Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1624 del 23/01/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 1624 Anno 2018
Presidente: MANNA FELICE
Relatore: CRISCUOLO MAURO

ORDINANZA
sul ricorso 20283-2013 proposto da:
SCRIMALI ROSA SCRR061D4313602Q, LA MONICA DIEGA RITA
LMNDRT58T54B602G, domiciliate in ROMA presso la
Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentate e difese
dall’avvocato DIEGO APRILE giusta procura a margine del
ricorso;
– ricorrenti nonchè contro

PARROCCHIA SAN PANCRAZIO DI CANICATTI’, SCRIMALI
GIACINTO, SCRIMALI LUIGI, SCRIMALI ILEANA;
– intimati –

avverso la sentenza n. 818/2012 della CORTE D’APPELLO di
PALERMO, depositatail 31/05/2012;

Data pubblicazione: 23/01/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 15/11/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
1. La Parrocchia di S. Pancrazio in Canicattì, con atto di
citazione del 10 gennaio 2001 conveniva in giudizio dinanzi al

Scrimali Rosa, deducendo di avere concesso a Scrimali
Giacinto, deceduto in data 1 luglio 1987, ed a titolo precario, la
detenzione di un suo fondo sito in Canicattì alla contrada
Petronilla, e che i suoi eredi continuavano a godere del bene
senza alcun valido titolo, dovendo quindi essere condannati
all’immediato rilascio.
Si costituivano i convenuti i quali eccepivano il difetto di
legittimazione processuale della Parrocchia, mentre nel merito
contestavano la fondatezza della domanda, proponendo in via
riconvenzionale domanda di usucapione del bene.
Depositata l’autorizzazione a promuovere il giudizio, ed
interrottosi il giudizio per la morte della Guarneri, all’esito della
riassunzione, istruita la causa, il Tribunale adito con la
sentenza n. 45 del 2005 accoglieva la domanda attorea,
ordinando il rilascio del bene.
A seguito di appello dei convenuti, e deceduto nelle more
anche Scrimali Antonino, al quale succedevano la moglie La
Monaca Diega ed i figli Scrimali Giacinto, Ileana e Luigi,
costituendosi in giudizio però solo la prima, la Corte d’Appello
di Palermo, con la sentenza n. 818 del 18 maggio 2012
disattendeva il gravame, condannando le appellanti al rimborso
delle spese di lite ed al pagamento della somma di C 3.000,00
ex art. 96 c.p.c.
Quanto al primo motivo di appello, rilevava che la questione
concernente il difetto di legittimazione attiva della Parrocchia

Ric. 2013 n. 20283 sez. 52 – ud. 15-11-2017 -2-

Tribunale di Agrigento Guarneri Vincenza, Scrimali Antonino e

era stata decisa dal Tribunale con ordinanza del 7 marzo 2002,
la quale aveva però sostanza di sentenza, sicchè non essendo
stata impugnata, era passata in cosa giudicata.
Quanto all’eccezione di giudicato in relazione alla sentenza n.
75/99 dello stesso Tribunale adito, la Corte distrettuale

diversi da quello oggetto invece del presente giudizio,
mancando altresì l’identità dei soggetti, posto che il precedente
giudizio era stato intentato nei confronti di Guarneri Vincenza
in proprio, avendo anche una causa petendi più ampia.
In ordine al motivo concernente il difetto di legittimazione della
Parrocchia (rectius difetto di titolarità del diritto), in quanto
priva del diritto dominicale sul bene vantato, rilevava che la
domanda proposta non aveva carattere petitorio, trattandosi
invece di un’azione personale di restituzione di un bene per la
sopravvenuta carenza di un titolo giustificativo della detenzione
in capo ai convenuti, sicchè non era necessaria la probatio
diabolica.
Quanto al rigetto della domanda riconvenzionale di usucapione,
la sentenza reputava che il motivo fosse inammissibile per
difetto di specificità, non avendo addotto specifiche critiche alla
motivazione del giudice di prime cure, sebbene anche nel
merito il gravame risultasse infondato, atteso il tenore della
scrittura privata del 28 giugno 1977, nella quale il dante causa
delle appellanti dava atto di ricevere il bene della Parrocchia a
titolo di godimento precario.
Infine era accolta la richiesta di accertamento della
responsabilità processuale aggravata delle appellanti, posto
che nel diverso giudizio definito con la sentenza della quale era
invocata l’efficacia di giudicato, ed avente ad oggetto diverse
particelle, l’esecuzione non era stata resa possibile, essendosi

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osservava che la decisione de qua aveva ad oggetto terreni

addotto che la scrittura privata riguardava proprio la particella
n. 118, affermazione questa che è stata invece negata in
questa sede.
Ricorrevano quindi le condizioni di cui al primo comma dell’art.
96 c.p.c., potendosi quindi pervenire alla condanna a tale titolo

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione
Scrimali Rosa e La Monaca Diega Rita sulla base di cinque
motivi.
Gli intimati non hanno svolto difese in questa sede.
2. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la nullità della
sentenza e del procedimento per la violazione e falsa
applicazione degli artt. 184 e 184 bis c.p.c.
Si deduce che una volta definita con ordinanza del 7/3/2002 la
questione concernente la legittimazione processuale della
Parrocchia, il Tribunale aveva invitato a precisare le
conclusioni, ma successivamente aveva acconsentito alla
richiesta della Parrocchia avanzata solo in sede di conclusioni di
acquisire il fascicolo della causa precedentemente introdotta
dalla stessa Parrocchia, in violazione del regime delle
preclusioni ed in assenza di una richiesta di rimessione in
termini della stessa parte.
Il motivo è inammissibile va rigettato.
Ed, invero, in disparte l’assenza di specificità del motivo nella
parte in cui omette di precisare se la richiesta di acquisizione
del fascicolo del precedente giudizio sia stata accolta dal
Tribunale e se ed in che modo da tale fascicolo siano stati tratti
elementi probatori utili ai fini della decisione, omissione questa
che incide sulla valutazione di decisività dell’errore denunziato,
va osservato che nel primo motivo di appello, in cui si deduce
che la questione de qua fosse già stata proposta, in realtà i

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al pagamento della somma di C 3.000,00.

ricorrenti si erano limitati a denunciare che il Tribunale, una
volta fatte precisare le conclusioni, non avrebbe potuto far
regredire il processo, essendo del tutto generica la deduzione
in merito al regime delle preclusioni, senza tenere conto della
impossibilità di poter ricollegare una preclusione, derivante dal

ad un’ipotesi in cui i termini non sono stati né richiesti né
quindi concessi.
La questione dedotta si palesa quindi come nuova, con la
conseguente inammissibilità del motivo
3. Il secondo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa

applicazione degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c., in quanto
sarebbe stata ignorata l’efficacia di giudicato della precedente
sentenza n. 75/99 del Tribunale di Agrigento, che aveva
ritenuto che la scrittura privata del 28/6/1977 posta a
fondamento dell’accoglimento della domanda di rilascio,
riguardava le diverse particelle nn. 748 e 749 non potendosi
quindi giustificare l’accoglimento della domanda relativa alla
particella n. 118 sulla base della medesima scrittura. In ogni
caso, anche laddove si reputi che la scrittura ricomprendeva
tutte e tre le particelle, la Parrocchia avrebbe dovuto far valere
la richiesta di rilascio per tutti i fondi, non potendo agire
separatamente per alcuni soli di essi.
Il motivo difetta evidentemente del requisito di specificità ex
art. 366 co. 1 n. 6 c.p.c.
La Corte d’Appello ha ritenuto insussistente il giudicato esterno
facendo riferimento sia alla diversità dell’oggetto, ancorchè
mediato, dei due giudizi (ed anche la sola differenza
dell’oggetto mediato vale a porre in essere la ricorrenza delle
condizioni che consentono di affermare la diversità delle
domande proposte) sia alla differenza tra i soggetti dei due

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mancato rispetto dei termini perentori di cui all’art. 184 c.p.c.,

giudizi, assumendo che il precedente giudizio aveva coinvolto
la Guarneri.
Orbene, poiché nella fattispecie viene invocata l’efficacia
preclusiva derivante da un giudicato rappresentato da una
diversa sentenza, deve trovare applicazione il principio

ultimo Cass. n. 2617/2015; conf. Cass. n. 26627/2006) il
principio della rilevabilità del giudicato esterno deve essere
coordinato con l’onere di specificità del ricorso, per cui la parte
ricorrente che deduca il suddetto giudicato deve, a pena
d’inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo
della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non
essendo a tal fine sufficiente il riassunto sintetico della stessa.
Parte ricorrente si è limitata a richiamare per estrema sintesi il
contenuto della sentenza di cui si invoca l’autorità di giudicato
ed ha omesso altresì di riportare il contenuto della scrittura del
28 giugno 1977, impedendo altresì di poter riscontrare, sulla
base del contenuto della medesima, se la stessa era idonea a
ricomprendere tutti i beni dei quali è stato richiesto il rilascio
nei due diversi giudizi.
4. Il terzo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 167 e 346 c.p.c., nella parte in cui la
sentenza gravata, nel rigettare l’eccezione di difetto di
legittimazione attiva della Parrocchia, ha ritenuto che l’azione
proposta era un’azione personale di restituzione e non invece
un’azione di rivendica, affermando che su tale questione non
era sorta contestazione.
Lamenta che in realtà aveva contestato tale affermazione,
sostenendo che la scrittura privata del 28/6/1977 non si
riferiva alla particella n. 118, oggetto del presente giudizio, e

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costantemente affermato da questa Corte secondo cui ( cfr. da

quindi non poteva costituire il fondamento della pretesa
azionata.
Il motivo è infondato, essendo evidente nella prospettazione
della parte la confusione tra il problema della qualificazione
giuridica della domanda proposta, che è appunto oggetto

della prova della fondatezza della domanda.
La

decisione

impugnata,

avvalendosi

del

potere di

interpretazione della domanda, che è esercizio di un potere
valutativo in fatto del giudice di merito, come tale sindacabile
in sede di legittimità solo sub specie di vizio di motivazione ex
art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. (cfr. ex mutis Cass. n. 24495/2006;
Cass. n. 2630/2014; Cass. n. 21874/2015), ha ritenuto che
l’azione proposta avesse carattere personale, avendo peraltro
fatto corretta applicazione dei principi desumibili da Cass. S.U.
n. 7305/2014, secondo cui in tema di azioni a difesa della
proprietà, le difese di carattere petitorio opposte, in via di
eccezione o con domande riconvenzionali, ad un’azione di
rilascio o consegna non comportano – in ossequio al principio di
disponibilità della domanda e di corrispondenza tra il chiesto e
il pronunciato – una “mutatio” od “emendati° libelli”, ossia la
trasformazione in reale della domanda proposta e mantenuta
ferma dell’attore come personale per la restituzione del bene in
precedenza volontariamente trasmesso al convenuto, né, in
ogni caso, implicano che l’attore sia tenuto a soddisfare il
correlato gravoso onere probatorio inerente le azioni reali
(cosiddetta “probatio diabolica”), la cui prova, idonea a
paralizzare la pretesa attorea, incombe solo sul convenuto in
dipendenza delle proprie difese.
La decisione d’appello, quindi, prendendo atto che la
giustificazione della domanda era fatta risalire alla concessione

Ric. 2013 n. 20283 sez. 52 – ud. 15-11-2017 -7-

dell’affermazione della Corte d’Appello, con il diverso problema

del godimento del bene al dante causa dei convenuti, ed a
titolo precario, sul presupposto che i convenuti stessi non
avessero più alcun titolo per permanere nella detenzione del
bene, essendo venuto meno il rapporto contrattuale che
inizialmente li aveva abilitati a fruire del terreno, ha

restituzione, con le note conseguenze in tema di onere della
prova, dovendosi quindi ritenere che la non contestazione sulla
quale si era formato il giudicato era relativa alla individuazione
della causa petendi.
Ben diversa è invece la questione se l’attrice avesse anche
fornito la prova della inziale esistenza del rapporto contrattuale
con il dante causa dei convenuti e circa il venir meno della
ragione giustificativa del godimento, che attiene invece al
merito della pretesa.
5. Il quarto motivo denunzia la violazione e falsa applicazione
dell’art. 167 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. assumendosi che le
convenute nel costituirsi in giudizio avevano promosso
domanda riconvenzionale di usucapione.
Tale domanda era reiterata in grado di appello, ma è stata
inopinatamente disattesa nonostante la scrittura privata più
volte richiamata non avesse alcuna correlazione con il bene
oggetto di causa, e sebbene la prova per testi avesse attestato
il possesso ultraventennale del fondo da parte dei convenuti e
del loro dante causa.
Il motivo è inammissibile.
Come evidenziato nella sintesi delle ragioni in fatto, la Corte di
merito, anche sulla base della previgente disposizione dell’art.
342 c.p.c., ha ritenuto che il gravame proposto in punto di
mancato accoglimento della riconvenzionale di usucapione
fosse inammissibile in quanto predisposto in maniera generica,

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correttamente qualificato la domanda come azione personale di

senza contrapporre argomentazioni specifiche a quelle poste a
fondamento della decisione di rigetto dal giudice di prime cure.
Alla conseguenziale declaratoria di inammissibilità, la Corte
distrettuale ha poi fatto seguire alcune considerazioni circa il
merito dell’appello, in base alle quali lo stesso si palesava in

Le ricorrenti con il motivo in esame omettono però di
sottoporre a critica la declaratoria di inammissibilità
dell’appello, proponendo critiche unicamente alla valutazione
nel merito, resa peraltro ad abundantiam dalla sentenza
impugnata.
Va a tal fine richiamato il costante principio affermato da
questa Corte secondo cui, una volta intervenuta una pronuncia
di inammissibilità, le eventuali statuizioni concernenti il merito
della pretesa devono ritenersi adottate da giudice ormai privo
della potestas iudicandi, così che non vi è interesse ad
impugnare le medesime, dovendo la parte concentrare le sue
censure unicamente sulla questione processuale ritenuta
idonea ad impedire la disamina del merito (cfr. Cass. S.U. n.
3840/2007), così che il motivo che investe, come detto, solo il
merito della valutazione circa la ricorrenza dei presupposti per
l’usucapione, va dichiarato inammissibile.
6. Il quinto motivo denunzia infine la violazione e falsa
applicazione dell’art. 96 c.p.c., laddove la Corte d’appello ha
accolto la domanda avanzata in tal senso dalla appellata.
Si deduce che dal comportamento tenuto dalle ricorrenti in
sede di esecuzione della diversa sentenza del Tribunale di
Agrigento n. 75/1999 non potevano trarsi elementi per
ravvisare la loro evidente consapevolezza dell’infondatezza
della domanda proposta, essendo palese dallo stesso

Ric. 2013 n. 20283 sez. 52 – ud. 15-11-2017 -9-

ogni caso come infondato.

contenuto di tale sentenza che il rilascio non poteva estendersi
anche alla particella n. 118.
Inoltre si sarebbe trascurato di valutare nel complesso il
materiale istruttorio, dal quale emerge l’assenza di prova della
proprietà del bene in capo alla Parrocchia e l’esistenza di un

Guarneri.
Il motivo deve essere disatteso in quanto tradisce
evidentemente l’aspirazione della parte ad un diverso
apprezzamento del fatto, risultato questo non consentito in
sede di legittimità, dovendosi a tal fine richiamare il pur
remoto orientamento di questa Corte, al quale il Collegio
intende dare continuità, per il quale l’accertare se una parte
abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave
involge un’indagine di fatto i cui risultati sono sottratti al
sindacato di legittimità, se non inficiati da errori di diritto o vizi
logici ( Cass. n. 1808/1970).
Nella fattispecie risulta denunziata unicamente la violazione di
legge, e non anche il vizio di motivazione, non essendo dato
quindi rimettere in discussione la, peraltro logica e coerente,
valutazione della Corte d’Appello circa la ricorrenza degli
elementi costitutivi della responsabilità di cui all’art. 96 c.p.c.
Il ricorso deve quindi essere rigettato.
7. Nulla a disporre per le spese, atteso che gli intimati non
hanno svolto attività difensiva in questa sede.
8. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30
gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare
atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre
2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013),
che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico

Ric. 2013 n. 20283 sez. 52 – ud. 15-11-2017 -10-

possesso ultraventennale da parte della famiglia Scrimali –

di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza
dell’obbligo di versamento, da parte delle ricorrenti,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002,
inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza
dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti del
contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma
dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio del 15 novembre,201
Il

natio Giudiziario

dria NERI

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

Roma,

23 GEN. 2013

ident

Rigetta il ricorso;

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