Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16222 del 10/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 10/06/2021, (ud. 18/11/2020, dep. 10/06/2021), n.16222

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI M. Marcello – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – rel. Est. Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8304/2014 proposto da:

B.P.A. (CF (OMISSIS)) rapp.to e difeso per procura in

calce al ricorso dall’avv. Carmine Farace, con il quale

elettivamente domicilia in Roma alla via degli Scipioni n. 110

presso lo studio dell’avv. Marco Machetta;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (CF (OMISSIS)), in persona del Direttore p.t.,

rapp.ta e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

elettivamente domiciliata in Roma alla v. dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 125/36/13 depositata in data 1 ottobre 2013

della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 18 novembre 2020 dal relatore Dott. Aldo Ceniccola.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 125/36/13 la Commissione tributaria regionale della Lombardia respingeva l’appello proposto da B.P.A. avverso la sentenza con la quale la Commissione tributaria provinciale di Milano ne aveva respinto il ricorso avverso gli avvisi con i quali l’Ufficio aveva determinato sinteticamente il reddito imponibile relativo agli anni 2004 e 2005.

La CTR, premesso che le definizioni per adesione relative agli anni successivi non potevano esplicare alcuna incidenza sulla attuale controversia, per l’anno 2004 era stato accertato un reddito pari ad Euro 170.654,36 a fronte di un reddito dichiarato in Euro 8.569 e per l’anno 2005 era stato accertato un reddito pari ad Euro 164.054,36 a fronte di un reddito dichiarato pari a zero.

Negli avvisi di accertamento si precisava che la determinazione sintetica del reddito si fondava sulla documentazione, fornita dal contribuente in risposta al questionario, in base alla quale era stata quantificata per ciascuna annualità una quota del reddito, pari ad un quinto del valore complessivo degli investimenti patrimoniali nel quinquennio preso in considerazione, al netto dei disinvestimenti.

Osservava la CTR che la metodologia applicata dall’Ufficio appariva del tutto corretta, in quanto fondata sulla valutazione degli indici e delle capacità di spesa, di beni e servizi, individuati nell’apposita tabella.

Esatti apparivano i calcoli relativi alla quantificazione degli incrementi patrimoniali, in quanto gli avvisi di accertamento avevano correttamente preso in considerazione le risultanze documentali (i rogiti notarili) che evidenziavano inequivocabilmente investimenti per un totale di Euro 1.449.000 (operazioni immobiliari e altro), nonchè elementi certi, sintomatici di capacità contributiva, quali il possesso e la disponibilità di abitazioni e vetture.

Inoltre, in presenza dei modesti redditi dichiarati, le disponibilità bancarie dedotte dal contribuente erano indicative dell’esistenza di redditi occulti, non assumendo rilievo, in senso contrario, le circostanze che il conto fosse cointestato alla moglie, soggetto risultante economicamente a suo carico.

Conclusivamente, il contribuente, secondo la CTR, non aveva fornito alcuna prova contraria in ordine agli elementi posti a base degli accertamenti sintetici correttamente eseguiti, con la conseguente idoneità dei medesimi a rivestire, nel caso concreto, quel valore dimostrativo della maggior capacità contributiva che l’Ufficio aveva inteso ad essi assegnare.

Il ricorso per cassazione proposto dal contribuente è fondato su un solo motivo. Resiste l’Ufficio mediante controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. L’unico motivo di ricorso lamenta, ai sensi all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e n. 3, la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, e la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, commi 4 e 5, sottolineando alcune circostanze che, idonee ad inficiare la legittimità dei due avvisi di accertamento, sarebbero state trascurate dalla CTR, pur se enunciate nell’atto di appello.

1.1. Quanto agli incrementi patrimoniali presi in considerazione dagli avvisi di accertamento, l’acquisto dell’immobile sito in Parabiago, v. Gioberti 12, descritto nell’avviso di accertamento per due volte, quale oggetto prima di un contratto preliminare e poi del definitivo, venne imputato al 100% per gli anni 2004 e 2005 tra gli incrementi patrimoniali del quinquennio e poi imputato nell’omologo accertamento sintetico del 2005 al coniuge C.I. al 50%, sicchè, in rapporto alla coppia, il medesimo esborso sarebbe stato considerato dall’Ufficio nella misura complessiva del 150%.

1.2. Quanto all’acconto versato nel 2004, per Euro 33 mila, relativamente all’acquisto di un capannone, l’operazione, indicata erroneamente come effettuata a titolo personale nella promessa di vendita, era in realtà imputabile alla B. s.r.l., che corrispose l’assegno ed era titolare del conto bancario sul quale l’addebito venne effettuato.

1.3. Riguardo poi ai beni disponibili, considerati elementi indice di capacità contributiva per gli anni in questione, la CTR avrebbe omesso di considerare che alcuni beni vennero acquistati successivamente al periodo in contestazione (quanto all’abitazione in (OMISSIS); all’auto Pajero, in realtà intestata alla s.r.l.; all’auto Fiat Doblò, intestata alla ditta individuale P.M.); altri beni, invece, sarebbero stati imputati al 100% in capo al contribuente e per il 50 in capo al coniuge, con conseguente valorizzazione del medesimo bene in ragione del 150% (quanto all’abitazione in (OMISSIS) ed abitazione in (OMISSIS)).

1.4. Orbene il ricorrente, partendo da tali premesse, ha evidenziato che proprio sulla base delle circostanze sopra esposte, l’Ufficio aveva acconsentito alla definizione in sede di adesione delle annualità 2006 e 2007, sicchè era obbligo dei giudici di merito tener conto di tali elementi decisivi per una statuizione che rideterminasse, al pari della definizione con adesione per gli altri anni, la posizione reddituale riguardante gli anni in contestazione. In tal modo sia l’Ufficio che i giudici di merito avevano finito per ignorare dati probatori, per altro prospettati anche in sede di conciliazione, identici a quelli che erano stati correttamente considerati in sede di definizione con adesione per gli anni 2006 e 2007.

2. Il motivo è inammissibile.

2.1. Per ciò che concerne la doglianza riguardante la violazione di legge, va rilevato che nel ricorso in oggetto, la deduzione delle disposizioni violate non si concretizza, in realtà, nella prospettazione di una effettiva violazione e falsa applicazione delle norme. La violazione di legge, piuttosto, è prospettata quale conseguenza della omessa considerazione, da parte della CTR, del fatto che lo stesso Ufficio aveva acconsentito, con riferimento ad annualità successive, alla definizione in sede di adesione ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992 per i periodi di imposta 2006 e 2007 (nonchè per il 2005 e 2006 per il coniuge C.I.); lo stesso ricorrente (come ribadito anche esplicitamente a pag. 4 della memoria) ha, del resto, più volte rimarcato che proprio sulla base delle criticità riguardanti il merito dell’accertamento, l’Ufficio aveva consentito alla definizione mediante adesione, sicchè l’omesso esame di tale circostanza si sarebbe tradotto in una decisione, quella impugnata, che avrebbe finito per convalidare un accertamento illegittimo, in quanto incapace di determinare realisticamente la posizione reddituale per gli anni in contestazione.

2.2. Nella diversa e prioritaria prospettiva dell’art. 360 c.p.c., n. 5, va poi evidenziato che il giudice di appello ha preso esplicitamente in considerazione la questione (quella riguardante la rilevanza dell’accertamento con adesione relativo alle diverse annualità), dando espressamente atto che le definizioni per adesione relative agli anni successivi non potevano esplicare alcuna incidenza sulla presente controversia, perchè effettuate dall’Amministrazione nell’ambito del proprio potere discrezionale, senza alcun obbligo di pervenire alla conciliazione giudiziale relativamente ad altre annualità. Su tale base, il giudice di appello ha dunque condiviso i risultati dell’accertamento, quanto all’esattezza dei calcoli relativi agli incrementi patrimoniali, all’inidoneità dei redditi dichiarati a giustificare gli investimenti e le spese di gestione, alla rilevanza del finanziamento bancario correlato all’acquisto di un immobile e dei finanziamenti concessi all’impresa individuale.

2.3. La censura si sostanzia, dunque, in una critica alla valutazione già operata dal giudice di appello, riproponendo la censura sotto una veste analoga a quanto già sostenuto in appello (come si desume dalla lettura dell’atto di gravame ritrascritto a pag. 11 e seg. del ricorso per cassazione).

2.4. La sentenza impugnata, ratione temporis, ricade tuttavia nell’ambito di applicazione dell’art. 348-ter c.p.c., commi 4 e 5: si evince infatti dalla intestazione della sentenza impugnata che l’appello avverso la sentenza della CTP di Milano n. 158/22/12 è stato depositato in data (OMISSIS) e la predetta normativa è applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2 (conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012), ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno (OMISSIS).

2.5. In base a questa disposizione, quando la sentenza confermativa della decisione di primo grado è fondata sulle stesse ragioni, inerenti le questioni di fatto poste a base della sentenza confermata, non può essere proposto ricorso per cassazione invocando la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; ne consegue che, nell’ipotesi di c.d. doppia conforme prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, onde evitare di incorrere nell’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro differenti (Cass. 06/08/2019, n. 20094; Cass. 22.12.2016, n. 26774; Cass. 27.09.2016, n. 19001).

2.6. In altri termini, grava sul ricorrente l’onere di indicare le ragioni di fatto poste a fondamento della decisione di primo grado, quelle poste a fondamento della sentenza di rigetto del gravame e dimostrarne la diversità, onde, per superare l’ostacolo, parte ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che il provvedimento impugnato non si fonda sulle stesse ragioni di fatto poste a base della decisione appellata. Di converso, nel caso in esame, il ricorrente non ha affatto dedotto la diversità della questio facti a fondamento delle decisioni di merito che si soffermano entrambe (come emerge dalla lettura della sentenza della CTP trascritta dal ricorrente) sulle condivise circostanze fattuali che giustificavano la conferma della metodologia applicata dall’Ufficio ai fini dell’accertamento sintetico, e sull’assenza di prova contraria da parte del contribuente.

3. Le considerazioni che precedono impongono, dunque, la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Le spese della fase di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Pone le spese di legittimità a carico del ricorrente, liquidandole in Euro 5.600 per compenso, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2021

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