Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16234 del 28/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 28/06/2017, (ud. 25/05/2017, dep.28/06/2017),  n. 16234

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3843-2013 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, UNIVERSITA’ E RICERCA – C.F. (OMISSIS), in

persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

D.M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, V. NAZARIO SAURO

16, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA REHO, rappresentato e

difeso dall’avvocato MASSIMO PISTILLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9508/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/05/2017 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO.

Fatto

RILEVATO

che:

con la sentenza impugnata la Corte di appello di Roma ha accolto l’appello proposto da D.M.M. contro la sentenza del Tribunale e, per l’effetto, ha rigettato l’opposizione proposta dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca contro il decreto ingiuntivo emesso su ricorso del lavoratore dal Tribunale di Viterbo e avente ad oggetto le differenze stipendiali conseguenti al riconoscimento del diritto del lavoratore alla progressione retributiva professionale riconosciuta ai lavoratori assunti a tempo indeterminato; la Corte territoriale ha ritenuto che la domanda del ricorrente, assunto alle dipendenze del Ministero nel settore della scuola con una pluralità di contratti a termine succedutisi senza soluzione di continuità, fosse fondata alla luce del principio di non discriminazione tra lavoratori di cui all’art. 4 dell’Accordo Quadro, attuato con Direttiva 1999/70/CE, il quale consente un trattamento differenziato tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato sulla base di ragioni oggettive, non ravvisabili nella mera circostanza che un impiego sia qualificato di ruolo in base all’ordinamento interno e presenti alcuni aspetti caratterizzanti il pubblico impiego;

per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca sulla base di un unico motivo;

la parte intimata ha resistito con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.Con l’unico articolato motivo il MIUR denuncia la violazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 6, della L. 11 luglio 1980, n. 312, art. 53; della L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 4, art. 526 T.U. istruzione e della direttiva 99-70-CE.

2. Deduce, in sintesi, la insussistenza di una normativa che riconosca ai lavoratori a tempo determinato gli scatti collegati con l’anzianità di servizio previsti per i lavoratori a tempo indeterminato e ciò sulla base a) del disposto del D.P.R. n. 399 del 1998, art. 3 e della L. 11 luglio 1980, n. 312, art. 53 a norma dei quali deve escludersi il diritto per il periodo pre-ruolo di supplenza a scatti retributivi e la ricostruzione di carriera può essere chiesta solo dal personale di ruolo ad avvenuto superamento del periodo di prova, con effetti decorrenti dalla conferma il ruolo; b) del C.C.N.L. del comparto scuola 4/8/1995, il quale (art. 53) nulla prevede in merito agli scatti di anzianità per i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato, ai quali spetta solo il trattamento economico iniziale previsto per il corrispondente personale con contratto di lavoro a tempo indeterminato.

2.1. Sostiene che alle supplenze, stipulate per garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo, non si applica la disciplina generale dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001, bensì la normativa di settore, ed in particolare la L. n. 124 del 1999, art. 4; che non è comparabile la posizione dei supplenti, che sottoscrivono ogni anno un nuovo contratto del tutto autonomo rispetto al precedente, con quella dei dipendenti di ruolo, assunti a seguito di concorso. Richiama il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 nella parte in cui attribuisce alla contrattazione collettiva il potere di disciplinare la materia dei contratti a tempo determinato stipulati dalle Pubbliche Amministrazioni, ed aggiunge che l’Accordo quadro fa salve deroghe dovute a ragioni oggettive, così attribuendo rilievo alle esigenze di specifici settori che giustificano il ricorso alla tipologia contrattuale e le differenziazioni fra lavoratori a tempo determinato ed indeterminato.

3. Nel suo controricorso la parte intimata eccepisce l’inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza per non aver riportato nel corpo del ricorso medesimo il testo integrale della sentenza gravata.

3.1. L’eccezione è infondata, dal momento che il principio di autosufficienza esige che dal contesto dell’atto emergano con chiarezza i fatti rilevanti, in modo tale da permettere al giudice di legittimità di comprendere le censure sollevate in tale sede, mentre non è richiesta da alcuna norma, tantomeno a pena di inammissibilità, la trascrizione integrale della sentenza impugnata; nel caso in esame, dal contenuto del ricorso sono comunque enucleabili le ragioni della decisione e i motivi di doglianza della sentenza impugnata.

4. Il motivo è tuttavia infondato.

Come già osservato da questa Corte (Cass. n. 22258/2016; Cass. n. 27387/2016; Cass. n. 165/2017; Cass. n. 290/2017, alle cui motivazioni ci si riporta integralmente in quanto del tutto condivise), l’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo determinato “condizioni di impiego” che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato “comparabile”, sussiste a prescindere dalla legittimità del termine apposto al contratto, giacchè detto obbligo è attuazione, nell’ambito della disciplina del rapporto a termine, del principio della parità di trattamento e del divieto di discriminazione che costituiscono “norme di diritto sociale dell’Unione di particolare importanza, di cui ogni lavoratore deve usufruire in quanto prescrizioni minime di tutela” (Corte di Giustizia 9.7.2015, causa C-177/14, Regojo Dans, punto 32).

4.1. La clausola 4 dell’Accordo quadro è stata più volte oggetto di esame da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha affrontato tutte le questioni rilevanti nel presente giudizio rilevandone il carattere incondizionato idoneo alla disapplicazione di qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte di Giustizia 15.4.2008, causa C- 268/06, Impact; 13.9.2007, causa C- 307/05, Del Ceno Alonso; 8.9.2011, causa C-177/10 Rosado Santana) ed affermando la esclusione di ogni interpretazione restrittiva, non potendo la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’art. 137 n. 5 del Trattato (oggi 153 n. 5), “impedire ad un lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorchè proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del Cerro Alonso, cit., punto 42).

4.2. La CGUE ha evidenziato che le maggiorazioni retributive che derivano dalla anzianità di servizio del lavoratore costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva (Corte di Giustizia 9.7.2015, in causa C177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata).

4.3. A tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, nè rileva la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perchè la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e C305/11, Valenza; 7.3.2013, causa C393/11, Bertazzi).

4.4. L’interpretazione delle norme eurounitarie è riservata alla Corte di Giustizia, le cui pronunce hanno carattere vincolante per il giudice nazionale – che può e deve applicarle anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa – e valore di ulteriore fonte del diritto della Unione Europea, nel senso che esse indicano il significato ed i limiti di applicazione delle norme eurounitarie, con efficacia erga omnes nell’ambito dell’Unione (fra le più recenti in tal senso Cass. 8 febbraio 2016, n. 2468).

4.5. In questa sede il Ministero, pur affermando l’esistenza di condizioni oggettive a suo dire idonee a giustificare la diversità di trattamento, ha fatto leva su circostanze che prescindono dalle caratteristiche intrinseche delle mansioni e delle funzioni esercitate, le quali sole potrebbero legittimare la disparità, insistendo, infatti, sulla natura non di ruolo del rapporto di impiego e sulla novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente, ossia su ragioni oggettive che legittimano il ricorso al contratto a tempo determinato e che rilevano ai sensi della clausola 5 dell’Accordo Quadro, da non confondere con le ragioni richiamate nella clausola 4, che attengono, invece, alle condizioni di lavoro che contraddistinguono i due tipi di rapporto in comparazione, in ordine alle quali nulla ha dedotto il ricorrente.

5. Pertanto, in dissenso dalla proposta del relatore, il ricorso va rigettato con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5.

La novità e la complessità della questione, diversamente risolta dalle Corti territoriali, giustificano la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

Non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, atteso che le stesse, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass. 1778/2016).

PQM

 

rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2017

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