Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16227 del 27/06/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 16227 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: NAPOLETANO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 11616-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAllINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
1534

contro

TRAVAGLINI PAOLO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA NAPOLEONE III 28, presso lo studio dell’avvocato
LEPPE DANIELE, rappresentato e difeso dall’avvocato

Data pubblicazione: 27/06/2013

BELLOTTI SERGIO, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n.

9991/2009 della CORTE D’APPELLO

di ROMA, depositata il 23/04/2010 r.g.n. 6803/07;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

NAPOLETANO;
udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;
udito l’Avvocato BONGARZONE ROSARIO per delega
BELLOTTI ROSARIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udienza del 07/05/2013 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE

RG 11616-11

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado,
accoglieva la domanda di Travaglini Paolo, proposta nei confronti della
avente ad oggetto

l’impugnazione del licenziamento intimatogli in data 7 luglio 2004.
La Corte del merito poneva a base del decisum il rilievo fondante secondo il
quale il licenziamento era stato intimato tardivamente rispetto all’epoca
della conoscenza da parte della società della sentenza, comunicatale in data
16 febbraio 2004,

di condanna per i fatti posti a base del licenziamento.

Avverso questa decisione la società Poste italiane ricorre in cassazione
sulla base di un unico motivo,illustrato da memoria.
Resiste con controricorso la parte intimata che deposita memoria
illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo la società, deducendo vizio di motivazione, sostiene che
i giudici di appello omettono di motivare sulle ragioni in base alle quali
ritengono che il trascorrere di quattro mesi tra il deposito della sentenza
penale e la contestazione disciplinare ha leso il diritto di difesa del
lavoratore.
Né, aggiunge la società ricorrente, la Corte del merito fornisce valide
argomentazioni atte a sostenere che la complessità della struttura
aziendale, la sua articolazione gerarchica ed il conseguente riparto delle
funzioni e dei poteri tra i diversi organi che la compongono non erano idonee
a giustificare il decorso di soli quattro mesi.

società Poste Italiane di cui era dipendente,

Preliminarmente va rilevata l’ammissibilità del motivo consentendo lo stesso
l’ identificazione del fatto controverso e decisivo per il giudizio in ordine
al quale si deduce il vizio di motivazione di cui all’art. 360 n.5 cpc.
– Nel merito la censura è infondata.
Invero la Corte del merito rileva che, nel caso in esame, non vi è alcuna

datore di lavoro a distanza di oltre quattro mesi dalla comunicazione della
sentenza di condanna con la quale sono stati accertati i fatti che hanno,
poi, costituito l’oggetto della contestazione degli addebiti posti a base
della risoluzione del rapporto. Peraltro, sottolinea la predetta Corte, una
prima valutazione della gravità dei fatti era stata già effettuata dalla
società datrice quando, successivamente all’arresto del dipendente ed alla
sua rimessione in libertà, aveva ritenuto opportuno di sospenderlo dal
servizio.
La Corte del merito, quindi, contrariamente a quanto assunto dalla società
ricorrente, non omette affatto di motivare sulla ritenuta non tempestività
ritenendo non sussistere alcuna valida ragione

evidentemente con

riferimento alle circostanze dedotte dalla stessa società

atta a

giustificare il ritardo della contestazione disciplinare, sul presupposto che
i fatti relativi erano già conosciuti nella loro gravità dal datore di lavoro
sin dall’epoca della sospensione cautelare dal servizio, sì che i quattro
mesi trascorsi dalla comunicazione della sentenza penale di condanna non
possono trovare alcuna giustificazione in ragione della complessità
dell’organizzazione aziendale.

ragione tale da giustificare l’esercizio del potere disciplinare da parte del

Né, e vale la pena di sottolinearlo, la società ricorrente denuncia
circostanze specifiche, oltre a quelle generiche concernenti la complessità
dell’organizzazione, non valutate dalla Corte del merito.
D’altro canto, non può non venire in considerazione che la valutazione
relativa alla tempestività della contestazione costituisce giudizio di

motivato (Cass. 1 0 luglio 2010 n. 15649 nonché Cass. 6 settembre 2006 n.
19159 e, fra le numerose altre, V. pure Cass. 29 marzo 2004 n. 6228, Cass. 11
maggio 2004 n. 8914, Cass. 23 aprile 2004 n. 7724, Cass. 19 agosto 2003 n.
12141).
Neppure può sottacersi che questa Corte ha già affermato che, in materia di
licenziamento disciplinare, il principio dell’immediatezza della
contestazione, che trova fondamento nell’art. 7, terzo e quarto coma, della
Legge 20 maggio 1970 n. 300, mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore
incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da consentirgli il
pronto allestimento del materiale difensivo per poter contrastare più
efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dall’altro, nel caso di ritardo
della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore – in
relazione al carattere facoltativo dell’esercizio del potere disciplinare,
nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformità ai
canoni della buona fede – sulla mancanza di connotazioni disciplinari del
fatto incriminabile, con la conseguenza che, ove la contestazione sia
tardiva, si realizza una preclusione all’esercizio del relativo potere e
l’invalidità della sanzione irrogata. D’altro canto non può ritenersi che
l’applicazione in senso relativo del principio di immediatezza possa svuotare

merito, non sindacabile in cassazione ove, come nella specie, adeguatamente

di efficacia il principio medesimo, dovendosi reputare che, tra l’interesse
del datore di lavoro a prolungare le indagini in assenza di una obbiettiva
ragione e il diritto del lavoratore ad una pronta ed effettiva difesa,
prevalga la posizione di quest’ultimo, tutelata

ex lege,

senza che abbia

valore giustificativo, a tale fine, la complessità dell’organizzazione

Peralztro la mera complessità dell’organizzazione aziendale,non può di per
sé giustificare il procrastinarsi della contestazione, in quanto a tal fine
sempre necessario che il datore di lavoro, pur avendo dimensioni
considerevoli, alleghi e provi le ragioni che, nel concreto,hanno
determinato la dilazione dei tempi di comunicazione rispetto al momento in
cui egli è venuto a conoscenza degli eventi nella loro materialità non
essendo a tal fine necessario che sia acquisita l’assoluta certezza della
colpevolezza essendo sufficiente, ai fini di cui trattasi, la ragionevole
ricorrenza della stessa ( Cfr. Cass. 13 febbraio 2013 n. 3532).

Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso va, in conclusione,
rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento
delle spese del giudizio di legittimità liquidate in

50,00 per esborsi ed

4.000,00 per compensi oltre accessori di legge
‘ Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 7 maggio 2013

4

aziendale (Cass. 8 giugno 2009 n.13167).

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