Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16234 del 09/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 09/07/2010, (ud. 04/06/2010, dep. 09/07/2010), n.16234

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12871/2004 proposto da:

M.S., M.R., M.G.,

elettivamente domiciliati in ROMA V.LE PARIOLI 43 presso lo studio

dell’avvocato D’AYALA VALVA Francesco, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TACCHI VENTURI PIER CESARE, giusta delega in

calce;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI VERONA PRIMO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 211/2002 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

VERONA, depositata il 26/11/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

04/06/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito per il ricorrente l’Avvocato MARINI GIUSEPPE per delega Avv.

D’AYALA VALVA FRANCESCO, che si riporta;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del 1^ motivo,

assorbito il 2^

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con tre separati ricorsi alla commissione tributaria provinciale di Verona, presentati in data non precisata, G. e i figli R. e M.S. proponevano opposizione avverso altrettanti avvisi di accertamento, ai fini dell’Irpef, che l’ufficio delle imposte di quella città gli aveva fatto loro notificare per rettifica della dichiarazione relativa all’anno d’imposta 1991, per un reddito ulteriore di complessive L. 3.205.000.000, pari a L. 1.083.065.000 ciascuno. I contribuenti deducevano che la pretesa dell’amministrazione era infondata, anche perchè non aveva alcun riscontro probatorio; pertanto chiedevano l’annullamento degli atti impugnati.

Instauratosi il contraddittorio, l’ufficio delle imposte eccepiva la fondatezza dei provvedimenti, che si basavano sulla rettifica operata nei confronti della società Immobiliare Stefania s.r.l., della quale i tre M. erano gli unici soci con quote uguali, e i cui ricavi erano stati accertati per il suindicato ammontare, in virtù di una perizia dell’Ute basata sul fatto che tale ufficio aveva riscontrato la vendita di numerosi immobili nel centro di (OMISSIS), costituiti anche da aree fabbricabili, il cui prezzo era stato indicato con importo irrisorio rispetto all’effettivo valore di mercato. Pertanto l’ufficio deduceva che i maggiori ricavi accertati nei confronti di quella società non erano stati contabilizzati, pur a fronte di una contabilità apparentemente regolare, tanto che, nonostante l’impugnativa, l’accertamento per l’Irpeg era stato poi ritenuto fondato, e pertanto i maggiori proventi dovevano essere considerati distribuiti ai tre soli soci in ragione delle rispettive quote di partecipazione, pur trattandosi di società di capitale, ma a ristretta base azionaria e familiare. Pertanto la dedotta presunzione faceva scattare l’onere della prova di eventuale altra destinazione dei ricavi stessi a carico dei contribuenti, sicchè il resistente chiedeva il rigetto del ricorso in opposizione.

Quella commissione, riuniti i ricorsi, annullava gli avvisi di rettifica con sentenza n. 317 del 1999.

Avverso la relativa decisione l’agenzia delle entrate proponeva appello, cui i tre M. non resistevano, dinanzi alla commissione tributaria regionale del Veneto, sez. staccata della medesima sede, la quale, con sentenza del 7.11.2002, in riforma di quella impugnata, ha rigettato i ricorsi introduttivi e compensato le spese, osservando che la ristretta base azionaria e familiare della società e i maggiori proventi accertati nei confronti della Immobiliare Stefania, come risultava dalla sentenza n. 157 del 2002 prodotta in atti, costituivano elementi tali da fare fondatamente presumere che questi fossero stati distribuiti pro-quota anche ai tre soci, anche in considerazione “…della complicità che normalmente avvince i membri di una ristretta compagine sociale”.

Contro questa pronuncia M.G., R. e S. hanno proposto ricorso per cassazione, indicando tre motivi ed hanno depositato memorie.

Il Ministero dell’economia e delle finanze e l’agenzia delle entrate hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Col primo motivo i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, art. 49, comma 1, artt. 101 e 330 c.p.c., con riferimento all’art. 360, n. 4 del codice di rito, in quanto la commissione tributaria regionale non ha considerato che l’atto di appello non era stato validamente notificato, giacchè doveva esserlo nel domicilio eletto presso il procuratore che aveva ricevuto il mandato in seno agli atti introduttivi del giudizio, contenendo essi contestualmente la procura e l’elezione del domicilio, e dovendosi applicare anche nella specie la disciplina codicistica del processo civile, altrimenti la difesa tecnica sarebbe svilita in quello tributario. Invece l’ufficiale postale, che ha operato giacchè quello giudiziario si è avvalso del servizio delle poste, avrebbe consegnato il plico in raccomandata a R., che avrebbe firmato l’avviso di ricevimento, ma ciò non corrisponde a verità, perchè la relativa sottoscrizione è falsa;

inoltre ha consegnato il plico diretto a G. a seguito del deposito nell’ufficio postale a mani proprie, e al medesimo anche quello riguardante S. per delega. Si tratta di inesistenza di notificazione per il primo, e di nullità assoluta per il secondo e la terza, peraltro questa non sanabile, anche perchè gli appellati non si erano nemmeno costituiti in giudizio.

Il motivo è fondato limitatamente a R., mentre è del tutto infondato per gli altri ricorrenti.

Invero, come risulta dalla sentenza n. 803 pronunciata dal tribunale di Verona il 4 febbraio 2009, passata in giudicalo, giusta l’attestazione della cancelleria, ma non prodotta dal difensore alla precedente udienza di discussione del ricorso del 2.4.2 009, sicchè questa veniva rinviata, e invece lo era successivamente, la firma apposta apparentemente sull’avviso di ricevimento del plico postale da M.R. risultava apocrifa, e quindi il ricorso in appello dell’agenzia nei suoi riguardi era affetto da inesistenza della notifica, con la conseguenza che il gravame non poteva essere delibato nei suoi riguardi, e quindi la sentenza è nulla, però limitatamente a lui. Infatti la notifica a mezzo del servizio postale – anche se con la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario sì hanno per verificati, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 2002, gli effetti interruttivi ad essa connessi per il notificante – non si esaurisce con la spedizione dell’atto, ma si perfeziona con la consegna del relativo plico al destinatario, e l’avviso di ricevimento prescritto dall’art. 149 cod. proc. civ., e dalle disposizioni della L. 20 novembre 1982, n. 890, è il solo documento idoneo a dimostrare sia l’intervenuta consegna che la data di essa e l’identità e l’idoneità della persona a mani della quale è stata eseguita.

Ciò posto, allora soltanto la notifica del ricorso in appello nei riguardi di R. deve ritenersi inesistente, con la conseguente nullità della sentenza emessa, limitatamente allo stesso, che non poteva vedersi negare un diverso grado di giudizio, sicchè il giudice, a norma dell’art. 291 cod. proc. civ., è tenuto a disporre la rinnovazione della notificazione, atteso che la necessità di essa non era stata superata dalla (mancata) costituzione della parte, munita di valore sanante “ex tunc” rispetto ai vizi che ineriscano non all’atto, ma alla sua notificazione (Cfr. anche Cass. Sentenza n. 1446 del 25/01/2006 (Rv. 586933). Nè tuttavia tale nullità della sentenza può estendersi agli altri due ricorrenti, dal momento che non si tratta di litisconsorzio necessario, ma processuale, ciascuno con posizione autonoma, ancorchè di carattere simile; inoltre non è in discussione la posizione della società.

Quanto poi a quella degli altri due ricorrenti, le notificazioni da effettuarsi nel corso del procedimento trovano una disciplina generale ed esaustiva nel D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 16 e 17, disposizione quest’ultima che al comma 1 innanzitutto fa salva la consegna in mani proprie. L’espressione “mani proprie”, secondo una stretta interpretazione letterale, imposta dalla natura processuale speciale della norma, è da riferire esclusivamente alla parte e, quindi, la consegna in mani proprie di essa rappresenta la modalità di notificazione dell’atto alla quale si può sempre ricorrere, atteso che il sistema tributario, avente carattere speciale, ha la prevalenza sulla norma processuale civilistica, e quindi la notifica del gravame a G. e a mezzo di lui munito di delega, a M. S., per la quale egli aveva ritirato il plico in data 19.12.2000, come risulta dagli atti, esaminabili anche in questa sede, trattandosi di pretesa violazione di norme processuali risulta regolare (V. pure Cass. Sentenze n. 12908 del 01/06/2007, n. 5504 del 2007).

Ne discende che il primo motivo di ricorso limitatamente alla posizione di M.R., va accolto mentre invece per gli altri due, e cioè G. e M.S. va rigettato.

2) Col secondo motivo i ricorrenti denunziano violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, art. 132 c.p.c., e art. 118 disp. att., oltre che omessa motivazione, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5 del codice di rito, giacchè il giudice di appello non avrebbe indicato le ragioni, in virtù delle quali riteneva che l’accertamento nei riguardi della società Immobiliare Stefania fosse stato riconosciuto fondato, e quindi tale da giustificare il metodo induttivo nei confronti dei soci, se non solamente per relazione, senza alcuna giustificazione, e soltanto sotto il profilo dell’unico richiamo alla ristretta struttura familiare del contesto sociale, con un criterio che semmai avrebbe potuto ritenersi valido se la sentenza riguardante la società fosse stata pronunciata dallo stesso collegio nella medesima udienza, mentre nel caso “de quo” si era trattato di una sezione diversa, la quale aveva reso il provvedimento in una data precedente.

La censura va condivisa.

La CTR evidenziava la stretta connessione esistente tra i soci di una società di capitale a base familiare, e quindi la presunzione che l’imponibile maggiore accertato nei confronti della compagine sociale sia stato distribuito agli stessi, rilevando al contempo che i maggiori ricavi erano stati riconosciuti dai giudici medesimi nei riguardi di Immobiliare Stefania con la sentenza n. 157 del 2002, depositata in atti.

La Corte osserva che l’assunto non è esatto.

Invero, anche se la ristretta base familiare fa legittimamente presumere che gli utili siano stati distribuiti ai soci, tuttavia nel caso in esame l’accertamento del maggio reddito ai fini Irpeg nei confronti della Immobiliare Stefania non era definitivo, e pertanto la prova presuntiva non poteva scattare a favore dell’ufficio, sui cui gravava il relativo onere relativo alla definitività di quell’accertamento.

Sul punto perciò la sentenza impugnata non risulta motivata in modo adeguato e giuridicamente corretto.

3) Col terzo motivo i ricorrenti lamentano violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 41 e 42, artt. 2697 e 2729 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, poichè il giudice dell’impugnazione non avrebbe considerato che nessuna prova era stata fornita circa la sussistenza di maggiori ricavi, nè della distribuzione di essi ai soci, che peraltro non avevano tutti la gestione della società, ben potendo semmai, in caso di proventi ulteriori, formarsi riserve ovvero i c.d. fondi neri.

La doglianza rimane in parte assorbita dal motivo testè esaminato, anche se tuttavia va aggiunto che è indubbio che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, è legittima la presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva poi la facoltà dei M. di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non fossero stati fatti oggetto di distribuzione, ma fossero stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente la mera deduzione del profilo per cui l’esercizio sociale ufficiale si fosse concluso eventualmente con perdite contabili (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 6197 del 16/03/2007, n. 20851 del 26/10/2005, n. 16885 del 2003). Infatti tale presunzione avrebbe fatto scattare l’onere della prova a carico dei ricorrenti.

Sul punto perciò la decisione impugnata non risulta motivata del tutto in modo giuridicamente corretto.

Ne deriva che il ricorso va accolto, e la sentenza cassata con rinvio, anche per le spese, alla CTR del Veneto, altra sezione, per nuovo esame.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale del Veneto, altra sezione, per nuovo esame.

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2010

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