Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16240 del 25/07/2011

Cassazione civile sez. II, 25/07/2011, (ud. 26/05/2011, dep. 25/07/2011), n.16240

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIALE SOMALIA 250, presso lo studio dell’avvocato DI FURIA

ANNALISA, rappresentato e difeso dall’avvocato GIMIGLIANO FRANCESCO;

– ricorrente –

contro

RACOA DI GIANFRANCO BELLI DITTA (OMISSIS) in persona del titolare

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TIRSO 90,

presso lo studio dell’avvocato PATRIZI GIOVANNI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MONACO GIAMPAOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 307/2005 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 28/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2011 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;

udito l’Avvocato GIMIGLIANO Edoardo, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato Francesco GIMIGNANO, difensore del ricorrente che ha

chiesto accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato PATRIZI Giovanni, difensore del resistente che ha

chiesi il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 24-10-2001 D.F. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Terni la ditta RACOA di B. G., assumendo di avere acquistato dalla stessa un’auto Peugeot 306 Cabrio 1,8, sul presupposto che tale veicolo, così come pubblicizzato dalla venditrice sul periodico Auto supermarket, fosse dotato del dispositivo di frenatura denominato ABS, viceversa risultato inesistente. L’attore chiedeva, pertanto, che, accertato che il suo consenso alla compravendita era stato prestato per effetto del dolo determinante della controparte o per errore essenziale e riconoscibile, il contratto di compravendita venisse annullato o, in via subordinata, risolto ai sensi dell’art. 1490 c.c., con conseguente condanna del convenuto alla restituzione del prezzo versato, oltre al risarcimento danni.

Nel costituirsi, la ditta RACOA contestava la fondatezza della domanda e ne chiedeva il rigetto.

Con sentenza depositata il 30-10-2003 il Tribunale adito, ritenuto che il consenso del D. era viziato da errore essenziale e riconoscibile, in accoglimento della domanda attrice annullava il contratto di compravendita; condannava la ditta RACOA alla restituzione della somma di Euro 9.296,22, con gli interessi legali dal 17-5-2001, nonchè al pagamento della somma di Euro 1.032,91, da rivalutare dal 17-5-2001 al saldo; ordinava alla convenuta di ritirare la vettura, previa trascrizione della proprietà del veicolo a suo favore ed a sue cure e spese.

A seguito di gravame della convenuta, con sentenza depositata il 29/7/2005 la Corte di Appello di Perugia, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda proposta dall’attore, ritenendo che nella specie difettava sia il requisito dell’essenzialità che quello della riconoscibilità dell’errore.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il D., sulla base di un unico motivo.

Il B. ha resistito con controricorso, al quale ha fatto seguire il deposito di una memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) In primo luogo, deve essere disattesa l’eccezione sollevata dal resistente nel controricorso, secondo cui la procura rilasciata dal D. a margine del ricorso sarebbe nulla per mancanza del requisito di specialità, non contenendo alcun riferimento alla sentenza da impugnare.

Costituisce, infatti, un principio del tutto pacifico in n giurisprudenza quello secondo cui il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione è per sua natura un mandato speciale, senza che occorra per la sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso ed alla sentenza contro la quale la impugnazione si rivolge. Infatti, la specialità del mandato è con certezza deducibile allorchè dal relativo testo sia dato evincere una positiva volontà del conferente di adire il giudice di legittimità; il che accade quando la procura al difensore, come nel caso di specie, forma materialmente corpo con il ricorso al quale essa inerisce (Cass. 9-5-2007 n. 10539; Cass. 20-4-2007 n. 943; Cass. 20-12-2005 n. 28227).

2) Con l’unico motivo di ricorso il D. lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., degli artt. 1427, 1428, 1429 e 1431 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sia in ordine all’essenzialità che alla riconoscibilità dell’errore.

Fa presente che la Corte di Appello ha escluso l’essenzialità dell’errore in considerazione del documento prodotto in sede di gravame, intestato “scrittura privata di custodia”, da cui risultava che i chilometri percorsi al momento della riconsegna dell’auto alla venditrice nel 2004 erano circa 168.000, rispetto ai 76.000 percorsi al momento della compravendita nel 2001; documento che, secondo il giudice territoriale, dimostrava in modo inequivoco che la presenza del dispositivo ABS sul veicolo in questione non era così importante come asserito dall’attore. Sostiene che tale rilievo è in primo luogo viziato sul piano processuale, per violazione dell’art. 345 c.p.c., in quanto correlato ad una situazione nuova, documentata dall’appellante solo in sede di precisazione delle conclusioni.

Aggiunge che il predetto rilievo è viziato anche sul piano logico, in quanto l’errore, quale vizio del consenso, deve essere valutato con riferimento al momento genetico della compravendita, essendo ininfluente, ai fini della relativa indagine, l’uso della vettura posteriore all’acquisto. Rileva, inoltre, che la Corte di Appello, nell’escludere l’essenzialità dell’errore, ha omesso l’esame della circostanza dedotta nella comparsa di costituzione in appello dal D., rappresentata dal fatto che il predetto, subito dopo l’esecuzione della sentenza di primo grado, aveva acquistato all’estero (in (OMISSIS)) un’altra Peugeot 306 Cabrio, del tutto simile alla precedente, ma munita del dispositivo ABS. Quanto alla ritenuta non riconoscibilità dell’errore, il ricorrente deduce che la motivazione è illogica nella parte in cui ha considerato priva di valore l’errata inserzione pubblicitaria dell’auto, dipesa dalla stessa RACOA. Sostiene, inoltre, che nel procedere alla valutazione dell’indicato requisito la Corte di merito, in violazione dell’art. 1431 c.c., non ha tenuto conto delle qualità del ricorrente (acquirente) e della ditta RACOA (ditta operante nel settore della compravendita di veicoli, dotata di conoscenze professionali in materia). Aggiunge che il giudice di appello, ai fini della riconoscibilità dell’errore, non ha considerato che l’errore di determinazione del consenso del ricorrente trovava causa nella condotta della convenuta, la quale aveva provveduto ad una inserzione pubblicitaria dell’auto che, a caratteri cubitali, esponeva l’offerta di vendita di un veicolo dotato di dispositivo ABS, determinante il consenso contrattuale del ricorrente.

3) Il motivo è infondato.

E’ noto che l’errore è causa di annullamento del contratto quando è essenziale ed è riconoscibile dall’altro contraente. Il giudice di merito dinanzi al quale sia stato impugnato un contratto per errore, pertanto, è tenuto ad una doppia indagine: la prima, riferita al contraente che assume di essere caduto in errore, volta a stabilire se questi si sia indotto alla stipula in base ad una distorta rappresentazione delle realtà; la seconda, riguardante l’altro contraente, diretta ad accertare se questi, con l’uso della normale diligenza, avrebbe potuto rendersi conto dell’altrui errore.

L’indagine diretta e verificare, alla stregua di tali criteri, la sussistenza in concreto degli indicati elementi, si risolve in un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata e corretta motivazione.

Tale esigenza nella specie è stata pienamente soddisfatta, avendo la Corte di Appello dato conto, con motivazione corretta sul piano logico e giuridico, della non essenzialità e della non riconoscibilità dell’errore dedotto dal D..

Nel procedere più analiticamente all’esame delle censure mosse dal ricorrente, si osserva, con riferimento alle deduzioni svolte in punto di essenzialità dell’errore, che la Corte di Appello, nel ritenere l’ammissibilità del documento (denominato “scrittura privata di custodia”) prodotto dall’appellante in sede di precisazione delle conclusioni, non è affatto incorsa nella violazione dell’art. 345 c.p.c..

Giova rammentare che, secondo un orientamento ormai consolidato in giurisprudenza, l’art. 345 c.p.c., comma 3, che fissa sul piano generale il principio della inammissibilità di mezzi di prova “nuovi” – la cui ammissione, cioè, non sia stata richiesta in precedenza – e, quindi, anche delle produzioni documentali, indica nello stesso tempo i limiti di tale regola, con il porre in via alternativa i requisiti che tali documenti, al pari degli altri mezzi di prova, devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame, sempre che essi siano prodotti, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione degli stessi nell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado (a meno che la loro formazione non sia successiva e la loro produzione non sia stata resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo); requisiti consistenti nella dimostrazione che le parti non abbiano potuto proporre prima i documenti per causa ad esse non imputabile, ovvero nel convincimento del giudice della indispensabilità degli stessi per la decisione (Cass. Sez. Un. 20-4-2005 n. 8203; Cass. 28-3-2006 n. 76073; Cass. 8/3/2007 n. 5323; Cass. 11-5-2010 n. 11346).

Nella specie, la Corte di Appello si è pienamente attenuta a tali principi, in quanto, nel ritenere ammissibile la produzione documentale effettuata in sede di conclusioni dall’appellante, ha dato atto sia della indispensabilità del documento prodotto ai fini della decisione, sia del fatto che, trattandosi di documento formato in data 23-4-2004, dopo la proposizione dell’appello, il medesimo non avrebbe potuto essere prodotto nel giudizio di primo grado, nè “annunciato” nell’atto di gravame, notificato il 27-1-2004 e il 3/2/2004.

La Corte territoriale, nel dare atto, sulla base delle indicazioni contenute nella menzionata “scrittura privata di custodia”, che dalla data dell’acquisto dell’auto e quello della riconsegna erano stati percorsi oltre 92.000 chilometri, ha ritenuto la circostanza idonea ad escludere l’essenzialità dell’errore, in quanto comprovante, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la presenza del dispositivo ABS sul veicolo acquistato non era così importante come asserito dal D.; e ciò sul rilievo che, in caso contrario, quest’ultimo si sarebbe attivato, subito dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado, per la riconsegna del veicolo e, comunque, in corso di causa si sarebbe dato cura di contenere le prestazioni della vettura in termini chilometrici più ridotti.

La valutazione espressa al riguardo non presenta i profili di illogicità denunciati dal ricorrente. La motivazione resa, infatti, rende evidente che la Corte di Appello non ha affatto rapportato la valutazione dell’essenzialità dell’errore ad un momento successivo alla stipula del contratto di compravendita, ma ha legittimamente valutato il comportamento tenuto dal D. quale elemento atto a dimostrare che al momento dell’acquisto della vettura la volontà dell’attore non era viziata.

Quanto alle doglianze di omesso esame della circostanza dedotta dall’appellato, rappresentata dal fatto che dopo la riconsegna dell’auto in questione quest’ultimo aveva acquistato altra vettura uguale, ma munita di ABS, si osserva che la Corte territoriale, nel ritenere determinante, ai fini del proprio convincimento circa la non essenzialità dell’errore, i dati emergenti dal documento (scrittura privata di custodia) prodotto dall’appellante, ha implicitamente ritenuto irrilevanti le deduzioni svolte dal D. a sostegno della opposta tesi propugnata in giudizio.

Si rammenta, al riguardo, che l’onere di adeguatezza della motivazione non comporta che il giudice del merito debba occuparsi di tutte le allegazioni delle parti, nè che egli debba prendere in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni da queste svolte. E’, infatti, sufficiente che il giudice esponga, anche in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito (Cass. 20-11-2009 n. 24542; Cass. 12-1-2006 n. 407; Cass. 2 agosto 2001, n. 10569).

La decisione impugnata risulta immune da censure anche nella parte in cui ha rilevato che, pure a voler ritenere l’essenzialità dell’errore, dovrebbe escludersi che questo fosse riconoscibile dalla venditrice con l’ordinaria diligenza.

Il convincimento espresso al riguardo dalla Corte territoriale risulta sorretto da una motivazione esauriente e logica, basata sul rilievo che non vi è prova che la ditta RACOA, al momento della trattativa e della vendita, sia stata resa o si sia potuta rendere consapevole dell’errore in cui asseritamente era venuto a versare il D.. E infatti, come è stato puntualizzato in sentenza, non consta, neppure in via di assunto, che in tale fase si sia parlato della dotazione dell’ABS; laddove dalla deposizione del teste C. risulta che la vendita avvenne dopo che l’attore aveva dato corso a due accurati controlli dell’auto in officina e l’aveva provata su strada.

Tali considerazioni hanno ragionevolmente indotto il giudice di appello a ritenere che, in ragione delle condotte tenute dal D. nel corso delle trattative e al momento della stipula del contratto di compravendita, nessuno avrebbe potuto evincere l’esistenza in capo al medesimo di eventuali errori atti a viziarne il consenso; e a ritenere, di conseguenza, privo di qualsiasi valenza, a fronte di un elemento probatorio di tale portata, l’unico indizio emerso a carico della ditta RACOA, rappresentato dall’errata inserzione pubblicitaria (verosimilmente dipesa, secondo la Corte di Appello, dalle inesatte indicazioni fornite dal soggetto che voleva pubblicizzare).

La Corte di Appello, pertanto, è pervenuta alle sue conclusioni all’esito di una valutazione complessiva della vicenda, con la quale, nel rispetto dei criteri indicati dall’art. 1431 c.c., non ha affatto omesso di considerare le circostanze dedotte dell’appellato a sostegno della tesi della riconoscibilità dell’errore, ma ha ritenuto le stesse inidonee a scalfire la rilevanza probatoria degli elementi di opposto segno desumibili dagli atti.

In definitiva, non sussistono i vizi denunciati dal ricorrente, essendo al contrario evidente che quest’ultimo, con le censure mosse, mira sostanzialmente ad ottenere una valutazione delle risultanze istruttorie diversa da quella fornita dal giudice del merito, sollecitando quindi a questa Corte l’esercizio di poteri di cognizione del fatto estranei alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione.

3) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dal resistente, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2011

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