Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16240 del 09/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 09/07/2010, (ud. 19/02/2010, dep. 09/07/2010), n.16240

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 514/2009 proposto da:

P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato

GAROFALO Giampietro, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA REGIONALE DI CATANIA, in persona del suo Presidente e

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo studio NAPOLITANI E SPINOSO,

rappresentato e difeso dall’avvocato MINEO Francesco, giusta procura

a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 752/2007 della CORTE D’APPELLO di CATANIA del

15/11/07, depositata il 14/12/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/02/2010 dal Consigliere Relatore Dott. FILIPPO CURCURUTO;

è presente il P.G. in persona del Dott. MASSIMO FEDELI.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che:

La Corte d’appello di Catania con la sentenza ora impugnata, resa il 14 dicembre 2007, ha rigettato, per quanto ancora rileva, la domanda di P.L. contro la Provincia Regionale di Catania diretta ad ottenere la corresponsione della cosiddetta “indennità di funzione per l’assistenza agli organi”, quale dirigente amministrativo della Provincia.

La Corte ha ritenuto che il P. non avesse fornito la prova dei presupposti per l’assegnazione di tale indennità.

La Provincia Regionale resiste con controricorso.

Il ricorso contiene un’esposizione di “motivi” non preceduta da un’epigrafe e non contenente ulteriori articolazioni.

Il ricorrente afferma che la corte di merito avrebbe errato nel ritenere che “il P. non abbia individuato a quali sedute degli organi si fondava la sua richiesta” (così, testualmente); prosegue facendo riferimento ad una circolare, della quale riproduce un brevissimo periodo; addebita ancora alla sentenza di aver “erroneamente svincolato il rapporto di pubblico impiego intercorso tra la Provincia Regionale di Catania ed il Dottor P.L. dalla disciplina dell’accordo collettivo 23 dicembre 1989………..

fatto oggetto di regolamento di cui al D.P.R. n. 330 del 1990, trattandolo unicamente alla stregua di un rapporto privatistico che soltanto con il successivo C.C.N.L. viene ad instaurarsi; menziona varia documentazione della quale il giudice di merito avrebbe dovuto tenere, ma non aveva tenuto, conto; conclude infine con il seguente, testuale, quesito “può il contratto di lavoro 1 dicembre 1995 disciplinare il rapporto del dipendente di un ente locale per il periodo 1 11 ottobre 1990/30 giugno 1997 o se invece lo stesso debba essere disciplinato dal D.P.R. 3 agosto 1990, n. 333″.

Il ricorso deve essere rigettato per l’inammissibilità delle censure in esso contenute e l’inidoneità del quesito conclusivo.

La circolare, riprodotta peraltro in misura molto ristretta, non rientra fra i parametri di giudizio di questa Corte.

Il riferimento alla natura del rapporto (spiegabile tenendo presente che la pretesa si riferisce al periodo anteriore al 30 giugno 1998, ancorchè il giudice di merito, con statuizione ormai coperta dal giudicato abbia ritenuto la propria giurisdizione) ha carattere del tutto generico, ed è comunque privo di decisività, posto che ricorrente non spiega quali conseguenze ne deriverebbero in proprio favore.

La documentazione citata non è minimamente riportata nel suo contenuto integrale.

Per quel che riguarda il quesito conclusivo, le indicazioni contenute nel motivo non permettono di comprendere chiaramente la natura della censura formulata, ma stando al quesito sembrerebbe trattarsi di vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto.

Va allora richiamato il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il quesito di diritto previsto dall’art. 366 bis c.p.c. – il quale è stato abrogato dalla L. n. 69 del 2009, art. 47 (riforma rito civile) ma senza effetto retroattivo, motivo per cui è rimasto in vigore per i ricorsi per cassazione presentati avverso sentenze pubblicate, come nella specie, prima del 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della riforma” (Cass. 2010 n. 428) – deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula juris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. 7197/2009; negli stessi termini, sostanzialmente, Cass. S.U. 26020/2008).

Il quesito sopra riportato ha per contro carattere del tutto astratto e generico, sostanzialmente non correlato ai termini della controversia.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente alle spese del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanne ricorrente alle spese in Euro 30,00 oltre ad Euro 2500,00 per onorari, nonchè I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2010

 

 

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