Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16229 del 25/07/2011

Cassazione civile sez. II, 25/07/2011, (ud. 03/03/2011, dep. 25/07/2011), n.16229

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.C. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e

difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’Avvocato

Roccella Michele, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Mazzini

n. 27, presso lo studio dell’Avvocato Lucio Nicolais;

– ricorrente –

contro

D.L.A. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e

difeso, per procura a margine del controricorso, dall’Avvocato Paolo

Militello, elettivamente domiciliato in Roma, Piazza del Fante n. 2,

presso lo studio dell’Avvocato PALMIERI Giovanni;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 756 del 2005,

depositata in data 27 maggio 2005.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 3

marzo 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’inammissibilità

o in subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 13 gennaio 1998 D.L.A., proprietario e possessore di un fondo sito in (OMISSIS), espose che A.C., proprietaria di un fondo vicino, aveva prima (nel mese di dicembre 1997) ristretto e poi, nel corso del giudizio, sostanzialmente ostruito il passaggio carrabile di accesso al proprio fondo, spogliandolo in tal modo del possesso della servitù di passaggio con veicoli, e chiese il ripristino dello stato dei luoghi.

La A., costituitasi in giudizio, contestò il fondamento della domanda, chiedendone il rigetto.

All’esito della fase interdettale, in parziale accoglimento della domanda, l’adito Tribunale di Palermo, sezione distaccata di Carini, dispose la rimozione, per due metri, di un cordolo in muratura che rendeva più difficile l’accesso dei veicoli.

La A. propose reclamo, che venne accolto dal Tribunale in composizione collegiale.

Espletata la fase di merito, il Tribunale di Palermo, sezione distaccata di Carini, con sentenza depositata il 10 gennaio 2001, respinse le domande. Il Tribunale ritenne che il lamentato spoglio, consistito in una serie di condotte quali la riduzione della portata della stradella, l’impedimento del transito, il collocamento di materiale vario, la rimozione di una griglia di ferro posta a copertura di una canaletta all’imbocco della stradella, al livello del piano viario, e la creazione di spallette di cemento alla canaletta stessa, in prolungamento delle spallette già esistenti, altro non fosse che l’esecuzione coattiva di una sentenza emessa all’esito di una lite intercorsa tra la A. e D.S. L., con la quale era stato disposto il ripristino dei luoghi nelle porzioni di terreno di proprietà della A., messe a disposizione del D.L. per rendere transitabile con veicoli la stradella oggetto della controversia possessoria tra le parti. Il Tribunale rilevò, quindi, che le attività poste in essere dalla A., e contestate dall’attore D.L.A., il quale le aveva qualificate come spoglio, coincidevano con quanto necessario per portare ad esecuzione la detta sentenza, sicchè ricorreva una ipotesi di cd. “spoglio a mezzo di ufficiale giudiziario”, rispetto alla quale non era configurabile il dolo della parte che aveva promosso l’esecuzione.

Avverso tale decisione il D.L. ha proposto appello, cui ha resistito la A..

La Corte d’appello di Palermo, con sentenza depositata il 27 maggio 2005, ha ordinato ad A.C. di reintegrare D.L. A. nel compossesso della stradella privata, ripristinando la sua originale larghezza, e in particolare, di rimuovere il cordolo in cemento, realizzato lungo la stessa stradella, e di ricollocare la griglia di ferro rimossa in data 2 dicembre 1998.

La Corte d’appello, premesso che nel giudizio possessorio rileva esclusivamente la situazione di fatto esistente al momento dello spoglio o della turbativa, ha rilevato, con riferimento allo spoglio verificatosi in sede di esecuzione di un provvedimento giudiziario a mezzo ufficiale giudiziario, che per affermarne la rilevanza possessoria, erano necessarie due condizioni: a) che il titolo posto in esecuzione non avesse efficacia contro il possessore; b) che l’intervento dell’ufficiale giudiziario fosse stato maliziosamente provocato da colui che ha richiesto l’esecuzione.

Nel caso di specie, pacifica la inefficacia del titolo nei confronti dell’appellante, posto che la sentenza era stata emessa in un giudizio nel quale egli non era stato parte, la Corte ha ritenuto, sulla base delle risultanze della espletata prova testimoniale, che dovesse ravvisarsi in capo alla A. la piena consapevolezza dell’esercizio del possesso della stradella in contestazione da parte dell’appellante e la coscienza che questi esercitasse il possesso regolarmente anche con mezzi meccanici, il che deponeva per la arbitrarietà della condotta posta in essere, senz’altro idonea ad impedire al D.L. il passaggio sulla stradella con mezzi meccanici.

Per la cassazione di questa sentenza A.C. ha proposto ricorso sulla base di cinque motivi; ha resistito, con controricorso, D.L.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1168 e 1170 cod. civ..

La ricorrente premette che il passaggio sulla stradella era stato disciplinato con atto pubblico di divisione del 1951, nel quale si era stabilito che i condividenti avrebbero esercitato il passaggio a piedi, e che tale situazione si era protratta sino al 1993, allorquando essa ricorrente e D.L.S. (fratello di A.) convennero verbalmente il trasferimento di una porzione di terreno in cambio di un allargamento della stradella sul terreno di essa ricorrente. Ricorda quindi che con D.L.S. si instaurò un contenzioso, che si concluse con la sentenza n. 3047/1997 del Tribunale di Palermo, con la quale il D.L. era stato condannato ad eliminare i manufatti realizzati sul terreno di essa ricorrente per trasformare la strada da pedonale a carrabile.

Orbene, proprio l’esecuzione di tale sentenza avrebbe determinato la reazione di D.L.A.; tuttavia, il Tribunale di Palermo aveva accertato la piena corrispondenza tra il contenuto della sentenza del 1997 e l’attività posta in essere in esecuzione della stessa a mezzo ufficiale giudiziario, escludendo lo spoglio. La Corte d’appello, sostiene quindi la ricorrente, avrebbe errato nel ritenere sussistente il suo dolo, giacchè dalle deposizioni richiamate nella sentenza impugnata non emergeva affatto la prova della sua mala fede.

Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1168 e 1170 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5.

La Corte d’appello ha fondato il proprio convincimento sulle dichiarazioni dei testi F.G. e D.L.A., che avrebbe invece dovuto ritenere del tutto inattendibili alla luce delle altre risultanze istruttorie, e segnatamente anche della c.t.u., dalle quali emergeva che mai la stradella in questione avrebbe avuto una larghezza di tre metri.

Con il terzo motivo, la ricorrente deduce ancora violazione e falsa applicazione degli artt. 1168 e 1170 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, con riferimento alla mancata prova, da parte del D.L., della tempestività dell’azione possessoria e della esistenza di un possesso tutelabile del passaggio sulla stradella con mezzi meccanici. Tale passaggio, se esercitato, lo è stato solo a decorrere dal 1993, allorquando, a seguito del richiamato accordo con D.L.S., vi era stato l’ampliamento della stradella; tuttavia, posto che in relazione a tale accordo sorse immediatamente controversia, il possesso sarebbe stato esercitato da D.L.A. con la consapevolezza della esistenza di tale controversia e quindi senza l’animus possidendi.

Con il quarto motivo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., rilevando che le domande di condanna alla collocazione della griglia di ferro al di sopra della canaletta e alla demolizione del cordolo di cemento erano state formulate dal D. L. solo nell’atto di appello, ed avrebbero quindi dovuto essere dichiarate inammissibili per novità.

Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., sostenendo l’ingiustizia della condanna alle spese del giudizio di appello, in quanto, per le ragioni esposte nei precedenti motivi, non era configurabile una sua soccombenza.

I primi tre motivi, che per evidenti ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati e vanno quindi rigettati.

La Corte d’appello ha preso le mosse dal principio, più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “perchè ricorra lo spoglio a mezzo di ufficiale giudiziario è necessario che il titolo in forza del quale si procede non abbia efficacia contro il possessore e che l’intervento dell’ufficiale giudiziario sia stato maliziosamente provocato da colui che ha richiesto l’esecuzione e che, in altri termini, vi sia il dolo dell’istante che conscio dell’arbitrarietà della sua richiesta abbia sollecitato l’intervento dell’ufficiale giudiziario” (Cass. n. 6038 del 1995; Cass. n. 1294 del 1997; Cass. n. 1040 del 1998).

Ha quindi rilevato che certamente la sentenza posta in esecuzione non era opponibile all’appellante, per non avere questi partecipato al giudizio all’esito del quale si era formato il titolo, e ha successivamente esaminato le risultanze istruttorie al fine di verificare se l’appellante avesse o no fornito la prova della mala fede di chi, ponendo in esecuzione nei suoi confronti una sentenza a lui non opponibile, aveva posto in essere una condotta integrante spoglio della servitù di passaggio.

All’esito di tale ricognizione, la Corte d’appello, andando di contrario avviso rispetto al giudice di primo grado, ha ritenuto che il D.L. avesse assolto l’onere probatorio su di lui gravante e quindi provata la consapevolezza, da parte della A., dell’esercizio del possesso della stradella da parte dell’appellante, anche con mezzi meccanici.

A fronte di tale accertamento, le censure della ricorrente lungi dall’evidenziare lacune o illogicità della sentenza impugnata, si risolvono nella sollecitazione di una diversa valutazione delle prove acquisite; sollecitano, cioè, una non consentita, in sede di legittimità, rivisitazione delle circostanze di fatto già adeguatamente esaminate e valutate dal giudice del merito.

E’ noto, del resto, che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (da ultimo, Cass. n. 6288 del 2011;

Cass. n. 27162 del 2009).

D’altra parte, deve ricordarsi, con specifico riferimento alle censure poste con il secondo motivo, che è altrettanto consolidato il principio per cui “esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. n. 17097 del 2010; Cass. n. 12362 del 2006).

Quanto alla questione della mancanza di prova della tempestività della proposizione dell’azione possessoria e della stessa esistenza di un possesso tutelabile, oggetto specifico del terzo motivo di ricorso, deve rilevarsi che la Corte d’appello, da un lato, ha dato atto delle risultanze della prova testimoniale, dalla quale emergeva che l’appellante aveva esercitato il possesso sino al novembre 1997, transitando sulla stradella sia a piedi che con mezzi meccanici, laddove il ricorso possessorio era stato depositato il 13 gennaio 1998; dall’altro, che del pari dalle risultanze istruttorie emergeva chiaramente che il D.L. aveva esercitato il possesso del passaggio sulla strada in contestazione.

I primi tre motivi di ricorso non sono quindi idonei a scalfire la congrua, articolata e logicamente motivata valutazione espressa dalla Corte d’appello su un fatto – la consapevolezza, da parte dello spogliatore a mezzo ufficiale giudiziario, dell’esercizio del possesso della servitù di passaggio da parte dello spogliato -, il cui accertamento è rimesso al giudice di merito.

Il quarto motivo è infondato, atteso che non sussiste la denunciata violazione dell’art. 345 cod. proc. civ.. La decisione relativa all’obbligo di ricollocare la griglia di ferro rimossa dalla ricorrente, invero, altro non è che una statuizione complementare e strumentale al ripristino della situazione possessoria compromessa dallo spoglio posto in essere dalla ricorrente. In relazione ad essa, quindi, non è configurabile la denunciata novità, dovendo la relativa richiesta di ricollocazione ritenersi implicita nella domanda di reintegrazione.

Il rigetto dei primi quattro motivi di ricorso comporta altresì il rigetto del quinto motivo concernente le spese del giudizio di appello. La Corte territoriale ha infatti fatto corretta applicazione del principio della soccombenza; e tale situazione di soccombenza deve ravvisarsi all’esito del presente giudizio di legittimità.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2011

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