Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16221 del 28/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 28/06/2017, (ud. 09/03/2017, dep.28/06/2017),  n. 16221

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7282-2013 proposto da:

O.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A.

GALLONIO 18, presso lo studio dell’avvocato VITO MASSARI,

rappresentato e difeso dall’avvocato NADIA MARIA CAVALLO;

– ricorrente –

contro

R.F.G. C. F.(OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA BAFILE N2, presso lo studio dell’avvocato LUDOVICO

PIZZORNO, rappresentata e difesa dall’avvocato VALENTINO GIANCARLO

VALENTE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 495/2012 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZ.

DIST. DI TARANTO, depositata il 24/08/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/03/2017 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO LUCIO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Massari Vito difensore del ricorrente che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

R.F.G., con atto di citazione del 18 giugno 1999, esponeva che, quale proprietaria, aveva promesso in vendita, ad O.E., un immobile sito in (OMISSIS), per il prezzo di Lire 101.192.000, di cui Lire 26.500.000 al momento della sottoscrizione, Lire 48.780.000, mediante 60 effetti cambiari e la restante parte, quale capitale residuo di mutuo. Le parti stabilivano una penale di Lire 10.000.000, a carico della parte inadempiente, nonchè la risoluzione del contratto per il mancato pagamento di sei cambiali o di una sola ratea del mutuo. L’attrice specificava, altresì, di aver sostenuto delle spese per la manutenzione dell’immobile, di aver pagato l’ICI e l’IRPEF, per complessive Lire 8.658.000; l’ O., promissario acquirente, si era reso inadempiente nel pagamento delle rate di mutuo per complessive Lire 26.000.000. Pertanto, conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Taranto, O.E., chiedendo che venisse dichiarata la risoluzione del contratto preliminare per grave inadempimento del convenuto con condanna al rilascio dell’immobile e al pagamento di una somma di denaro, per l’occupazione di esso.

Nella contumacia del convenuto, il Tribunale disponeva CTU e, successivamente, disponeva la notificazione all’ O. del verbale di udienza in cui l’attrice aveva prodotto varia documentazione. A seguito di tale notifica, il convenuto si costituiva all’udienza del 10 giugno 2004, fissata per la precisazione delle conclusioni, allegando l’avvenuta corresponsione del prezzo dell’immobile tramite pagamenti ed evidenziava che l’attrice non aveva versato alla banca tre ratei di muto, nonostante fossero stati dallo stesso versati. Chiedeva il rigetto della domanda attrice e pronuncia di sentenza costitutiva, ex art. 2932 cod. civ..

Il Tribunale rilevava la tardività dell’eccezione di pagamento sollevata dal convenuto e della relativa produzione documentale asserendo l’avvenuta risoluzione del contratto in forza di clausola risolutiva espressa. Pertanto, dichiarava la risoluzione del contratto ed ordinava la restituzione dell’immobile.

Avverso questa sentenza, proponeva appello, O.E., chiedendo il rigetto della domanda attrice.

Si costituiva R.F.G., chiedendo il rigetto del gravame e, proponendo, a sua volta, appello incidentale condizionale.

La Corte di Appello di Lecce, sez. staccata di Taranto, con sentenza n. 495 del 2012 rigettava l’appello e condannava O. al pagamento delle spese di giudizio. A sostegno di questa decisione la Corte distrettuale osserva: a) che l’eventuale vizio di mancata assegnazione del termine di cui all’art. 180 cod. proc. civ. era sanato perchè l’intervallo di tempo tra l’udienza di comparizione e la prima udienza di trattazione risultava superiore al termine ex lege previsto dall’art. 180 cod. proc. civ.b) l’eccezione relativa all’avvenuto pagamento del corrispettivo della promessa di vendita era stata sollevata tardivamente e non trattavasi di eccezione rilevabile di ufficio. Pertanto, la documentazione depositata da O. non poteva essere visionata. c) dall’atto di citazione era chiaro che la R. aveva eccepito la risoluzione per clausola risolutiva espressa e l’inadempimento posto a base di quella clausola, risultava provato. Comunque, specificava la Corte distrettuale nel caso in esame l’inadempimento di O. presentava il carattere della gravità stante il mancato pagamento di venti rate del mutuo.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da O.E. con ricorso affidato a cinque motivi, illustrati con memoria. R.F.G. ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.= In via preliminare va rigettata l’eccezione avanzata da parte controricorrente secondo cui il ricorso proposto da O. sarebbe inammissibile ed irricevibile per assoluta mancanza di determinatezza in ordine alle conclusioni ivi rassegnate, in violazione dell’art. 156 c.p.c., comma 2. Infatti, concludere come avrebbe fatto il ricorrente, con la generica richiesta di annullare, riformare revocare e cassare con rinvio, violerebbe il principio della certezza delle posizioni giuridiche e quelle di difesa.

L’eccezione non può essere accolta perchè, nonostante la formula generica che il ricorrente avrebbe utilizzato nelle richieste conclusive esposte nel ricorso, tuttavia, essenzialmente, e/o comunque, ha chiesto, anche, la cassazione, l’unico provvedimento che la Suprema Corte può pronunciare. Le richieste conclusive, solo nelle fasi del giudizio del merito (primo grado ed appello) svolgono la funzione di determinare in maniera definitiva le richieste avanzate dalle parti; nel giudizio di cassazione, invece, qualunque sia la richiesta del ricorrente e/o del controricorrente, comunque, è pur sempre una richiesta di cassazione e/o di annullamento, della sentenza impugnata (con o senza rinvio).

2.= Con il primo motivo di ricorso O.E. lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1456 e 1362 e ss. cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113 e 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione dell’art. 111 Cost., nonchè insufficiente e illogica motivazione della sentenza impugnata su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Il ricorrente sostiene che la Corte distrettuale avrebbe forzato l’interpretazione dell’atto di citazione, laddove, omettendo, volutamente, l’intera espressione usata dalla R. nelle conclusioni dell’atto di citazione, ne avrebbe estrapolato solo un passo dove sarebbe scritto: dichiarare risolto il preliminare di vendita, ritenendo che l’attrice instava per la declaratoria di già avvenuta risoluzione del contratto. Piuttosto, secondo il ricorrente la domanda della R. era quella di dichiarare il grave inadempimento dell’ O. e in forza di ciò dichiarare la risoluzione del contratto.

1.1. =Il motivo è infondato.

Si deve fare qui applicazione del principio per cui il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere; così come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante. Egli incorre, anzi, nel vizio di omesso esame, ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca del suo effettivo contenuto sostanziale (Cass. n. 23794 del 14/11/2011; Cass. n. 3012 del 10/02/2010).

Orbene, correttamente, la Corte distrettuale ha evidenziato che interpretandosi il complessivo contenuto della citazione, nella quale è cenno esplicito dell’esistenza di clausola risolutiva espressa (e tra l’altro) del mancato pagamento di ben venti rate del muto e, coordinandosi lo stesso con le formali conclusioni in cui veniva chiesto in primo luogo di dichiarare risolto il preliminare di vendita, si instava, espressamente, per la declaratoria di già avvenuta risoluzione del contratto.

2.= Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1456 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, omessa motivazione in ordine all’imputabilità dell’inadempimento in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 violazione, erronea e falsa applicazione dell’art. 1218 cod. civ. e degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, erronea insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. omessa pronuncia. Il ricorrente sostiene che la risoluzione per clausola risolutiva non poteva pronunciarsi, posto che la R. con il proprio comportamento concludente aveva accettato nelle more del processo di primo grado un adempimento tardivo da parte dell’ O., così rinunciando implicitamente alla volontà di avvalersi della clausola risolutiva.

2.1. = Il motivo è inammissibile ed, essenzialmente, perchè il ricorrente fa riferimento alla documentazione che, secondo la Corte distrettuale, era inutilizzabile ai fini del decidere, stante la tardività ingiustificata della costituzione dell’ O.E., in primo grado e stante la circostanza che non sarebbe stata mai giustificata la sua mancata tempestiva costituzione in primo grado. Senza dire che tale decisione, cioè la decisione di ritenere inutilizzabile la documentazione prodotta da O., non è stata, neppure, censurata.

3.= Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 333, 343 e 346 cod. proc. civ. nonchè dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, violazione degli artt. 1455 e 1456 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 errata illogica e contraddittoria motivazione in ordine all’appello incidentale condizionato, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, violazione dell’art. 100 cod. proc. civ. interesse ad impugnare, omessa statuizione, violazione dell’art. 112 cod. proc. civ..

Il ricorrente sostiene che la Corte distrettuale avrebbe errato nell’accogliere l’appello incidentale proposto da R. omettendo qualsiasi statuizione in ordine alla contestata legittimazione ad impugnare da parte dell’appellata. Piuttosto, nel giudizio di primo grado non vi era stata soccombenza, neppure parziale, della R., pertanto, ai sensi dell’art. 100 cod. proc. civ., non sussisteva l’interesse ad impugnare. Invece, il giudice di appello ritenendo illegittimamente assorbita dal primo giudice la questione relativa alla ravvisabilità del grave inadempimento ex art. 1455 cod. civ. dalla ritenuta sussistenza di intervenuta risoluzione di diritto del contratto, in virtù della clausola risolutiva espressa, avrebbe ricondotto, presumibilmente, l’appello incidentale della R. alla fattispecie regolata dall’art. 346 cod. proc. civ. salvo, poi, qualificare l’appello incidentale come condizionato.

3.1. = Il motivo è inammissibile per più ragioni e, comunque, per mancanza di interesse. Intanto, va qui rilevato che l’eventuale mancanza di interesse ad impugnare della sig.ra R. avrebbe potuto comportare una dichiarazione di inammissibilità dell’appello incidentale ma avverso tale decisione (nel duplice senso di dichiarazione di inammissibilità o mancanza di tale dichiarazione) legittimata a proporre l’eventuale ricorso per cassazione sarebbe stata, comunque, la parte che da quella dichiarazione ne avrebbe subito la conseguenze negative, cioè, dalla parte che aveva proposto l’appello incidentale ma, non anche, la parte che ha proposto l’appello principale.

Va, altresì, evidenziato che l’appello incidentale, così come ha evidenziato la Corte distrettuale, integrava gli estremi di un appello ipotetico o condizionato all’eventualità che la Corte distrettuale si fosse determinata a qualificare l’azione proposta quale azione di risoluzione per inadempimento e non azione di risoluzione, in applicazione della clausola risolutiva espressa. Quale appello incidentale condizionato, pertanto, non poteva che restare assorbito dal rigetto dall’appello principale.

La statuizione, poi, relativa al merito della questione integra, comunque, gli estremi di una decisione ad abundantiam che, in quanto priva di effetti giuridici, non determina alcuna influenza sul dispositivo della decisione e dunque non è impugnabile in sede di legittimità per difetto di interesse.

4.= Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 180 c.p.c., comma 2 in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 omessa attivazione del contraddittorio, violazione dell’art. 161, primo comma, cod. proc. civ. dell’art. 132 cod. proc. civ., e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Il ricorrente sostiene: a) che la Corte distrettuale avrebbe errato nell’aver rigettato l’eccezione con la quale si era lamentato che il Tribunale di Manduria non avesse concesso il termine di venti giorni ai sensi dell’art. 180 c.p.c., comma 2, nella formulazione della L. n. 534 del 1995 per la proposizione delle eccezioni di rito e di merito non rilevabili d’ufficio; b) che la Corte distrettuale avrebbe supportato la decisione di infondatezza del primo motivo di appello, richiamandosi alla giurisprudenza costante, senza fornire alcuna indicazione e, dunque, omettendo la motivazione. c) Errata sarebbe, sempre secondo il ricorrente, la motivazione con la quale, il Giudice del merito, avrebbe ritenuto infondata la censura mossa alla sentenza di primo grado e, cioè, l’affermazione secondo cui l’intervallo di tempo tra l’udienza di comparizione e la prima di trattazione era superiore a venti giorni previsto come minimo nell’art. 180 cod. proc., civ., non tenendo conto che la sanatoria cui fa riferimento la Corte distrettuale riguarderebbe la fattispecie in cui entrambe le parti sono costituite in giudizio. Piuttosto, secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza, la L. n. 534 del 1995 avrebbe inteso regolare le sequenze delle udienze degli artt. 180 e 183, e cioè, che all’esito dell’udienza di prima comparizione il giudice di ufficio deve fissare la udienza di trattazione e assegnare al convenuto senza necessità della sua istanza il termine di proposizione delle eccezioni in senso stretto, salvo contrario accordo tra le parti.

4.1.= Il motivo è infondato.

L’art. 180 c.p.c., nel testo previgente all’emendamento introdotto con la L. 14 maggio 2005, n. 80 (di conversione del D.L. 14 marzo 2005, n. 35), disponeva, al comma 2: “La trattazione della causa davanti al giudice istruttore è orale. Se richiesto, il giudice istruttore può autorizzare comunicazioni di comparse a norma dell’art. 170, u.c.. In ogni caso fissa a data successiva la prima udienza di trattazione, assegnando al convenuto un termine perentorio non inferiore a 20 giorni prima di tale udienza per proporre le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili di ufficio”.

A prescindere dai seri dubbi sollevati in dottrina sulla necessità del predetto rinvio, allorchè il convenuto sia rimasto contumace (sotto il profilo che la tutela processuale accordata alla parte rimasta estranea al giudizio, senz’alcuna giustificazione, rappresenterebbe davvero un unicum nel sistema processuale italiano; e ancor più, perchè tale interpretazione dell’inciso “In ogni caso”, nell’incipit della proposizione in esame, sembrerebbe collidere frontalmente con l’art. 80 bis disp. att. cod. proc. civ. e disp. trans., secondo cui “la rimessione al collegio, a norma dell’art. 187 del codice, può essere disposta dal giudice istruttore anche nell’udienza destinata esclusivamente alla prima comparizione delle parti”), la giurisprudenza di questa Corte si è ormai attestata su un’interpretazione non letterale dell’obbligo del termine per proporre le eccezioni processuali di merito non rilevabili d’ufficio, negando che la sua mancata concessione determini ipso jure la nullità della sentenza, qualora tra l’udienza di prima comparizione e quella di trattazione siano comunque intercorsi i 20 giorni richiesti dalla legge al fine anzidetto (Cass., sez. 3, 29 ottobre 2001, n. 13. 414). Nel caso in esame, si evince dalla parte narrativa del ricorso, non contestata in punto di fatto dalla R.F.G., dopo diverse udienza istruttorie l’ O. si costituiva all’udienza del 10 giugno 2004 cui la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni. Ma, per l’appunto, tra l’udienza di trattazione e la data di costituzione di O. erano intercorsi circa due mesi a partire dalla notifica del verbale di udienza disposta dal GI del 15 aprile 2004, senza che il convenuto rispettasse il termine perentorio di 20 giorni prima della seconda udienza per costituirsi e formulare le eventuali eccezioni in senso stretto.

5.= Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., omessa pronuncia. Il ricorrente censura, altresì, la sentenza impugnata per aver omesso qualunque statuizione in ordine alla richiesta avanzata in via istruttoria ed, in forma subordinata, di deferire giuramento decisorio alla appellata R.F.G..

5.1.= Il motivo è inammissibile. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il vizio di omessa pronuncia, che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., rilevante ai fini di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, è invero configurabile esclusivamente in relazione a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, e non anche in relazione ad istanze istruttorie, per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, ove ne siano prospettati ritualmente gli estremi (cfr. ex multis: Cass. Ss.Uu. n. 15982 de118/12/2001) che nella specie non pare potersi dire.

In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 cod. proc. civ., condannato a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater da atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

 

La Corte, rigetta il ricorso, condanna il ricorrente a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00, per esborsi oltre spese generali pari al 15% del compenso ed accessori come per legge, da atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2017

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