Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16217 del 29/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 29/07/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 29/07/2020), n.16217

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11576-2018 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SALARLA

292, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BALDI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCO TABORELLI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SESTO CALENDE, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA 4, presso

lo studio dell’avvocato ELENA VALENZA, rappresentato e difeso

dall’avvocato CRISTINA TORRETTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1626/2017 del TRIBUNALE di BUSTO ARSIZIO,

depositata il 31/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA

FALASCHI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Giudice di pace di Busto Arsizio, con sentenza n. 442/2016, rigettava il ricorso proposto da M.M., avverso il verbale di accertamento V/23993M emesso dalla Polizia Locale del Comune di Sesto Calende, per la violazione dell’art. 141 C.d.S., commi 2 e 11, per avere circolato alla guida senza essere in grado di arrestare tempestivamente il mezzo nel suo campo di visibilità, così andando ad urtare un altro veicolo, proveniente dal senso di marcia opposto, mentre svoltava alla sua sinistra per immettersi in altra via, occupando la mezzeria dell’opponente.

In virtù di gravame interposto dal M., il Tribunale di Busto Arsizio, con sentenza n. 1626/2017, sentita a sommarie informazioni una testimone presente sul luogo dell’incidente, ascoltate le dichiarazioni rese dal teste dell’appellante, rigettava l’appello ritenendo di dover condividere la valutazione degli elementi di fatto effettuata dal giudice di primo grado e, per l’effetto, confermava la sentenza resa dal giudice di pace.

Avverso la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio M.M. propone ricorso per Cassazione, fondato su tre motivi, cui il Comune di Sesto Calende resiste con controricorso.

Ritenuto che il ricorso potesse essere respinto, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata alle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Atteso che:

– in via preliminare va esaminata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per tardività sollevata nel controricorso.

Diversamente dall’assunto di parte resistente, pacifica la pubblicazione della sentenza impugnata in data 31/10/2017, il ricorso per cassazione risulta dagli atti essere stato consegnato all’ufficiale giudiziario in data 09/04/2018, come da annotazione dell’UNEP della Corte di appello di Roma.

Del resto la notifica a mezzo del servizio postale che sì perfeziona con la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, pone a carico del notificante, a fronte della puntuale contestazione ad opera della controparte della tardività della notifica, l’onere di provare l’avvenuto e tempestivo avvio del procedimento notificatorio, essendo a tal fine sufficiente la dimostrazione dell’avvenuto deposito del plico nel rispetto del termine di apertura dell’ufficio al servizio (S.U. 01/06/2010 n. 13338);

– passando al merito del ricorso, con il primo motivo viene denunciata, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 115 c.p.c. In particolare, ad avviso del ricorrente la corte territoriale, violando il principio di disponibilità delle prove, avrebbe erroneamente rigettato la domanda attorca senza considerare le prove documentali fornite dall’appellante ed allegate in atti.

Con il secondo motivo è dedotta, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per insufficienza ed illogicità della motivazione. In particolare, ad avviso del ricorrente, il giudice dell’appello non avrebbe dato conto nella motivazione della sentenza di aver analizzato tutte le prove raccolte ed avrebbe erroneamente omesso di accertare il grado di colpa di ciascuno dei conducenti sulla base delle stesse.

Con il terzo motivo è lamentato, ex art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. In particolare, ad avviso del ricorrente la corte territoriale, non avendo fatto alcuna menzione nella sentenza d’appello dell’avvenuta disamina delle fotografie del luogo e dei veicoli coinvolti nel sinistro, avrebbe dimostrato di non aver preso in considerazione la documentazione prodotta dalle parti.

I motivi – venendo tutti, seppure sotto profili diversi, sulla medesima questione dell’esame della prova documentale – sono inammissibili.

Nel caso in esame trova applicazione il principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 27 dicembre 2016 n. 27000; Cass. 11 dicembre 2015 n. 25029; Cass. 19 giugno 2014 n. 13960): eventualità, quelle in discorso, che nulla hanno a che vedere con la fattispecie qui considerata.

In particolare, tutti i motivi sono rivolti a ridiscutere la ricostruzione del sinistro stradale fatta propria dal giudice di appello, e mirano a richiedere a questa Corte di effettuare una nuova rivalutazione di tutte le risultanze istruttorie – già esaminate dal giudice di appello – secondo la diversa prospettazione e ricostruzione dei fatti operata dalla parte ricorrente. Le censure si pongono, pertanto, al di fuori deì limiti imposti al sindacato di legittimità, vincolato al controllo della conformità a diritto della decisione secondo il parametro individuato dai tassativi vizi deducibili con il ricorso ex art. 360 c.p.c..

Occorre premettere che, dopo la modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5), disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. in L. n. 134 del 2012 – applicabile alla sentenza impugnata in quanto pubblicata successivamente all’11.9.2012, data di entrata in vigore della novella -, non trova più accesso al sindacato di legittimità della Corte il vizio di mera insufficienza od incompletezza logica dell’impianto motivazionale per inesatta valutazione delle risultanze probatorie, qualora dalla sentenza sia evincibile una “regula juris” che non risulti totalmente avulsa dalla relazione logica tra “premessa(in fatto)-conseguenza(in diritto)” che deve giustificare il “decisum”.

Pertanto, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte in relazione alle note ipotesi che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità. Laddove non sì contesti l’inesistenza del requisito motivazionale del provvedimento giurisdizionale, il vizio di motivazione può essere dedotto soltanto in caso di omesso esame di un “fatto storico” controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia “decisivo” ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014 n. 8053).

Rimane estranea al predetto vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, ex art. 116 c.p.c., comma 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, ed operando quindi il conseguente giudizio di prevalenza (Cass., 10/06/2016, n. 11892). Occorre, al riguardo, opportunamente precisare che, attraverso il combinato disposto dell’art. 116 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4), non è dato riproporre, sotto altra forma paradigmatica, la censura dei vizi di logicità eliminati dall’attuale testo normativo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), atteso che per giurisprudenza consolidata il principio del libero convincimento ex art. 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito riservato in via esclusiva al giudice e come tale è insindacabile in sede di legittimità: è assolutamente pacifico in giurisprudenza, infatti, che la denuncia di violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e dell’art. 116 c.p.c., solo apparentemente veicola un vizio di “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, traducendosi, invece, nella denuncia di “un errore di fatto” che deve essere fatta valere attraverso il corretto paradigma normativo del vizio motivazionale, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass., 12/02/2004 n. 2707), essendo esclusa in ogni caso una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità.

Ineludibile corollario della precedente affermazione è che la censura di violazione delle norme processuali predette non può legittimare, evidentemente, una “trasformazione” del precedente vizio di motivazione per “insufficienza od incompletezza logica” – non più sindacabile in sede di legittimità- in un vizio di “errore di diritto” (attinente alla attività processuale), sì che il primo possa in tal modo ritornare ad essere sindacabile avanti la Corte sotto le apparenti, diverse, spoglie della violazione di norma di diritto, non essendo in ogni caso autonomamente denunciabilì -attraverso la denuncia della violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e art. 116 c.p.c.- assenti errori di “convincimento” attinenti alla preminente rilevanza attribuita a talune “questioni” od alle stesse “argomentazioni” nelle quali si estrinseca l’esercizio del potere discrezionale di apprezzamento rimanendo in ogni caso precluso nel giudizio di cassazione l’accertamento dei fatti ovvero la loro valutazione ai fini istruttori.

Del resto il giudice del gravame ha dato conto degli elementi di fatto posti a fondamento del proprio convincimento, rappresentati dalla circostanza che l’impatto con il furgone avveniva nonostante il ricorrente avesse iniziato la frenata trenta metri prima rispetto al punto dell’impatto e che nella corsia nella quale viaggiava il furgone ci fosse coda – rilievi accertati tramite i verbali della Polizia Locale e dai testimoni ascoltati-, da cui discendeva la conclusione che il conducente non conservasse totalmente il controllo del proprio veicolo pertanto violando quanto prescritto dall’art. 141 C.d.S., comma 2.

Il ricorso va dunque respinto.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in favore della controricorrente in complessivi Euro, 800,00, di cuì Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso), a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2020

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