Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16223 del 09/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 09/07/2010, (ud. 26/05/2010, dep. 09/07/2010), n.16223

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – rel. Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Universo s.n.c. dei coniugi Pasquinelli, in persona del legale

rappresentante Signora P.A., elettivamente domiciliata

in Roma, via del Babuino, n. 51, presso l’Avvocato RIDOLA Mario G.,

che la rappresenta e difende con l’Avvocato Sergio Menchini per

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore p.t., domiciliata in

Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello

Stato che la rappresenta e difende secondo la legge;

– controricorrente –

(con intervento del Ministero dell’economia e delle finanze);

avverso la sentenza n. 70/6/04 della Commissione tributaria regionale

della Toscana, depositata il 13.4.2005, notificata il 26.10.2005;

E sul ricorso riunito n. 805/06 R.G. proposto da:

P.R. e P.A., elettivamente domiciliati in

Roma, via del Babuino, n. 51, presso l’Avvocato RIDOLA Mario G., che

li rappresenta e difende con l’Avvocato Sergio Menchini per procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore p.t.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 69/6/04 della Commissione tributaria regionale

della Toscana, depositata il 13.4.2005, notificata il 26.10.2005;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 26 maggio 2010 dal relatore Cons. MAGNO Giuseppe Vito

Antonio;

Udito, per i ricorrenti, l’Avvocato Mario Giuseppe Ridola e, per

l’agenzia controricorrente, l’Avvocato dello Stato Daniela Giacobbe;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto, previa

riunione, di entrambi i ricorsi.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- Dati del processo.

1.1.- La ditta Universo s.n.c. dei coniugi Pasquinelli ricorre, con quattro motivi, illustrati da memoria, per la cassazione della sentenza n. 70/6/04 indicata in epigrafe che, riformando integralmente quella di primo grado (sentenza n. 31/1/2002 della commissione tributaria provinciale di Massa Carrara), impugnata dal locale ufficio dell’agenzia delle entrate, rigetta il ricorso della società contribuente avverso l’avviso di accertamento notificato in data 8.8.2001, con cui il suddetto ufficio, a seguito di verifica contabile eseguita presso l’azienda (stabilimento balneare) gestita dalla medesima, aveva chiesto il pagamento, per imposta evasa e sanzioni, della complessiva somma di L. 98.946.000, a titolo di ILOR per l’anno 1995.

1.2.-. L’agenzia intimata resiste mediante controricorso.

1.3.- I soci della medesima ditta Universo s.n.c, signori P.R. e P.A., ricorrono, con cinque motivi, illustrati da memoria, per la cassazione della sentenza n. 69/6/04, pure indicata in epigrafe, che, con motivazione identica (riportata per esteso) a quella adottata nel giudizio avente come parte la società, riforma la pronunzia di primo grado (sentenza n. 30/1/2002 della commissione tributaria provinciale di Massa Carrara) e, per l’effetto, rigetta il ricorso dei contribuenti avverso l’atto impositivo scaturente dallo stesso accertamento relativo al 1995 e recante la richiesta di pagamento, per imposte evase (IRPEF, SSN) e sanzioni, della complessiva somma di L. 271.550.000.

1.4.- L’agenzia delle entrate non resiste a questo ricorso.

2.- Questioni pregiudiziali.

2.1.- Al ricorso proposto dalla ditta Universo s.n.c., iscritto al n. 793/06 R.G., è da riunire – come disposto con ordinanza in data odierna, pronunziata nel processo sul ricorso iscritto al n. 805/06 R.G. di questa suprema corte, e per le ragioni in essa esposte – quello proposto dai soci, signori P.R. e P.A..

2.2.- Il controricorso, depositato nella causa n. 793/06 R.G. dal ministero dell’economia e delle finanze ente correttamente non intimato dalla società ricorrente, perchè non aveva preso parte al giudizio d’appello introdotto dalla sola agenzia delle entrate con atto depositato il 27.5.2003, ossia in epoca posteriore a quella (1.1.200) in cui era succeduta al ministero nei rapporti controversi – deve essere dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione. Nulla devesi disporre riguardo alle relative spese, non avendo la ricorrente preso conclusioni specifiche nei confronti dello stesso ministero.

3.- Motivi dei ricorsi.

3.1.- La società contribuente, nel ricorso n 793/06 R.G., censura la sentenza impugnata per i seguenti quattro motivi:

3.1.1.- violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7; D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, art. 1; D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, commi 1 e 2; omessa motivazione, con riferimento alle seguenti questioni:

a) – mancata allegazione all’avviso di accertamento della richiesta rivolta all’autorità giudiziaria penale, e dell’autorizzazione da questa concessa per l’utilizzazione nel processo tributario di documenti (in particolare, la perizia contabile) acquisiti nel corso del procedimento penale;

b) – erronea utilizzazione dei dati ricavabili da tale perizia per giustificare il ricorso al metodo induttivo di accertamento fiscale;

c) – mancata considerazione delle eccezioni tendenti a dimostrare l’insufficienza degl’indizi, dai quali la commissione regionale desume che i conti correnti ispezionati, non intestati alla società, siano ad essa riferibili, e che i versamenti corrispondano sempre a ricavi non contabilizzati;

3.1.2.- violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 15 e art. 39, commi 1 e 2; artt. 2214, 2219, 2697, 2727, 2729 c.c.; art. 115 c.p.c.; omessa motivazione, per avere la commissione regionale invertito indebitamente l’onere della prova, ritenendo che spettasse alla contribuente di giustificare tutte le operazioni riscontrate sui conti correnti bancari; senza peraltro motivare in ordine alla denunziata insussistenza di validi indizi presuntivi a sostegno della pretesa impositiva, apparentemente sorretta dalla scoperta di una contabilità parallela occulta (comunque non idonea a giustificare l’utilizzazione indiscriminata dei dati bancari), ma smentita dall’irragionevolezza dei risultati economici presunti, quindi inidonea a fondare l’inversione dell’onere della prova e la conseguente affermazione che tale onere non era stato soddisfatto;

3.1.3.- violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, commi 4 e 5,; omessa motivazione, con riferimento alla operata ricostruzione del reddito tassabile in base alla mera sommatoria dei numeri ricavati dall’esame dei conti correnti bancari, senza tener conto dei costi di produzione e senza comunque utilizzare altri dati di raffronto, desumibili dai redditi di aziende analoghe;

3.1.4.- insufficiente e contraddittoria motivazione, in ordine ai seguenti punti:

a) – evidente duplicazione dei ricavi emergente dall’accertamento;

b) – inattendibilità della perizia, in quanto non tiene conto dei costi; nè i versamenti in conto corrente sarebbero stati depurati dall’IVA;

c) – arbitraria quantificazione dell’imponibile, risultante dall’irrazionale parificazione dei versamenti a ricavi e guadagni, in contrasto col principio di capacità contributiva;

d) – contraddizione tra le diverse logiche utilizzate dall’agenzia in sede di accertamento, rispettivamente, ai fini dell’IVA e delle imposte sui redditi.

3.2.- I soci contribuenti, nel ricorso n 805/06 R.G., censurano la sentenza impugnata, di contenuto identico alla precedente, oltre che per gli stessi motivi sopra riferiti (e che quindi non sono qui ripetuti), per un primo motivo, con cui lamentano:

3.2.1.- violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. ed omessa motivazione poichè, nel trascrivere pedissequamente la motivazione della sentenza pronunziata lo stesso giorno nel separato giudizio svoltosi nei confronti della società, il giudicante a quo avrebbe indebitamente utilizzato la sua “scienza privata”, mancando in questo giudizio notizia di tale sentenza.

4.- Decisione.

4.1.- Entrambi i ricorsi da riunire sono infondati e in parte inammissibili, per le ragioni di seguito espresse; debbono pertanto essere rigettati. Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, fanno carico, secondo il principio della soccombenza, alla ditta Universo s.n.c, al cui ricorso ha resistito l’agenzia delle entrate.

5.- Motivi della decisione.

5.1. – Il primo motivo del ricorso dei soci (par. 3.2.1) è infondato.

5.1.1.- La causa non può dirsi decisa in base alla “scienza privata” del giudice, sol perchè questo ha utilizzato, trascrivendola letteralmente, la stessa motivazione della sentenza in pari data che conclude il giudizio d’appello in cui è parte la società, vertente sullo stesso accertamento (con riferimento all’ILOR).

Scienza privata del giudice, da lui non utilizzabile legittimamente siccome neppure rientrante nella categoria del notorio, è quella che concerne gli elementi valutativi del giudizio, anche se acquisiti e conosciuti nella pregressa trattazione di analoghe controversie (Cass. nn. 4862/2005, 3980/2004, 11946/2002). Nel caso di specie, invece, la commissione regionale non ha utilizzato, per risolvere le questioni proprie della controversia relativa all’IRPEF, nozioni di fatto acquisite nel corso del processo relativo all’ILOR e non presenti anche nell’altro processo; bensì, trattandosi delle stesse questioni – sostanzialmente riducibili alla contestata legittimità e congruità dell’unico accertamento induttivo -, le ha risolte necessariamente in modo identico, riproducendo la stessa motivazione testuale perchè evidentemente è inutile esercitarsi ad esprimere gli stessi concetti con frasi e parole diverse.

5.1.2.- Siffatta motivazione ne caso, qui ricorrente, di pronunzia contestuale di più decisioni (sull’accertamento del reddito di una società di persone e su quello dei singoli soci) in rapporto di consequenzialità necessaria, essendo legalmente presunto il reddito dei soci in rapporto proporzionale alla quota di partecipazione agli utili della società (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5) – potrebbe risultare teoricamente nulla sotto altro aspetto (non denunziato dai ricorrenti, ma rilevabile d’ufficio), in quanto dissimula un vizio di procedura, in presenza di un’ipotesi di litisconsorzio necessario e della conseguente violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 la cui osservanza avrebbe richiesto la riunione dei processi e la pronunzia di una sola decisione; cosicchè la sentenza motivata mediante riproduzione letterale degli argomenti posti a base di altra decisione, concernente la società, non censurabile sotto i profili della motivazione omessa o apparente o dell’indebita utilizzazione di “scienza privata” del giudice, denota tuttavia l’intento di porre un artificioso rimedio alla precedente violazione di legge (S.U. nn. 14814 e 14815/2008).

5.1.3.- Tanto premesso, si deve però osservare che, nella presente controversia relativa ad un accertamento sostanzialmente unico – del reddito della società e di quello dei soci -, lo svolgimento simultaneo dei due distinti processi davanti agli stessi giudici di merito, e la loro conclusione con sentenze identicamente motivate, ha di fatto evitato qualunque concreto nocumento (neppure denunziato) ai diritti della difesa, ed ha escluso il rischio di giudicati contrastanti. Sicchè può essere utilmente riaffermato il principio del simultaneus processus disponendo, come è stato fatto, la riunione delle cause in questa sede, in omaggio ai criteri fondamentali di economia processuale e di ragionevole durata del processo (Cass. nn. 3830/2010, 2907/2010).

5.2.- Il primo motivo (par. 3.1.1) del ricorso della società, corrispondente al secondo motivo del ricorso dei soci, è infondato e, in parte, inammissibile.

5.2.1.- Sotto un primo profilo (par. 3.1.1, lett. a), i ricorrenti sostengono di avere sempre eccepito un preteso difetto di motivazione degli avvisi di accertamento, cui non sarebbero stati allegati alcuni atti (richiesta di documenti del processo penale ed autorizzazione all’uso di essi nel processo tributario).

L’implicita reiezione di tale eccezione da parte della commissione regionale, che l’ha superata decidendo nel merito, non è passibile di censura per violazione di legge ed omessa motivazione perchè è conforme al diritto, non avendo l’autorizzazione del giudice penale alcuna rilevanza nel processo tributario, dal momento che essa è prevista soltanto a tutela delle indagini penali (e non degli atti utilizzati nel pubblico dibattimento); quindi non se ne richiede l’allegazione all’atto impositivo (cfr. Cass. nn. 7208/2003, 15914/2001).

5.2.2. – I profili di censura esposti alle lett. b) e c) del par. 3.1.1 sono inammissibili. Premesso che, secondo la sentenza impugnata, dalle indagini esperite era emersa l’esistenza di una contabilità occulta (“parallela”), in cui era annotata la riscossione di assegni bancari emessi da “clienti dell’esercizio per i servizi offerti nel corso del 1995”, e che tali assegni erano stati versati su nove conti correnti “riconducibili alla s.n.c”; che i ricorrenti non avevano contestato tale avvenuto versamento nè avevano fornito spiegazioni plausibili in ordine alla provenienza delle somme; che, inoltre, i conti correnti erano stati “utilizzati per il pagamento di fatture inerenti alla gestione dell’impresa”; tanto premesso, risultano inammissibili le censure tendenti a dimostrare l’insufficienza dei suddetti indizi – anche con riferimento alla riconducibilità dei conti correnti alla gestione sociale -, poichè la valutazione dei mezzi di prova e della congruità degl’indizi è rimessa in via esclusiva al giudice di merito che, nella specie, ha fornito motivazione adeguata del suo convincimento (Cass. n. 1715/2007); senza peraltro rifarsi direttamente alle conclusioni della perizia disposta in sede penale, della cui utilizzazione pertanto è superfluo discutere.

5.3.- Il secondo motivo (par. 3.1.2) del ricorso della società, terzo del ricorso dei soci, è infondato.

5.3.1.- In presenza d’indizi (contabilità occulta) ritenuti dal giudice di merito, con idonea motivazione, sufficienti a fondare la presunzione di maggior reddito; e di risultanze delle indagini bancarie, da cui si ricava una presunzione legale ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 2 sia i prelevamenti sia i versamenti operati sui conti correnti vanno imputati a ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività d’impresa, se questo non dimostra di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito (Cass. nn. 7766/2008, 25365/2007, 9103/2001).

5.3.2.- Pertanto, essendo così giustificata ex lege l’inversione dell’onere della prova, correttamente la commissione regionale rileva, e pone a fondamento della decisione, il fatto che “Nessuna spiegazione plausibile sia stata fornita dalla società appellata in ordine alla provenienza di dette somme”.

5.4.- Il terzo motivo (par. 3.1.3), quarto per i soci, è in gran parte assorbito dalle considerazioni svolte ai par. 5.3; per il resto è inammissibile.

5.4.1.- I ricorrenti, sui quali grava l’onere di provare di aver tenuto conto, nella determinazione del reddito imponibile, degli elementi contabili poi emersi dalle indagini bancarie, ovvero dell’irrilevanza di questi allo stesso fine (art. 32 cit.), non hanno fornito, secondo il giudicante a quo, alcuna “spiegazione plausibile” in merito.

A fronte di tale rilievo, essi eccepiscono che non è stata considerata l’incidenza dei costi e sostengono di avere inutilmente dedotto che svolgono anche altre attività, diverse dalla gestione dello stabilimento balneare, e che questo ha caratteristiche tali da rendere inverosimile ed iperbolico il reddito accertato, se paragonato a quello di altre simili strutture.

5.4.2.- Si osserva che, oltre a dedurre di aver formulato eccezioni, asseritamente non prese in esame dal giudicante a quo, tendenti ad inficiare l’attendibilità degli indizi su cui sono fondati l’accertamento e la sentenza impugnata, i contribuenti non riproducono nel ricorso, in omaggio al principio di autosufficienza, le prove contrarie eventualmente dedotte, al fine di dimostrare che tutti gli elementi contabili ricavati dall’esame dei conti correnti erano stati conteggiati nella determinazione del reddito imponibile o che non avevano rilevanza a tal fine (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 2); e che, in presenza di contabilità “in nero”, di per sè giustificativa de ricorso al metodo induttivo di accertamento per riflessa inattendibilità delle scritture aziendali ufficiali (Cass. nn. 25610/2006, 19598/2003, 11459/2001), i costi risultanti da queste ultime erano stati effettivamente sostenuti, ovvero che erano stati sostenuti quelli risultanti, in diversa misura, dalle prove offerte. Infatti, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, commi 1 e 4, le spese e gli oneri afferenti specificamente i ricavi e altri proventi concorrono comunque a formare il reddito dell’esercizio (e sono quindi deducibili, anche se non risultano dal conto dei profitti e delle perdite), “se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi” che il contribuente stesso è tenuto a giustificare (Cass. n. 16198/ 2001); di tal che, in mancanza di simile prova – i cui estremi, si ripete, i contribuenti non riproducono esattamente nel ricorso, al fine di porre il giudice di legittimità in grado di apprezzare l’eventuale vizio della sentenza impugnata per non averla considerata adeguatamente -, si deve ritenere che l’ufficio, nell’accertare sinteticamente il reddito, abbia tenuto conto di ragionevoli costi della produzione (Cass. n. 23848/2009).

5.5.- L’ultimo motivo di censura (par. 3.1.4), dichiaratamente riassuntivo dei precedenti, in quanto riproduce “conclusivamente” le doglianze essenziali già formulate dai ricorrenti, è in gran parte assorbito dalle considerazioni sopra svolte. Gli accenni alla eventuale duplicazione di ricavi (desunti sia dalla contabilità sia dai movimenti bancari), alla mancata depurazione dall’IVA dei versamenti in conto corrente ed alla pretesa discrepanza fra i metodi di accertamento dell’IVA e delle imposte sui redditi, sono estremamente generici e, come tali, inammissibili.

6.- Dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi 793/06 R.G. e 805/06 R.G. e li rigetta. Condanna la ricorrente Universo s.n.c. al pagamento, nei confronti dell’agenzia delle entrate, delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 4.200,00 (quattromiladuecento/00), di cui Euro 4.000,00 (quattromila/00) per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile – tributaria, il 26 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2010

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