Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1624 del 24/01/2020

Cassazione civile sez. II, 24/01/2020, (ud. 29/10/2019, dep. 24/01/2020), n.1624

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16428-2016 proposto da:

M.A.M.M.F., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA MARIO FANI n. 106, presso lo studio dell’avvocato

MASSIMILIANO ROSSI, rappresentati e difesi dall’avvocato NINO

GIOVANNI PERCIVALLE;

– ricorrenti –

contro

A.S.V., e A.A.P.G.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COSSERIA n. 5, presso lo

studio dell’avvocato PAOLO MIGLIACCIO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato DANILO BIANCOSPINO;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 739/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/10/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, il quale ha concluso per il rigetto tanto del ricorso

principale che di quello incidentale;

udito l’avvocato NINO GIOVANNI PERCIVALLE per parte ricorrente, il

quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e il

rigetto di quello incidentale;

udito l’avvocato PAOLO MIGLIACCIO per parte controricorrente e

ricorrente incidentale, il quale ha concluso per il rigetto del

ricorso principale e l’accoglimento di quello incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione del 17.8.2009 T.E. e M.A.M.M. evocavano in giudizio innanzi il Tribunale di Voghera A.S.V., A.A.P.G., A.A.M.M. e A.R. per sentir dichiarare il loro diritto di passaggio, pedonale e carrabile – anche con mezzi agricoli – su una strada, in parte asfaltata e in parte no, incidente sul fondo dei convenuti e costituente l’unica via di accesso al fondo di proprietà degli attori sito in località “(OMISSIS)”, nonchè per ottenere l’eliminazione della sbarra in ferro posta dai convenuti stessi all’inizio del tratto asfaltato, del lucchetto posto in essere all’inizio del tratto non asfaltato e degli altri ostacoli posti in essere al libero esercizio del diritto di servitù. Gli attori affermavano che il diritto si era costituito per destinazione del padre di famiglia, ovvero per usucapione.

Si costituivano i resistenti contestando la domanda ed invocandone il rigetto.

Il Tribunale accoglieva l’interdetto. A seguito di reclamo al collegio, quest’ultimo riteneva invece legittima la posa in opera della sbarra e del lucchetto con catena, riducendo di conseguenza l’ampiezza della pronuncia reclamata, in quanto si tratterebbe di misure realizzate dal proprietario del fondo servente a difesa della sua proprietà e non idonee ad incidere significativamente sull’esercizio del diritto di passaggio. All’esito dell’istruttoria, con sentenza n. 110/2015, il Tribunale di Pavia – che medio tempore aveva incorporato il soppresso Tribunale di Voghera – accoglieva la domanda, accertando la costituzione della servitù per usucapione e ordinando la rimozione di tutti i manufatti impeditivi del suo libero esercizio, inclusi sbarra e catena con lucchetto.

Interponevano appello avverso detta decisione gli originari convenuti, mentre i ricorrenti, vittoriosi in prime cure, si costituivano per resistere al gravame.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 739/2016, la Corte di Appello di Milano accoglieva parzialmente l’impugnazione, ritenendo lecita la posa in opera della sbarra di ferro e della catena con lucchetto e confermando nel resto la decisione gravata.

Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione T.E.F. e M.A.M.M. affidandosi ad un unico motivo. Resistono con controricorso A.S. e A.A.P.G., spiegando a loro volta ricorso incidentale articolato in due motivi. I ricorrenti resistono al ricorso incidentale con apposito controricorso.

Il ricorso, chiamato originariamente all’adunanza camerale del 19.5.2017 innanzi la sesta sezione civile di questa Corte, è stato in quella sede rinviato a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza.

In prossimità dell’adunanza camerale ambo le parti avevano depositato memoria.

In prossimità dell’udienza pubblica i ricorrenti hanno depositato ulteriore memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1064, 1067 e 841 c.c. perchè la Corte di Appello ha fondato la sua decisione, sul punto relativo alla sbarra e al lucchetto, sulle dichiarazioni di un teste (R.), il quale non avrebbe affatto detto quanto ritenuto dalla Corte stessa, ma – anzi – avrebbe dichiarato che la strada era in pendenza e la realizzazione della sbarra e del lucchetto costringeva gli autisti dei mezzi a scendere per aprire.

La doglianza è infondata.

La sentenza impugnata compie invero un ampio ed articolato esame delle risultanze di fatto emerse dall’istruttoria. Innanzitutto, dà atto che la servitù di passaggio si era costituita sin dagli inizi degli anni ‘80 poichè la strada era, in quel momento, l’unico mezzo per raggiungere il terreno degli originari ricorrenti, essendo divenuto non più percorribile il passaggio alternativo preesistente risalente agli anni cinquanta; ed afferma poi che tale conclusione è avvalorata non soltanto dalle fotografie aeree acquisite dal C.T.U. ma anche dalla deposizione del teste R. (cfr. pag.2-3). Subito dopo, la Corte territoriale riconosce che il Tribunale non aveva fondato la propria decisione solo in base alle deposizioni dei testimoni, ma anche sulla ricostruzione nel tempo dello stato dei luoghi, “… accertando la specifica e univoca destinazione del percorso che passa attraverso (OMISSIS) a dare accesso dalla pubblica via al podere di (OMISSIS), percorso praticato da persone e mezzi per le esigenze di coloro che abitavano in località (OMISSIS) ogni qualvolta questi ne avevano necessità” (cfr. pag.3). Continua ritenendo attendibili le deposizioni dei testimoni R. e T., considerate più precise rispetto a quella resa dal teste A.B. (cfr. ancora pag.3). Passa poi ad esaminare la questione del restringimento della larghezza della strada, riscontrato anche dal C.T.U., e condivide le conclusioni dell’ausiliario, sulla cui base il primo giudice aveva ordinato il ripristino dell’ampiezza originaria della strada (cfr. pag.3-4). Tuttavia, la Corte di Appello non ritiene condivisibili le statuizioni del primo giudice relativamente alle chiusure poste in essere dagli A., che considera legittime perchè finalizzate a proteggere la loro proprietà e non idonee a costituire pregiudizio per il libero esercizio della servitù: in tale valutazione il giudice di appello valorizza ancora una volta la deposizione del teste R., dalla quale trae la conclusione che “… la configurazione dei luoghi non è tale da comportare alcun serio pericolo per i mezzi costretti alla sosta per le operazioni di apertura della sbarra ovvero del catenaccio della catena” (cfr. pag. 4-5 della sentenza impugnata).

Questa Corte ha affermato il principio secondo cui “In tema di servitù di passaggio, agli effetti del divieto ex art. 1067 c.c., la collocazione di un cancello sul locus servitutis non integra aggravamento della servitù di per sè, ma solo ove incida sul modo in cui è stata goduta la servitù, venendo in rilievo, quindi, frequenza del passaggio, caratteristica dei luoghi, particolari esigenze del transito e ogni altra precedente condizione di esercizio” Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21744 del 23/09/2013, Rv. 627779).

Infatti “In tema di servitù di passaggio, rientra nel diritto del proprietario del fondo servente l’esercizio della facoltà di apportare modifiche al proprio fondo e di apporvi un cancello per impedire l’accesso ai non aventi diritto, pur se dall’esercizio di tale diritto possano derivare disagi minimi e trascurabili al proprietario del fondo dominante in relazione alle pregresse modalità di transito. Ne consegue che, ove non dimostrato in concreto dal proprietario del fondo dominante al quale venga consegnata la chiave di apertura del cancello l’aggravamento o l’ostacolo all’esercizio della servitù, questi non può pretendere l’apposizione del meccanismo di apertura automatico con telecomando a distanza o di altro similare rimedio, peraltro in contrasto col principio servitus in faciendo consistere nequit” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14179 del 27/06/2011, Rv.618310).

Occorre pertanto ribadire il principio per cui “Nell’ipotesi di fondo gravato da servitù di passaggio, l’esercizio, da parte del proprietario, della facoltà riconosciutagli dall’art. 841 c.c. di chiudere in qualunque tempo il proprio fondo per proteggerlo dall’ingerenza di terzi deve essere esercitato in modo tale che non ne derivi limitazione al contenuto della servitù e siano adottati mezzi idonei a consentire al titolare di essa la libera e comoda esplicazione, salvo un minimo e trascurabile disagio, del suo diritto; spetta al giudice di merito stabilire quali misure, in concreto, risultino più idonee a contemperare l’esercizio dei due diritti (quello di chiusura del fondo servente e quello di libero e comodo esercizio della servitù da parte del proprietario del fondo dominante) avuto riguardo al contenuto specifico della servitù, alle precedenti modalità del suo esercizio, allo stato e configurazione dei luoghi” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15977 del 18/12/2001, Rv.551215).

Il giudice di merito è quindi chiamato a valutare, caso per caso, lo stato dei luoghi, l’ampiezza del diritto di servitù spettante al fondo dominante, i termini del suo effettivo utilizzo da parte dei titolari del detto fondo, nonchè la natura delle opere eseguite sul locus servitutis dal proprietario del fondo servente e la idoneità in concreto delle predette ad incidere sull’esercizio della servitù. All’esito di tale valutazione, che si risolve in un accertamento di fatto in sè stesso non utilmente censurabile in Cassazione, le opere di cui sopra possono essere considerate lecite a condizione che esse non comportino aggravamento dell’esercizio del diritto reale. La Corte territoriale, facendo corretta applicazione dei principi posti da questa Corte, ha ritenuto che le due diverse chiusure realizzate dagli A. fossero lecite, in quanto espressione del loro diritto alla chiusura del fondo, e non fossero idonee a causare aggravamento nell’esercizio della servitù spettante al terreno degli odierni ricorrenti. Dal che deriva il rigetto del ricorso principale.

Passando all’esame dei due motivi del ricorso incidentale, con il primo di essi si lamenta la violazione dell’art. 1061 c.c. perchè la Corte ambrosiana avrebbe accertato l’esistenza del diritto di servitù valorizzando solo l’unicità dell’accesso e prescindendo dall’accertamento dell’effettivo utilizzo della strada. Ad avviso dei ricorrenti incidentali, il giudice di merito avrebbe dovuto valorizzare l’esistenza di un giudicato del Tribunale di Voghera, che aveva escluso la natura pubblica della stradella di cui si discute, e ricavare da questo la conclusione che il percorso non era di fatto utilizzato per il transito. Inoltre, i ricorrenti incidentali sostengono che nessuno avrebbe abitato in località (OMISSIS) da almeno 40 anni e che pertanto la strada non era, di fatto, stata usata da nessuno. Ed infine, affermano che la conformazione stessa della strada, in parte asfaltata e in parte no, ne escluderebbe il suo utilizzo per il transito, perchè in caso contrario essa sarebbe stata tutta asfaltata.

Con il secondo motivo, i ricorrenti incidentali lamentano invece la violazione degli artt. 1058 e 2697 c.c. perchè la Corte lombarda avrebbe accertato l’esistenza del diritto di servitù prescindendo da qualsiasi indagine circa il possesso del diritto in capo agli odierni ricorrenti principali. L’unica deposizione testimoniale a sostegno dell’esistenza di detto possesso sarebbe infatti stata quella resa dal fratello dell’originario ricorrente, che tuttavia non avrebbe potuto essere considerata sufficiente ai fini dell’accertamento di cui sopra.

Le due censure, che per la loro connessione meritano una trattazione congiunta, sono infondate.

La sentenza impugnata dà atto che il Tribunale aveva accertato la sussistenza della servitù sulla base degli elementi acquisiti in atti, e segnatamente: le fotografie aeree scattate in differenti momenti storici, nelle quali si evidenziava la scomparsa dell’originario accesso alternativo ai luoghi; le risultanze della C.T.U., che evidenziavano il restringimento della stradella contestata; ed infine le deposizioni testimoniali. Afferma poi che il giudizio del Tribunale sull’attendibilità dei testi R. e T. (fratello del ricorrente originario) è condivisibile alla luce della concordanza delle loro deposizioni e del fatto che le diverse dichiarazioni del teste A.B. non appaiono idonee a superare le prime in quanto “… generiche e prive di riferimenti temporali” (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata). Si tratta con tutta evidenza di una valutazione di merito, fondata sul complessivo apprezzamento delle risultanze istruttorie acquisite agli atti del giudizio, che come tale si sottrae al sindacato di questa Corte. Peraltro, si deve osservare che la circostanza che (OMISSIS) sia disabitata da 40 anni, dedotta dai ricorrenti incidentali nella loro impugnazione, va considerata sub specie di nuova deduzione, poichè di essa non si dà atto nella sentenza impugnata, nè il ricorso incidentale si indica in quale momento processuale sarebbe stata formulata o da quale elemento si ricaverebbe la relativa prova. Irrilevante, invece, è l’osservazione sulla conformazione della strada, posto che anche una strada non asfaltata è idonea a consentire e dimostrare l’esercizio della servitù.

In definitiva, anche il ricorso incidentale va rigettato.

Alla luce della reciproca soccombenza, le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate per intero tra le parti.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato (tanto quanto al ricorso principale che a quello incidentale), va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dei presupposti processuali per l’obbligo di versamento, sia da parte dei ricorrenti principale che di quelli incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta tanto il ricorso principale che quello incidentale e compensa per intero tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, sia da parte dei ricorrenti principali che di quelli incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 29 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2020

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