Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16248 del 29/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 29/07/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 29/07/2020), n.16248

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11586/2016 proposto da:

SILBA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO 18, presso lo

studio dell’avvocato PIERLUIGI RIZZO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato NUNZIO RIZZO;

– ricorrente –

contro

E.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA UGO DE

CAROLIS 31, presso lo studio dell’avvocato VITO SOLA, rappresentato

e difeso dagli avvocati ANIELLO CAPUANO e GABRIELE CAPUANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1137/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 28/10/2015, R.G.N. 229/2014.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con sentenza 28 ottobre 2015, la Corte d’appello di Salerno dichiarava illegittimo il licenziamento intimato il 12 febbraio 2012 da Silba s.p.a. a E.G. e condannava la prima al pagamento, in favore del secondo a titolo risarcitorio, di un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento al 15 febbraio 2013, oltre agli accessori di legge e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per il medesimo periodo, nonchè a un’indennità, ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro: così riformando la sentenza di primo grado, di rigetto della domanda del lavoratore di accertamento di illegittimità del suddetto licenziamento;

2. avverso la predetta sentenza la società datrice ricorreva per cassazione con tre motivi, cui il lavoratore resisteva con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. la società ricorrente deduce omesso esame del fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti, quale l’avvenuto esercizio del diritto di opzione per l’indennità sostitutiva della reintegrazione con la nota 8 novembre 2012 anzichè il 15 febbraio 2013, con le conseguenti cessazione del rapporto di lavoro e condanna della datrice al relativo risarcimento del danno fino alla prima data (primo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per la condanna della società al pagamento di un’indennità sostitutiva della reintegrazione, pari a quindici mensilità, in assenza di una domanda del lavoratore in tale senso, in quanto non contenuta nelle conclusioni del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (secondo motivo); violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, per la riconosciuta possibilità di esercizio dell’opzione sostitutiva della reintegrazione anche all’esito di ordinanza cautelare in via d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c. (terzo motivo);

2. in via preliminare, deve essere ritenuta l’ammissibilità del ricorso, non comportando la mancata opposizione del decreto ingiuntivo ottenuto dal lavoratore al pagamento, nei confronti della società datrice, della somma di Euro 39.336,30 relativa alle quindici mensilità di commisurazione dell’indennità riconosciuta dalla sentenza, oggetto dell’odierno ricorso, alcun effetto preclusivo per la formazione di un supposto giudicato;

2.1. è noto, infatti, che l’effetto espansivo esterno del giudicato, previsto dall’art. 336 c.p.c., comma 2, operi anche nel caso in cui il diritto posto alla base di un decreto ingiuntivo, ottenuto in base ad una sentenza immediatamente esecutiva sull’an debeatur, sia stato negato a seguito di riforma o cassazione della sentenza che l’aveva accertato e travolga gli effetti anche esecutivi del decreto stesso (Cass. 13 giugno 2014, n. 13492; Cass. 13 settembre 2019, n. 22864);

3. i tre motivi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati;

3.1. in ordine all’esercizio della facoltà del lavoratore di sostituzione della reintegrazione con una indennità alternativa, il legislatore ne ha fissato il dies ad quem di decadenza in trenta giorni dal ricevimento dell’invito del datore di lavoro di riprendere il servizio, ovvero dalla comunicazione del deposito della sentenza, poichè fino allo scadere del suddetto termine il diritto del lavoratore di ottenere l’indennità monetaria al posto della reintegrazione, quale effetto delle statuizioni contenute nella sentenza dichiarativa dell’illegittimità del recesso, fa parte del suo patrimonio (Cass. 29 gennaio 2018, n. 2139);

3.2. quanto al dies a quo della richiesta, esso può ben essere anteriore, in quanto l’istanza sia contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio (Cass. 28 novembre 2006, n. 25210) o sia formulata in corso di causa (Cass. 28 luglio 2005, n. 15898) o anche nel ricorso per ottenere in via d’urgenza un provvedimento contro il licenziamento ritenuto illegittimo (Cass. 25 gennaio 2011, n. 1690); tuttavia, l’estinzione del rapporto (senza necessità di pagamento dell’indennità stessa nè di permanenza per il periodo successivo, in cui la prestazione lavorativa non è dovuta dal lavoratore nè può essere pretesa dal datore di lavoro, di alcun obbligo retributivo), in virtù della comunicazione al datore di lavoro di tale scelta (Cass. s.u. 27 agosto 2014, n. 18353), consegue quale effetto delle statuizioni della suddetta sentenza dichiarativa di illegittimità del recesso (Cass. 29 gennaio 2018, n. 2139);

3.3. pertanto l’omesso esame del fatto denunciato (l’avere il lavoratore esercitato l’opzione per l’indennità sostitutiva della reintegrazione con la nota dell’8 novembre 2012) difetta di decisività in quanto inidoneo, in mancanza a quella data di una sentenza di accertamento dell’illegittimità del licenziamento e costitutiva dell’obbligo di reintegrazione del rapporto, alla sua estinzione; peraltro, detta nota vale ai fini di manifestazione della volontà di esercitare l’opzione per l’indennità sostitutiva di quindici mensilità ed è stata pure reiterata al punto 4 delle conclusioni del ricorso introduttivo del lavoratore (trascritto al secondo capoverso di pg. 11 del ricorso), così dovendosi pure escludere la violazione del principio di non corrispondenza della pronuncia (di condanna al pagamento di indennità sostitutiva della reintegrazione), alla domanda, che invece ne conteneva la richiesta;

3.4. infine, è altresì corretto il riconoscimento della possibilità di esercizio dell’opzione sostitutiva della reintegrazione anche all’esito di ordinanza cautelare in via d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c., nei limiti suddetti, per le ragioni illustrate;

4. le superiori argomentazioni comportano il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza, con distrazione in favore dei difensori antistatari secondo la loro richiesta e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 7.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge, con distrazione in favore dei difensori anticipatari.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2020

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