art. 204-bis C.d.S. alla sospensione dei termini di cui alla L. n. 742 del 1969.

3. – Il Collegio condivide pienamente tale approdo ermeneutico e le deduzioni della ricorrente non appaiono idonee ad indurre a soluzioni differenti.

Invero, pur volendosi condividere il rilievo secondo cui l’esercizio della facoltà di pagare la sanzione in misura ridotta ha natura indubbiamente deflattiva, discendendo dall’esercizio di tale facoltà la preclusione della proposizione sia del ricorso al Prefetto, sia dell’opposizione in sede giurisdizionale, tuttavia deve escludersi che il rapporto tra cittadino e amministrazione, nel quale chiaramente si collocano la contestazione di un illecito amministrativo conseguente a violazione di norme del codice della strada, la applicazione della relativa sanzione amministrativa e la facoltà, riconosciuta all’interessato, nei casi in cui ciò non sia espressamente escluso in considerazione della sanzione applicabile, di beneficiare della riduzione della sanzione pecuniaria, debba essere attratto per ciò solo nell’orbita della giurisdizione, rendendo applicabile al detto pagamento in misura ridotta la sospensione feriale dei termini processuali. Del resto, la sospensione feriale dei termini, in considerazione della sua ratio, mal si attaglia ad istituti che consistono nel mero compimento di attività materiale, che non richiede la necessità di un’assistenza tecnica in senso stretto.

Non è senza rilievo, poi, che la Corte costituzionale, nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 204-bis, nella parte in cui, a pena di inammissibilità, prevede che il ricorso al giudice di pace competente per territorio può essere proposto dal trasgressore o dagli altri soggetti indicati nell’art. 196, qualora non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta nei casi in cui è consentito, abbia individuato una specifica funzione deflattiva nel pagamento in misura ridotta, qualificato come beneficio offerto al contravventore in funzione deflattiva dei procedimenti contenziosi, sia amministrativi che giurisdizionali, alla pari di analoghi istituti presenti in altre discipline processuali; derivando, da tale qualificazione, la conseguenza che la situazione di chi non si avvale del rimedio del gravame per lucrare il beneficio – consentendo alla norma di raggiungere il suo effetto deflattivo consistente nell’impedire l’insorgere di qualsiasi contenzioso avverso il verbale di contestazione – non può essere posta a raffronto con quella di chi, invece, si avvale del rimedio (Corte cost., sent. n. 468 del 2005; Corte cost., ord. n. 46 del 2007).

Deve quindi ribadirsi il principio per cui la lettera e la ratio della L. n. 742 del 1969, che disciplina la sospensione feriale dei termini e che si riconnette alla necessità della difesa tecnica in giudizio, impongono di riferire l’istituto della sospensione feriale a tutti i termini processuali, relativi alla giurisdizione sia ordinaria che amministrativa, ed anche al termine entro il quale deve essere proposta l’azione giudiziaria, ma non consentono di ampliarne l’applicabilità al termine per il pagamento in misura ridotta della sanzione amministrativa pecuniaria, anche se da detto pagamento deriva la preclusione della successiva opposizione in sede giurisdizionale, atteso che il detto termine di sessanta giorni non è un termine processuale e attiene ad atti da compiersi nell’ambito di un procedimento amministrativo.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia omessa e, comunque, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, dolendosi sostanzialmente della omessa pronuncia sulla questione, riproposta in sede di appello, della erronea determinazione della somma dovuta. In particolare, la ricorrente indica il fatto controverso nell’avvenuto pagamento della somma di Euro 141,00 e nella indicazione del massimo edittale, in base al quale avrebbe dovuto essere calcolato l’importo della cartella.

3. – Con il terzo motivo la ricorrente lamenta falsa applicazione delle norme di diritto nella parte in cui il Tribunale afferma che non risulta spiegato appello incidentale.

3.1. – Il secondo e il terzo motivo, all’esame dei quali può procederai congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.

Con il secondo motivo, invero, la ricorrente deduce l’omessa motivazione in ordine alla deduzione svolta con il secondo motivo di opposizione concernente la determinazione delle somme dovute. Con il terzo motivo, la ricorrente sostiene che tale omesso esame dipenderebbe dall’avere il Tribunale erroneamente ritenuto necessario nel caso di specie l’appello incidentale.

Il Tribunale, pur non procedendo ad un’analitica disamina delle deduzioni svolte dalla opponente, attuale ricorrente, in ordine alla somma oggetto della cartella di pagamento, ha tuttavia rilevato che la somma stessa risultava correttamente determinata per effetto dell’applicazione delle maggiorazioni di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 27.

Orbene, nel mentre deve escludersi certamente il vizio di omessa pronuncia, deve ritenersi inammissibile la censura con la quale la ricorrente ripropone in questa sede il contenuto del secondo motivo di opposizione concernente la determinazione della somma dovuta. Infatti, a fronte dell’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui andava effettuato il pagamento nella misura della metà del massimo edittale e che non essendosi ciò verificato, a quest’ultimo importo, con la cartella esattoriale, andava aggiunta la maggiorazione L. n. 689 del 1981, ex art. 27, comma 6, i diritti e le spese di riscossione, la ricorrente avrebbe dovuto innanzitutto riprodurre il contenuto della cartella e la specificazione delle voci in base alle quali era stato richiesto l’importo di Euro 492,34, e quindi esplicitare le ragioni per le quali il detto importo sarebbe stato errato. Al contrario, la ricorrente si è limitata a dedurre che il Tribunale non si sarebbe espresso in merito alle somme già percepite dal Comune di Montone per effetto del pagamento effettuato in misura ridotta, ma non ha svolto alcuna specifica censura in ordine alla ritenuta inapplicabilità della maggiorazione ex art. 27, comma 6, al caso di specie. In sostanza, non risultando contestata l’affermazione del Tribunale in ordine all’applicabilità delle maggiorazioni, in mancanza di una descrizione del contenuto della cartella opposta e delle somme dovute per le singole voci, ivi compresa quella relativa alle maggiorazioni ex art. 27, comma 6, non è possibile apprezzare la rilevanza della deduzione della ricorrente in ordine alla mancata detrazione della somma già pagata.

3.2. – Si deve solo aggiungere che la ricorrente, nella memoria depositata in prossimità della pubblica udienza, ha contestato l’applicabilità delle maggiorazioni di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 27, comma 6, alle sanzioni per violazioni del codice del codice della strada.

Pur dovendo ribadire la inammissibilità di tali deduzioni alla luce del principio per cui “nel giudizio di legittimità non è consentito, con le memorie di cui all’art. 378 c.p.c. e con quelle omologhe di cui all’art. 380-bis c.p.c., specificare od integrare, ampliandolo, il contenuto delle originarie argomentazioni e dedurre nuove eccezioni o sollevare questioni nuove, violandosi, altrimenti, il diritto di difesa della controparte” (v., di recente, Cass. n. 3471 del 2016), il Collegio non può esimersi dal rilevare che la applicabilità delle dette maggiorazioni era stata già affermata da Cass. n. 22100 del 2007, ed è stata ribadita da Cass. n. 1884 del 2016.

4. – In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. La ritenuta necessità di approfondimento in ordine alle questioni poste dal primo motivo di ricorso giustifica la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 15 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2016

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