Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16218 del 03/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 03/08/2016, (ud. 04/05/2016, dep. 03/08/2016), n.16218

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7414-2015 proposto da:

C.E.C., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio degli

avvocati BRUNO PIACCI, DE VIVO ANDREA, PETRACCA NICOLA, che lo

rappresentano e difendono giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

FONDAZIONE DONNAREGINA PER LE ARTI CONTEMPORANEE;

– intimata –

Nonchè da:

FONDAZIONE DONNAREGINA PER LE ARTI CONTEMPORANEE C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA GIANALBERTO FERRETTI,

rappresentata e difesa dall’avvocato GUIDO GRASSI, giusta delega in

atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.E.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 7127/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 19/11/2014 R.G.N. 1108/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2016 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito l’Avvocato SOLFANELLI ANDREA per delega Avvocato PIACCI BRUNO;

udito l’Avvocato GRASSI GUIDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità o in subordine

rigetto del ricorso principale con assorbimento dell’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.E.C. si rivolgeva al Tribunale di Napoli esponendo di esser stato nominato direttore generale della Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee in data 21/7/05 con contratto a tempo indeterminato e qualifica dirigenziale. Deduceva che in data 6/12/11 il rinnovato Consiglio di Amministrazione della Fondazione aveva deliberato la risoluzione del rapporto di lavoro. Chiedeva, quindi, dichiararsi ingiustificato il licenziamento intimato e condannarsi la Fondazione al pagamento della indennità supplementare prevista dall’art.19 c.c.n.l. di settore, oltre alla corresponsione di ulteriori spettanze retributive. La fondazione si costituiva in giudizio instando per il rigetto delle domande. Il giudice adito accoglieva esclusivamente la domanda concernente la carenza di “giustificatezza” dell’atto di recesso e condannava l’ente convenuto al pagamento in favore del ricorrente, di venti mensilità a titolo di indennità supplementare ai sensi dell’art. 19 c.c.n.l. dirigenti industria.

Con sentenza resa pubblica il 19/11/14 e notificata il 9/1/15 la Corte d’Appello di Napoli, in accoglimento del gravame proposto dalla Fondazione, rigettava le domande proposte con il ricorso di primo grado dal C. nonchè l’appello proposto in via incidentale da quest’ultimo e lo condannava alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio.

A fondamento del decisum la Corte distrettuale osservava, per quanto di rilievo, che il licenziamento intimato non era stato motivato da ragioni ritorsive o pretestuose come argomentato dal giudice di prima istanza, nè era derivato dalla applicazione retroattiva delle norme statutarie che disciplinavano la nomina del direttore, bensì da esigenze di natura squisitamente economica, legate alla necessità di provvedere ad una più utile gestione dei costi.

Avverso tale pronuncia interpone ricorso per cassazione il C. affidato a quattro motivi.

Resiste con controricorso la Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee che propone ricorso incidentale, anche in via condizionata. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Per una trattazione rispettosa dell’ordine logico – giuridico delle questioni devolute, occorre avviare l’esame della eccezione di tardività del ricorso per cassazione sollevata dalla parte controricorrente in sede di memoria illustrativa, per essere stato l’atto notificato in data 11 marzo 2015, oltre il termine di sessanta giorni dalla notifica della sentenza emessa in sede di gravame, perfezionata in data 9 gennaio 2015.

L’eccezione è priva di fondamento.

Infatti, secondo i principi enunciati dal Giudice delle leggi con sentenza 26 novembre 2002, n. 447 – che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 149 c.p.c. e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 4, comma 3, nella parte in cui prevede che la notificazione a mezzo posta si perfeziona, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anzichè a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario – opera nell’ordinamento un principio di ordine generale secondo il quale, qualunque sia la modalità di trasmissione od esecuzione, la notificazione di un atto processuale, quando debba effettuarsi entro un termine prestabilito, si intende perfezionata, dal lato del richiedente, al momento dell’affidamento dell’atto all’ufficiale giudiziario che funge da tramite necessario del notificante nel relativo procedimento vincolato (vedi, in ali sensi, Cass. 11.1.2007, n. 390, cui adde ex plurimis, Cass. 25-2-2015).

Nello specifico, come emerso dal certificato rilasciato dall’UNEP della corte di appello di Napoli ritualmente prodotto in atti, il ricorso è stato consegnato all’ufficiale giudiziario in data 10 marzo 25015, quindi entro il termine di sessanta giorni dalla notifica del 9 gennaio 2015, sancito dal disposto di cui all’art. 325 c.p.c..

Ci si duole che la Corte di merito sia pervenuta ad un’interpretazione dell’atto di recesso non corrispondente al reale intento della parte, laddove ha interpretato il riferimento al contenuto del nuovo statuto, come del tutto generico ed inidoneo a fondare le autentiche ragioni del recesso riconducibili allo stato di crisi economica che attanagliava la Fondazione. Si ritiene, per contro, che il tenore della lettera di recesso fosse del tutto inequivoco nel senso di ricondurre alla mancata corrispondenza del regolamento contrattuale che disciplinava il rapporto di lavoro del C., rispetto alla previsione del nuovo statuto. Si deduce che “l’interpretazione della volontà del recedente, tenuto conto del senso letterale delle parole e del contenuto complessivo dell’atto, non consente, perciò, che si possa rinvenire la ricorrenza di un giustificato motivo oggettivo, costituito dal verificarsi, nel corso dell’esecuzione del rapporto, di un evento che induca il datore di lavoro ad adottare interventi di ristrutturazione e/o riorganizzazione che possano comportare anche la risoluzione dei rapporti di lavoro”. Si conclude, quindi, che “se la Corte avesse interpretato correttamente la lettera di licenziamento, individuando nel contrasto tra contenuto del contratto di lavoro in essere e nuove norme statutarie il motivo di recesso, la presunta crisi economica della fondazione…non poteva essere considerata ai fini dell’esistenza di un giustificato motivo di risoluzione del rapporto”.

3. Con il secondo mezzo di impugnazione, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 41 Cost., artt. 14 e 1371 c.c. nonchè degli artt. 19 e 22 c.c.n.l. dirigenti industria del 25/11/09 ex art. 360 c.p.c., n. 3.

Si deduce che i principi invocati dai giudici della impugnazione, secondo cui il rispetto delle regole di correttezza e buona fede che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, vanno contemperati con la libertà di iniziativa economica sancita dall’art. 41 Cost., non siano applicabili alla fattispecie, ostandovi la natura di fondazione senza scopo di lucro della odierna intimata.

4. I motivi, che possono trattarsi congiuntamente per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, sono privi di pregio.

Occorre muovere, per un ordinato iter motivazionale, dal principio espresso dalla giurisprudenza di questa Corte, che va qui ribadito, secondo cui l’interpretazione dei contratti, e degli atti negoziali in genere, è riservata all’esclusiva competenza del giudice di merito essendo il sindacato di legittimità limitato alla sola verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., nonchè alla coerenza e logicità della motivazione. Pertanto, qualora venga dedotta la violazione dei citati canoni interpretativi, deve essere precisato in qual modo il ragionamento del giudice se ne sia discostato, senza che sia sufficiente all’uopo il generico richiamo ai criteri astrattamente intesi e neppure una critica della ricostruzione della volontà dei contraenti non riferibile a tale violazione, ma consistente nella prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza impugnata (cfr. ex plurimis, Cass. 7-1-2006 n.1754, cui adde Cass. 22-2-2007 n. 4178).

5. Applicando i suddetti principi alla fattispecie qui scrutinata, deve affermarsi che la critica formulata dal ricorrente vada disattesa, avendo la Corte distrettuale reso una interpretazione dell’atto di recesso intimato dalla Fondazione, del tutto rispettosa dei canoni di interpretazione degli atti negoziali di cui ai dettami delle disposizioni codicistiche richiamate, nonchè delle disposizioni del contratto collettivo applicabile alla fattispecie, laddove subordinano la legittimità del licenziamento del dirigente alla sussistenza di una “motivazione giustificata”.

Il giudice dell’impugnazione ha, infatti, proceduto ad una ricognizione dell’atto di recesso riportandone ampi stralci con i quali, pur facendosi riferimento, in via generale, agli obblighi nascenti per la Fondazione, dalla adozione del nuovo statuto per la assunzione del nuovo direttore (necessità di concorso pubblico, previsione di un contratto a termine, previsione di un tetto stipendiale), si poneva uno specifico richiamo alle ragioni di natura economica sottese alla risoluzione del rapporto, e ravvisate negli elevati costi del compenso riconosciuto al dirigente, pari a circa il 20% delle risorse disponibili annualmente. Il Collegio ha quindi proseguito nella disamina, in dettaglio, dei dati documentali attinenti agli incassi relativi all’anno 2011 del Museo Madre, unica attività gestita dalla Fondazione medesima, che si erano più che dimezzati rispetto a quelli relativi agli anni 2008 e 2010 ed ha rimarcato come, nel contesto della crisi di liquidità che connotava la gestione dell’ente, i compensi da liquidare in favore del C. impegnavano circa il 20% delle risorse.

6. Nell’ottica descritta, del tutto congrui rispetto a canoni interpretativi sanciti dagli artt. 1362 c.c. e segg., risultano gli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito, che ha armonizzato nell’apprezzamento dell’atto negoziale, l’obiettivo dato letterale con la effettiva ratio del “precetto negoziale” ravvisata, al di là del mutamento delle norme statutarie, pur tenute presenti dalla Fondazione nella maturazione dell’intendimento di risolvere il contratto in essere con il dirigente, nella esigenza essenziale di provvedere ad una più utile gestione economica dell’ente dettata da condizioni oggettive destinate ad incidere sulla strategia organizzativa e gestionale dell’ente.

Si tratta di conclusioni che rispondono a principi di coerenza formale della motivazione, connotata da equilibrio nei vari elementi che ne costituiscono la struttura argomentativa e conforme a diritto, per quanto sinora detto, onde resiste alle censure all’esame, con le quali, per quanto si è detto, il ricorrente si è limitato ad esporre un’interpretazione dell’atto a sè favorevole, proponendo un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, al solo fine di indurre il convincimento del giudice di legittimità che l’adeguata valutazione degli stessi avrebbe giustificato raccoglimento della domanda con operazione inammissibile nella presente sede di legittimità.

7. Del pari, non appare condivisibile la critica recata dal secondo motivo di doglianza, con il quale si stigmatizza l’impugnata sentenza per aver fatto ricorso, nella valutazione della ricorrenza delle condizioni che giustificavano l’erogazione del provvedimento espulsivo, ai criteri di economicità della gestione e di libertà di iniziativa economica in relazione ad ente privo di scopo di lucro, quale la Fondazione Donnaregina. Il ricorrente, a sostegno del motivo, accredita la tesi secondo cui, considerate le finalità della Fondazione – “persona giuridica privata senza scopo di lucro, con piena autonomia statutaria e gestionale” (arti. dello Statuto della Fondazione MADRE) – intese a conseguire “la promozione, la diffusione, la fruizione e la preservazione delle opere contemporanee di arte visiva” (art. 3 dello Statuto), e considerato altresì che per il raggiungimento di tali fini la Fondazione utilizza apporti patrimoniali provenienti dal socio fondatore Regione Campania o da terzi partecipanti, del tutto inappropriato sarebbe il richiamo disposto dalla Corte distrettuale ai criteri di profitto e di libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost. che devono presiedere alla scelta da parte dell’ente, dei collaboratori di più alto livello, trattandosi di principi eccentrici rispetto agli obiettivi puramente culturali perseguiti dall’ente.

8. La tesi non è idonea ad inficiare la solida struttura argomentativa che sorregge la pronuncia impugnata e con la quale la Corte di merito ha puntualizzato come la nozione di “giustificatezza” connessa alla risoluzione del rapporto di lavoro dirigenziale, si collochi in un alveo ben più ampio rispetto a quello della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento che connota il rapporto di lavoro del personale dipendente non appartenente alla categoria dirigenziale.

9. Occorre rimarcare che il rapporto di lavoro del dirigente non è assoggettato alle norme limitative dei licenziamenti individuali di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, artt. 1 e 3 e la nozione di “giustificatezza” posta dalla contrattazione collettiva al fine della legittimità del suo licenziamento non coincide con quella di giustificato motivo di licenziamento contemplata dalla stessa L. n. 604 del 1966, art. 3. Nell’ottica descritta è stato quindi affermato che ai fini dell’indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva in caso di licenziamento del dirigente, la suddetta “giustificatezza” non deve necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto di lavoro e con una situazione di grave crisi aziendale tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa tale prosecuzione. Ed infatti posto che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con quello di Iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost., che verrebbe realmente negata ove si impedisse all’imprenditore, a fronte di razionali e non arbitrarie ristrutturazioni aziendali, di scegliere discrezionalmente le persone idonee a collaborare con lui ai più alti livelli della gestione dell’impresa. Il recesso in questione risulta privo di qualsiasi giustificazione sociale solo se si concretizza in condotte lesive, nella loro oggettività, della personalità del dirigente sicchè, per accertare la configurabilità del diritto del dirigente all’indennità supplementare di preavviso, l’ingiustificatezza del recesso datoriale può dedursi da una incompleta o inveritiera comunicazione dei motivi di licenziamento ovvero da un’infondata contestazione degli addebiti, potendo in tali casi risultare disagevole la verifica che il recesso sia eziologicamente riconducibile a condotte discriminatorie ovvero prive di adeguatezza sociale (vedi Cass. 20-12-2006 n. 27197).

Nell’ambito di tale nozione di “giustificatezza” del licenziamento del dirigente, secondo i principi più volte affermati da questa Corte, che vanno qui ribaditi, può, dunque, rilevare qualsiasi motivo, purchè esso possa costituire la base per una motivazione coerente e sorretta da motivi apprezzabili sul piano del diritto, a fronte del quale non è necessaria una analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale che scluda l’arbitrarietà e la pretestuosità del licenziamento in quanto riferito a circostanze idonee ad incidere sul legame di fiducia con il datore, nel cui ambito rientra l’ampiezza dei poteri attribuiti al dirigente (vedi ex aliis, Cass. 17-3-2014 n. 6110).

10. Si è anche affermato, in ulteriori arresti giurisprudenziali (vedi Cass. 8-3-2012 n.3628), che il licenziamento individuale del dirigente d’azienda può fondarsi su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale, che non debbono necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa detta continuazione dato che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost..

Nella descritta prospettiva, la pronuncia impugnata è da ritenersi conforme a diritto, giacchè ha modulato il concetto di giustificatezza del licenziamento intimato al dirigente, sulla scorta dei principi elaborati in sede giurisprudenziale e dottrinaria, che nella essenziale nozione di non pretestuosità e non arbitrarietà, ravvisano il nucleo fondante della legittimità del recesso. Nè gli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito, con precipuo riferimento al principio di economicità della gestione dell’ente, appaiono confliggere con la struttura e le finalità perseguite dallo stesso.

11. Non può, invero sottacersi che anche per gli enti privi di scopo di lucro e carenti di un’organizzazione strutturata a guisa di impresa, secondo criteri di pura economicità sussistono ragioni riconducibili ad una sana gestione economica della fondazione la quale, in parte sorretta da sovvenzioni di provenienza pubblica e privata (nello specifico, peraltro, progressivamente ridotte come attestato dalla impugnata pronuncia), necessita di solide basi onde perseguire gli scopi statutari cui è destinata.

Sotto tutti i profili delineati, le censure si palesano, dunque, prive di fondamento.

12. Con il terzo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1373 e 1467 c.c. nonchè degli artt. 19 e 22 c.c.n.l. dirigenti industria del 25/11/09 ex art. 360 c.p.c., n. 3; omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione nel processo (art. 360 c.p.c., n. 5).

Si nega che il mero ed esclusivo dato di un ammontare della retribuzione asseritamente eccessiva prevista in contratto, possa costituire di per sè un evento sopraggiunto che, incidendo sul sinallagma contrattuale, giustifichi il ricorso allo strumento risolutivo. Si critica altresì la sentenza impugnata per avere omesso l’esame della Delib. Giunta Regionale della Campania 26 giugno 2012 che aveva approvato il progetto della Fondazione redatto dal ricorrente, e relativo al periodo 2010-2013 disponendo l’erogazione in favore della Fondazione Madre, della somma di Euro 5.650.000,00.

13. Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.

E’ infondato, laddove tende ad inficiare la statuizione della impugnata pronuncia in tema di giustificatezza del licenziamento che, come innanzi dedotto, si colloca nel solco della giurisprudenza di questa Corte sulla delibata questione.

14. E’ inammissibile, quanto al vizio denunciato di omesso esame della documentazione attinente al finanziamento della Fondazione.

Innanzitutto la doglianza ha ad oggetto un documento emesso in epoca successiva al licenziamento (intervenuto in data 6/12/2011).

In ogni caso non appare rispettose dei dettami sanciti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5, come novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis.

Nella interpretazione resa dai recenti arresti delle sezioni unite di questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art.12 delle preleggi (vedi Cass. S.U. 7-4-2014 n.8053), la disposizione va letta in un’ottica di riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Scompare, quindi, nella condivisibile opinione espressa dalla Corte, il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta quello sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata.

Il controllo previsto dall’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5 concerne, quindi, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

Applicando i suddetti principi nella fattispecie qui scrutinata, non può prescindersi dal rilievo che tramite la articolata censura, la parte ricorrente, contravvenendo ai detti principi, sollecita un’inammissibile rivalutazione dei dati istruttori acquisiti in giudizio, esaustivamente esaminate dalla Corte territoriale, auspicandone un’interpretazione a sè più favorevole, non ammissibile nella presente sede di legittimità. Lo specifico l’iter motivazionale seguito dai giudici dell’impugnazione non risponde, per quanto sinora detto, ai requisiti dell’assoluta omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta, che avrebbero potuto giustificare l’esercizio del sindacato di legittimità.

La fattispecie concreta è stata, infatti, oggetto di approfondita disamina da parte della Corte territoriale che – come riferito nello storico di lite – è pervenuta ad una ricostruzione dei fatti, è bene ribadirlo, che si sottrae, in quanto congrua e completa, alla censura all’esame.

15. Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. nonchè degli artt. 19 e 22 c.c.n.l. dirigenti industria del 25/11/09 ex art. 360 c.p.c., n. 3. Si deduce che una congrua applicazione del principio di correttezza e buona fede, quale limite al potere datoriale di recesso, avrebbe imposto la verifica della disponibilità del dirigente ad una rinegoziazione della retribuzione.

Anche tale doglianza va disattesa, presentando le medesime carenze riscontrate in relazione in relazione ai primi due motivi di ricorso. La reiezione del ricorso proposto in via principale assorbe la censura spiegata in via condizionata dalla Fondazione con riferimento alla quantificazione della indennità supplementare oggetto della pretesa avanzata dal C..

16. Dal canto suo parte intimata propone ricorso incidentale censurando l’impugnata sentenza in ragione della liquidazione delle spese, ritenute non conformi ai dettami di cui al D.M. n. 55 del 2014 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo va respinto giacche la ricorrente, nel formulare la tesi della inadeguatezza della liquidazione disposta dal giudice del gravame, elaborando i relativi conteggi ha fatto riferimento a valori desunti dalla diminuzione sino al 50% del compenso medio, e dall’aumento nella misura dell’80%, operazione non consentita dai dettami del richiamato D.M. n. 55 del 2014, che sancisce la possibilità della sola diminuzione dei compensi nella misura del 50%.

In definitiva, alla luce delle superiori argomentazioni, entrambi i ricorsi vanno rigettati.

La situazione di reciproca soccombenza delle parti giustifica la compensazione delle spese inerenti al presente giudizio di legittimità.

Si dà atto, infine, della sussistenza delle condizioni richieste dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, a titolo di contributo unificato, dell’ulteriore importo pari a quello versato per il ricorso principale ed il ricorso incidentale.

PQM

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa fra le parti le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale ed il ricorso incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2016

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