Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16237 del 10/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 10/06/2021, (ud. 09/02/2021, dep. 10/06/2021), n.16237

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 3610 del ruolo generale dell’anno

2013, proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Salvatore

Orefice, per delega il calce al ricorso, presso lo stesso

elettivamente domiciliato in Roma, nella via S. Tomaso D’Aquino n.

108;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

elettivamente si domicilia;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Lazio, depositata in data 12 dicembre 2012, n.

746/14/2012;

Sentita la relazione svolta dal consigliere Grazia Corradini nella

Camera di consiglio del 9 febbraio 2021.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Roma (OMISSIS) – sulla base di un verbale di constatazione emesso del (OMISSIS) della Guardia di Finanza di (OMISSIS), che aveva rilevato l’inosservanza da parte della Associazione Sportiva G.S. Falasche, delle disposizioni previste dalla L. n. 289 del 2002, art. 90, commi 17 e 18, nonchè il conseguimento di proventi derivanti dall’esercizio di attività commerciali per importi superiori al limite previsto dalla L. n. 389 del 1991, art. 1, con conseguente disconoscimento delle agevolazioni previste per le associazioni sportive dilettantistiche e ancora l’omessa istituzione e conservazione di documenti fiscali e scritture contabili obbligatorie ed altre irregolarità riconducibili ad operazioni inesistenti, oltre che la mancata presentazione delle dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi per il 2003 ed il 2005 e la omissione della dichiarazione IVA per l’anno 2004 – emise nei confronti di A.A., individuato quale legale rappresentante della Associazione Sportiva Dilettantistica G.S. Falasche, nonchè responsabile delle irregolarità fiscali rilevate in capo alla predetta associazione non riconosciuta, tre avvisi di accertamento relativi agli anni di imposta dal 2003 al 2005 per IRPEG – IRES, IVA ed IRAP, nonchè atto di contestazione ed irrogazione delle sanzioni relativo agli anni 2003, 2004, 2005, 2006 e 2007.

A.A. impugnò gli accertamenti e l’atto di irrogazione delle sanzioni davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, lamentando, per quanto ancora interessa, il difetto di motivazione in ordine alla sussistenza della sua qualità di coobbligato solidale della Associazione Sportiva in quanto la rappresentanza legale dell’ente sportivo apparteneva, come previsto dallo statuto e dall’atto costitutivo della G.S. Falasche, al Consiglio Direttivo della Associazione, mentre egli si era limitato a svolgere la funzione di Presidente dell’Associazione e cioè una funzione onorifica, ma la Commissione Tributaria Provinciale rigettò il ricorso ritenendo corretti gli atti impugnati mentre il ricorrente non aveva prodotto avversi elementi di prova.

Decidendo sull’appello del contribuente – il quale dedusse, sempre per quanto ancora interessa, l’errore di giudizio commesso dal giudice di primo grado il quale non aveva compreso che egli aveva proposto il ricorso non già quale legale rappresentante legale della Associazione Sportiva, bensì proprio per contestare la sussistenza di tale qualità che spettava al Consiglio Direttivo mentre egli, se pure aveva ricevuto le fatture passive e ricevuto il saldo di quelle attive e si era occupato del reperimento di rapporti di sponsorizzazione, peraltro non per questo era divenuto legale rappresentante della Associazione in contrasto con i patti sociali e tanto meno poteva sussistere la sua responsabilità solidale per le obbligazioni sociali in assenza di un riscontro dell’attività negoziale che determina in capo ai terzi la convinzione di potere fare affidamento sul patrimonio personale dell’agente oltre che sul fondo comune, permanendo comunque la associazione unico soggetto passivo della obbligazione tributaria – la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza n. 746/14/2012, depositata il 12.12.2012, rigettò l’appello e confermò gli atti impugnati. La sentenza d’appello, premesso che il contribuente aveva sempre riconosciuto di rivestire la carica di Presidente dell’Associazione e che in tale veste aveva sottoscritto la dichiarazione Unico 2005 presentata per conto della Associazione Sportiva ed aveva anche provveduto ad assistere alle operazioni di verifica ed a presentare la documentazione in suo possesso, riferita alla Associazione Sportiva, ritenne che l’ A. fosse non solo legale rappresentante, ma anche responsabile personalmente e solidalmente per le obbligazioni associative e nella specie per i tributi non corrisposti e per le conseguenti sanzioni, in quanto aveva agito in nome e per conto della Associazione, svolgendo per conto di essa una attività negoziale inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege, come era stato dimostrato attraverso le indagini svolte dalla Guardia di Finanza, rappresentando in particolare la società nei rapporti con i terzi e ricevendo personalmente il saldo delle fatture attive nonchè le fatture passive, in tal modo provvedendo alla direzione e gestione della Associazione Sportiva. Ritenne altresì che erroneamente l’appellante avesse invocato la violazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 7, convertito con modificazioni nella L. n. 326 del 2003, poichè tale normativa si riferiva solo agli enti dotati di personalità giuridica mentre nella specie si trattava di associazione non riconosciuta.

Contro la sentenza di appello, non notificata, la Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso per cassazione, affidato a due motivi, con atto notificato in data 30/31 gennaio 2013.

Resiste con tempestivo controricorso la Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 38 c.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 62, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la sentenza impugnata equiparato illegittimamente la figura del “legale rappresentante dell’associazione sportiva” con quella di “responsabile fiscale della stessa” e per avere omesso di valutare il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 62, laddove prevede che la rappresentanza degli enti sportivi deve essere accertata in base alle norme civilistiche e cioè ai sensi degli artt. 36 c.c. e ss., e solo in via residuale utilizzando il criterio della concreta amministrazione dell’ente; dal che discendeva che soggetto passivo della obbligazione tributaria rimaneva comunque la società o l’associazione in quanto autonomo complesso di persone e di beni patrimonialmente distinto da quello dei soggetti che la componevano, indipendentemente dal riconoscimento o meno della personalità giuridica e ciò anche ai fini sanzionatori, nell’ambito del sistema introdotto con il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 11, che trovava il suo completamento nello stesso D.L., art. 5, comma 2, per cui l’illecito era riferibile alla persona fisica che aveva commesso o concorso a commettere la violazione; aveva in conseguenza errato la sentenza d’appello nel ritenere che il legale rappresentante dovesse rispondere automaticamente delle violazioni tributarie commesse dall’Associazione Sportiva, spettando all’Ufficio, che intenda invocare in giudizio la responsabilità personale, provare la concreta attività svolta in nome e per conto dell’associazione, non essendo tuttavia prova sufficiente l’avere rivestito la carica di legale rappresentante, dovendosi invece fornire l’effettivo riscontro dell’attività negoziale svolta, tanto più che lo statuto della Associazione prevedeva che fosse il Consiglio Direttivo a dirigere e gestire la associazione sportiva.

2. Con il secondo motivo si duole di insufficiente motivazione sul punto decisivo della controversia concernente l’individuazione dell’effettiva amministrazione e direzione dell’associazione sportiva, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, in considerazione della deficienza nella esposizione del criterio logico giuridico seguito dalla sentenza impugnata per arrivare o formare il convincimento circa la sussistenza dell’elemento gestionale e direzionale da parte del sig. A.A., nonchè di omessa motivazione in ordine all’omesso esame della documentazione probatoria offerta dall’ A. (statuto associativo e nota del consiglio direttivo che attribuiva all’ A. le funzioni di presidente onorario).

3. Il ricorso è infondato.

4. Il ‘primo motivo invoca il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 (e cioè di nullità della sentenza o del procedimento), ma poi deduce erroneamente e contraddittoriamente, nel corpo del motivo, il vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Ciò non impedisce comunque di prendere in esame il motivo relativo alla violazione di legge poichè, pur avendo il ricorso per cassazione ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, e dovendo essere quindi articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, ciò può avvenire anche senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti, ad esempio, l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., così come non è indispensabile che richiami la fattispecie di cui al n. 3, allorchè invochi la violazione di norme di legge, purchè il motivo rechi univoco riferimento ad uno specifico vizio espressamente previsto dall’art. 360 c.p.c., pur se per errore indichi un numero non appropriato di tale disposizione (v. Cass. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013 Rv. 627268 – 01).

4.1. Non sussiste peraltro la invocata violazione di norme di diritto, poichè tale vizio consiste in una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa attraverso l’esame dei principi che regolano la materia, mentre nel caso in esame il ricorrente, pur trascrivendo le disposizioni normative che assume violate dalla decisione impugnata, attribuisce alle stesse una valenza ed una interpretazione che sono avulse da quelle offerte dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte per cui “nelle associazioni non riconosciute, mentre per i debiti sorti su base negoziale non rileva la posizione astrattamente rivestita dal soggetto nella compagine dell’ente, rispondendo la responsabilità personale e solidale di coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, di cui all’art. 38 c.c., all’esigenza di garantire i creditori in assenza di forma di pubblicità legale del patrimonio dell’ente, per i debiti d’imposta sorti ex lege, risponde solidalmente delle sanzioni e del tributo non corrisposto, nel solo periodo di relativa investitura, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia effettivamente diretto la gestione complessiva dell’ente” (v., per tutte, Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 4747 del 24/02/2020 Rv. 657319 – 01; N. 1602 del 2019 Rv. 652724 – 01, N. 25650 del 2018 Rv. 650749 – 02).

4.2. Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che la responsabilità personale e solidale prevista dall’art. 38 c.c., comma 2, per colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione, bensì all’attività negoziale effettivamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa ed i terzi, con la conseguenza che chi invoca in giudizio tale responsabilità è gravato dall’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la dimostrazione in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente (Cass. n. 8752/17; Cass. n. 18188/14; Cass. n. 26290/07). A tale proposito occorre rammentare che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato altresì che per i debiti d’imposta, i quali non sorgono su base negoziale, ma “ex lege” al verificarsi del relativo presupposto, è chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato, fermo restando che il richiamo all’effettività dell’ingerenza vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni sorte nel periodo di relativa investitura (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 5746/2007, Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 12473/2015; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19486/2009; Cass. 2169/18). Ed, in virtù di tale orientamento, concernente in via specifica la responsabilità solidale per le obbligazioni tributarie di chi svolge compiti di amministrazione e di gestione nell’ambito dell’associazione, deve quindi ritenersi sussistere un principio di presunzione idoneo a far supporre che i predetti soggetti concorrano nelle decisioni volte alla creazione di rapporti obbligatori di natura tributaria per conto dell’associazione.

4.3. Orbene, la sentenza impugnata ha fatto applicazione corretta di tali principi poichè non solo ha richiamato la consolidata giurisprudenza in materia di debiti di imposta all’epoca vigente (ma speculare a quella attuale) con riguardo alla responsabilità del soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia avuto la gestione dell’attività dell’associazione, quale era certamente nel caso in esame l’ A. che nel periodo considerato rivestiva la carica di Presidente del Consiglio direttivo (come risultante dal verbale di costituzione dell’Associazione redatto il (OMISSIS), allegato alla richiesta di attribuzione del codice fiscale della Associazione stessa, prodotto in giudizio dall’Ufficio), ma ha anche affermato che la Agenzia delle Entrate aveva specificamente dimostrato non solo e non tanto che il ricorrente era il Presidente del Consiglio Direttivo, come tale nominato in sede di costituzione dell’Associazione e quindi il legale rappresentante della associazione sportiva in base allo statuto, ma anche che lo stesso aveva provveduto alla amministrazione ed alla gestione della associazione, agendo personalmente in nome e per conto della stessa, rappresentandola nei rapporti con i terzi, compresi i rapporti con la amministrazione finanziaria, sottoscrivendo e presentando la dichiarazione dei redditi, ad esempio per l’anno 2004, nella quale si era autodichiarato legale rappresentante della associazione e pure una denuncia di furto di documenti contabili in cui si era qualificato ugualmente quale presidente e legale rappresentante dell’associazione e partecipando sempre in tale veste alle operazioni di verifica fiscale nel corso della quale aveva presentato le scritture contabili in suo possesso, provvedendo, pure, infine, agli atti di gestione patrimoniale mediante emissione personale e consegna ai clienti soggetti IVA delle fatture che aveva presentato in sede di verifica e ricevimento nelle sue mani del corrispettivo in denaro o in assegni delle fatture da lui consegnate ai clienti (v. dichiarazioni rese dall’ A. in sede di verbale di constatazione, trascritte a pag. 8 del controricorso, confermate con il ricorso in appello).

4.4. Al contrario, il ricorrente non si confronta in alcun modo con tale motivazione della sentenza impugnata, che appare del tutto in linea con le disposizioni normative di cui deduce la violazione ed in particolare con il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 62 (il quale recita: “La rappresentanza dei soggetti diversi dalle persone fisiche, quando non sia determinabile secondo la legge civile, è attribuita ai fini tributari alle persone che ne hanno l’amministrazione anche di fatto”). Infatti il ricorrente sostiene che, anche nel caso di debiti tributari “l’ente rimaneva l’unico ed autonomo centro di imputazione giuridica che realizza il presupposto genetico dell’obbligazione tributaria anche ai fini sanzionatori, nell’ambito del sistema introdotto con il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 11, per cui l’illecito era riferibile alla persona fisica che aveva commesso o concorso a commettere la violazione, ma spettava all’Ufficio, che intenda invocare in giudizio la responsabilità personale del legale rappresentante, provare la concreta attività svolta in nome e per conto dell’associazione, non essendo prova sufficiente l’avere rivestito la carica di legale rappresentante, dovendosi invece fornire l’effettivo riscontro dell’attività negoziale svolta”, ma, da un lato, cade in errore in quanto non è vero che ai fini tributari “l’ente” rimanga l’unico ed autonomo centro di imputazione giuridica dei rapporti obbligatori, essendo al contrario prevista la responsabilità solidale, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, del soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato e, da altro lato, la sentenza impugnata ha specificamente rilevato che l’Ufficio aveva dimostrato in causa, attraverso plurimi e concordanti elementi probatori, che l’ A. era il legale rappresentante in base alle disposizioni statutarie ma anche di fatto in base a concreti e significativi atti di amministrazione e di gestione della associazione che erano a lui riferibili anche quale amministratore in concreto.

4.5. In tale ambito ed alla luce dei corretti principi normativi applicati dalla sentenza impugnata resta poi irrilevante la argomentazione del ricorrente per cui la carica da lui rivestita avrebbe avuto connotati solo onorari in quanto lo Statuto della Associazione prevedeva che fosse il Consiglio Direttivo a dirigere e gestire la associazione sportiva, poichè non è stato neppure allegato che lo statuto prevedesse limitazione di poteri di rappresentanza del Presidente (al contrario, a pagine 20 e 21 del ricorso viene trascritto lo statuto, art. 16, il quale prevede che “Il Presidente rappresenta la società sportiva nei rapporti con i terzi e presiede l’Assemblea dei soci e il Consiglio Direttivo. Egli provvede alla direzione e gestione della società sportiva in conformità alle delibere dell’Assemblea e del Consiglio Direttivo), nè che lo statuto prevedesse la figura del Presidente come carica onorifica, mentre è stato ritenuto provato che l’ A. svolgesse le funzioni di Presidente effettivo attraverso la disamina degli atti concreti di amministrazione che aveva posto in essere nel periodo in considerazione; ciò del tutto in linea con il tenore del già citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 62, secondo cui “La rappresentanza dei soggetti diversi dalle persone fisiche, quando non sia determinabile secondo la legge civile, è attribuita ai fini tributari alle persone che ne hanno l’amministrazione anche di fatto”.

5. Il secondo motivo con cui si deduce l’insufficiente o omessa motivazione su un punto decisivo della controversa “concernente l’individuazione e l’effettiva amministrazione e direzione della associazione sportiva”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è inammissibile poichè la suddetta disposizione, già nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, prevedeva l'”omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate. La censura s’infrange poi ora contro il principio di diritto, applicabile ratione temporis (all’impugnazione della sentenza, depositata il 12.12.2012, si applica il testo novellato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ai sensi del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla L. n. 143 del 2012), secondo il quale la riformulazione di questa norma dev’essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053 e 8054 nonchè, tra varie, ord. 9 giugno 2014, n. 12928 e sez. un. 19881 del 2014).

5.1. Nel caso in esame, difatti, il giudice d’appello ha congruamente motivato, facendo leva sugli elementi di prova indicati in narrativa, sul ruolo rivestito dal ricorrente statutariamente ma anche in relazione allo svolgimento di concrete attività di amministrazione e di gestione di guisa che il motivo si traduce nella denuncia d’insufficiente motivazione, inibita dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., sez. un., 10 luglio 2015, n. 14477; da ultimo, Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019 Rv. 652549 – 02).

5.2. Ciò vale anche con riguardo alla censura di omesso esame della documentazione offerta dal contribuente per dimostrare che era estraneo alla amministrazione della associazione (in particolare si deduce omesso esame dello statuto sociale e di una nota del consiglio direttivo che attribuiva all’ A. le funzioni di presidente onorario) poichè il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016 Rv. 640194 – 01; Sez. 1 -, Ordinanza n. 23153 del 26/09/2018 Rv. 650931 – 01). Tanto più che lo statuto è stato preso espressamente in esame dalla sentenza impugnata a pagina 8 (dove ha trascritto lo statuto, art. 16, il quale prevede che il Presidente “rappresenta la società sportiva nei rapporti con i terzi… e provvede alla direzione e gestione della società sportiva”) unitamente a tutti i documenti prodotti dalle parti, nell’ambito di una valutazione complessiva, non essendo necessario che il giudice dia conto dello specifico esame del singolo documento.

6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e – fermo restando il carico delle spese disposto dal giudice del merito – il ricorrente deve essere condannato alla rifusione delle spese del presente giudizio liquidate come in dispositivo in favore dell’Agenzia delle Entrate. Sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato a norma D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1-bis e 1-quater, essendo stato il ricorso notificato il 31 gennaio 2013.

PQM

La Corte: rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore della Agenzia delle Entrate che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2021

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