Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16227 del 09/07/2010
Cassazione civile sez. trib., 09/07/2010, (ud. 26/05/2010, dep. 09/07/2010), n.16227
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –
Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –
Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –
Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –
Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 208/2006 proposto da:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro
tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope
legis;
– ricorrenti –
contro
T.D.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 64/2004 della COMM. TRIB. REG. di PERUGIA,
depositata il 03/11/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
26/05/2010 dal Consigliere Dott. MARIAIDA PERSICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per l’accoglimento del
ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia Delle Entrate ricorrono in cassazione avverso la sentenza, di cui in epigrafe, resa dalla Commissione Tributaria Regionale competente con la quale era stato rigettato l’appello da esso Ufficio proposto avverso la sentenza resa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Terni, che accoglieva il ricorso proposto da T.D. contro l’avviso di accertamento con contestuale avviso di rettifica IVA relativo al periodo d’imposta 1997, emanato dall’Amministrazione in virtù di accertamento analitico D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1.
Il ricorso è fondato su motivo unico. L’intimato non controdeduce.
Diritto
MOTIVAZIONE
Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per non essere stato lo stesso parte del giudizio di merito.
Con il ricorso in esame l’Agenzia denuncia la violazione di legge per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, per avere il giudice d’appello erroneamente ritenuto: – non applicabile alla fattispecie l’accertamento analitico, pur in presenza di rilevanti differenze tra i ricavi dichiarati e quelli indirettamente ricostruibili;
– non ricavabile la percentuale di ricarico dai dati riferiti ad un altro periodo d’imposta, pur in assenza di prova a parte del contribuente di intervenute modifiche;
-non corretta la media ponderata di ricarico per il limitato campione di prodotti preso in considerazione pur in presenza di un campione adeguatamente rappresentativo e frutto di un corretto iter logico. La censura, a prescindere da profili di inammissibilità per mancanza di autosufficienza, è infondata, pur essendo corretta in alcune delle premesse.
E’ vero infatti che, pur in presenza di una contabilità formalmente regolare, l’inattendibilità dell’intero apparato contabile possa risultare in via presuntiva dal sussistere di rilevanti differenze tra i ricavi dichiarati e quelli indirettamente ricostruiti, ma è vero altresì che nella fattispecie in esame il giudice dell’appello, risolvendo una questione di merito non censurabile, in quanto tale, in sede di legittimità, ha ritenuto non suffragate da concreti elementi probatori le affermazioni dell’ufficio appellante, ufficio che peraltro nella presente sede non censura l’impugnata sentenza per avere disatteso o non sufficientemente motivato su tali elementi.
Con riferimento al secondo punto dell’unico motivo di ricorso si rileva che questa Corte ha già affermato (Cass. n. 6579 del 2008) che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’adozione del criterio induttivo di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2, impone all’Ufficio l’utilizzazione di dati e notizie inerenti al medesimo periodo d’imposta al quale l’accertamento si riferisce: non è pertanto censurabile l’affermazione del giudice tributario, il quale abbia annullato l’accertamento, escludendo la possibilità di desumere il reddito relativo ad un’annualità d’imposta da quello conseguito in anni precedenti, in quanto incombe all’Ufficio l’onere di fornire elementi in senso contrario, risultando insufficiente a tal fine la mera affermazione secondo cui l’accertamento è sorretto da “criteri ragionevoli”.
Nel caso di specie l’Ufficio ha utilizzati con riferimento al periodo d’imposta 1997 i dati relativi (rectius acquisiti con riferimento) al primo semestre del 2000, così mancando all’onere probatorio su di esso ufficio gravante.
Infine, con riferimento al terzo punto dell’unico motivo del ricorso, deve rilevarsi che è certamente corretta l’affermazione di principio per cui la media ponderata può essere calcolata prendendo a riferimento un campione anche limitato purchè adeguatamente rappresentativo e frutto di un corretto iter logico. Tuttavia nel caso di specie nessuna di queste affermazioni può costituire il fondamento di una censura dell’impugnata sentenza: quest’ultima infatti afferma che “l’indagine ha interessato solo una piccola parte rispetto al totale dei prodotti commercializzati” riferendosi quindi, con una valutazione di merito non censurabile in questa sede, non solo alla quantità dei prodotti ma anche alla rappresentatività degli stessi rispetto a quelli venduti.
In virtù di quanto fin qui esposto il ricorso deve essere rigettato.
Nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alle spese del giudizio di legittimità atteso che l’intimato non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze; rigetta il ricorso della Agenzia.
Così deciso in Roma, il 26 maggio 2010.
Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2010