Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16215 del 28/06/2017


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Cassazione civile, sez. II, 28/06/2017, (ud. 17/11/2016, dep.28/06/2017),  n. 16215

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 24237/12) proposto da:

C.M. e P.G., rappresentati e difesi, in forza di

procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.to Renato Luparini

del foro di Livorno ed elettivamente domiciliati presso lo studio

dell’Avv.to Umberto Monacchia in Roma, via Mocenigo n. 26;

– ricorrenti –

contro

F.A. e G.D., elettivamente domiciliati nel

giudizio di appello presso lo studio dell’Avv.to Ilaria Pacini in

Firenze via XXIV Maggio n. 3;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 931

depositata il 26 giugno 2012;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 17

novembre 2016 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito l’Avv.to Renato Luparini, per parte ricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Sgroi Carmelo, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’ing. P.G. ed il geom. C.M. evocavano, dinanzi al Tribunale di Livorno, F.A. e G.D., rispettivamente gestore e proprietaria della pensione (OMISSIS) sita in (OMISSIS), esponendo di essersi occupato, il primo, del piano di recupero della zona in modo da rendere l’edificio in questione idoneo all’uso per il quale era destinato, e il secondo, di avere curato le pratiche amministrative di condono edilizio, senza ricevere alcun corrispettivo per gli incarichi espletati. Tanto premesso, chiedevano la condanna in solido dei convenuti al pagamento della complessiva somma di Lire 26.714.038, oltre interessi, di cui Lire 16.114.138 in favore del geometra e la restante cifra in favore dell’ingegnere.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, eccepito dal F. il difetto di legittimazione passiva, in quanto conduttore dell’immobile e non committente delle prestazioni professionali de quibus, eccepita da entrambi la intervenuta prescrizione presuntiva ex art. 2956 c.c. ed in subordine quella decennale rispetto al C., per essere le sue attività compiute fra il 1985 ed il 1987, il giudice adito, in accoglimento della domanda attorea nei soli confronti della G., la condannava al pagamento di complessivi Euro 12.653,20, di cui Euro 7.591,92 in favore del C. ed Euro 5.061,28 in favore del P., dichiarato il difetto di legittimazione passiva rispetto al F..

In virtù di rituale appello interposto dal F., quanto alla compensazione delle spese processuali, e dalla G., relativamente alla mancata maturazione della prescrizione breve, la Corte di appello di Firenze, nella resistenza degli appellati, che proponevano anche appello incidentale, in accoglimento del gravame principale e in riforma della decisione di prime cure, dichiarava estinto ex art. 2956 c.c., comma 2, per intervenuta prescrizione il credito professionale fatto valere dagli originari attori, e, in accoglimento del gravame del F., condannava gli stessi al pagamento delle spese del doppio grado di giurisdizione, respinto l’appello incidentale dei professionisti; disponeva, inoltre, in ordine alle restituzioni delle somme ricevute in esecuzione della decisione di primo grado.

A sostegno della decisione adottata la corte medicea evidenziata la pacificità dello svolgimento delle attività professionali su incarico della sola G., osservava che dalla c.t.u. espletata risultava accertato che il geom. C. aveva svolto quattro distinte prestazioni nel 1985, nel 1986, nel 1987 e nel 1994, mentre l’ing. P. nel 1991 aveva eseguito un’unica prestazione, conclusasi con l’approvazione del progetto e la pubblicazione nel B.U.R.T. nel marzo 1996. Accertava, altresì, che ognuna delle prestazioni era caratterizzata da autonomia, nel senso che ciascuna risultava finalizzata ad ottenere un autonomo provvedimento amministrativo autorizzatorio, ottenuto in alcuni casi, respinto nella maggior parte dei casi. Infine rilevava che ogni caso doveva ritenersi che le prestazioni del P. si erano concluse nel 1996, quelle del C. nel febbraio 1994. Proprio dall’autonomia delle prestazioni veniva dedotta l’applicabilità nella specie della prescrizione presuntiva triennale, di cui all’art. 2957 c.c., pervenuta la prima richiesta di pagamento solo nell’agosto del 1999, esclusa dal primo giudice che aveva ritenuto il carattere unitario ed inscindibile della complessiva opera prestata, essendo peraltro irrilevante ai fini della prescrizione l’esito delle procedure amministrative.

Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Firenze hanno proposto ricorso per cassazione gli originari attori, sulla base di cinque motivi, illustrati anche da memoria ex art. 378 c.p.c..

Non hanno svolto difese gli intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti lamentano contraddittorietà della motivazione circa un fatto decisivo quale l’unitarietà della prestazione professionale ove valutata alla luce dell’utilità delle prestazioni finalizzate ad un unitario risultato.

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 2222, 2229, 2230 e 2957 c.c. per non avere tenuto conto che le attività dei due professionisti erano finalizzate a rendere agibile l’edificio di proprietà della G. allo svolgimento dell’attività alberghiera. Aggiungono i ricorrenti che prima dell’approvazione dei progetti i professionisti non sarebbero neanche stati in grado di quantificare il loro compenso.

I primi due motivi del ricorso – che per ragioni di connessione logica vanno esaminati congiuntamente – sono in parte infondati e in parte inammissibili.

Come questa Corte ha avuto modo di affermare, “presupposto essenziale ed imprescindibile dell’esistenza di un rapporto di prestazione d’opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del suo diritto al compenso, è l’avvenuto conferimento del relativo incarico, in qualsiasi forma idonea a manifestare, chiaramente ed inequivocabilmente, la volontà di awalersi della sua attività e della sua opera, da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso. La prova dell’avvenuto conferimento dell’incarico, quando il diritto al compenso sia dal convenuto contestato sotto il profilo della mancata instaurazione di un simile rapporto, grava sull’attore e compete al giudice di merito valutare se, nel caso concreto, questa prova possa o meno ritenersi fornita, sottraendosi il risultato del relativo accertamento, se adeguatamente e coerentemente motivato, al sindacato di legittimità” (Cass. n. 2345 del 1999; Cass. n. 1244 del 2000).

Orbene, la Corte di Appello, riesaminando le risultanze probatorie che avevano indotto il giudice di primo grado ad accogliere la domanda attorea, ha rivalutato in ragione della cadenza temporale la produzione documentale allegata dai professionisti agli atti ed è giunta alla argomentata conclusione che le attività commissionate avevano comportato, quanto al geom. C., l’esecuzione di quattro distinte prestazioni, da collocare in differenti anni (1985, 1986, 1987 e 1994), ciascuna delle quali era finalizzata all’ottenimento di autonomi provvedimenti amministrativi autorizzatori. Aggiungeva che l’ing. P. era stato incaricato nel 1991 di un’unica prestazione, conclusasi con l’approvazione del progetto e la pubblicazione dello stesso nel B.U.R.T. del marzo 1996. Dunque non era stato dato alcun incarico congiunto al C. e al P., circostanza che emerge dall’autonomia delle prestazioni espletate.

Va, dunque, osservato che la corte territoriale ha ritenuto essere mancata la dimostrazione dell’avvenuto affidamento congiunto da parte della G. degli incarichi oltre che alla luce della documentazione acquisita, anche sulla scorta della natura delle attività professionali in concreto espletate da entrambi i ricorrenti.

I ricorrenti hanno formulato generiche contestazioni in ordine alla valutazione che di tale risultanza istruttoria è stata compiuta nella sentenza impugnata.

D’altra parte, il non avere la corte di merito attribuito alla allegazione delle parti secondo cui le attività dei due professionisti erano tutte finalizzate a rendere agibile l’edificio di proprietà della resistente allo svolgimento di attività alberghiera, attribuendo così il senso di conferimento di incarico complessivo alle attività de quibus, è frutto di un apprezzamento eminentemente di merito, insindacabile in questa sede se non sotto il profilo della omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione, oltre che della violazione dei canoni di ermeneutica negoziale, vizi che i ricorrenti hanno bensì denunciato, ma limitandosi a propugnare la maggiore attendibilità, rispetto a quella compiuta dal giudice di appello, della loro ricostruzione effettuata attraverso il significato da attribuire all’utilità degli incarichi conferiti. Il che però non può evidentemente costituire valida ragione di cassazione della sentenza impugnata, anche per non essere l’utilità complessiva delle prestazioni in funzione dell’unitarietà delle stesse, soprattutto là dove non si presentavano tali fin dall’origine.

Come questa Corte ha già rilevato (Cass. n. 541 del 2002), seppure in tema di compensi dei notai, si ha svolgimento di prestazioni professionali “non strettamente connesse” per quelle attività che, pur trovando occasione nella stesura di un medesimo atto, non sono necessarie ad assicurarne gli effetti ma perseguono un fine ulteriore e diverso. Ed è quanto ha affermato la sentenza impugnata.

Con il terzo mezzo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., oltre ad insufficiente motivazione, per avere il giudice distrettuale ritenuto integrata la prova della prescrizione presuntiva nonostante dalla documentazione prodotta, quale la delega del 7.2.1998 al geom. C. per il ritiro della concessione, e dalle dichiarazioni testimoniali, il teste A., figlio della G., risultasse che le prestazioni si fossero concluse nell’anno 1998.

Parimenti non è da accogliere il terzo mezzo.

Si deve osservare che la ratio della prescrizione presuntiva viene pacificamente individuata nella particolare natura dei rapporti obbligatori ai quali si applica: si tratta, infatti, almeno nella valutazione del legislatore del 1942, di rapporti rispetto ai quali l’adempimento suole avvenire senza dilazione, o comunque in tempi brevi, e senza il rilascio di quietanza scritta. Il legislatore, pertanto, sopperisce con la presunzione alla difficoltà del solvens di fornire la prova certa del proprio adempimento. Tanto premesso, in tema di prescrizione, con riferimento al corrispettivo della prestazione d’opera, il termine del diritto al compenso decorre dal giorno in cui è stato espletato l’incarico commesso (tra le varie, Cass. n. 13209 del 2006; Cass. n. 9221 del 1992; Cass. n. 3515 del 1969).

Nel caso che ci occupa il giudice di merito, tenendo presente tale principio, accertando l’autonomia dei singoli incarichi conferiti, ha affermato che la data dell’ultima prestazione, per il geom. C., era del febbraio 1994, per l’ing. P., prima del marzo 1996, per cui era maturata per entrambi la prescrizione per essere la prima richiesta di pagamento solo dell’agosto 1999.

Ciò rende priva di rilievo la critica dei ricorrenti col richiamo ad una delega rilasciata al C. il 7.2.1998 e alle dichiarazioni del teste A.. Premesso che entrambi gli elementi di giudizio attengono a questioni che non risultano affrontate dalla sentenza impugnata (con la conseguenza che i ricorrenti avrebbero dovuto indicare dove erano state dedotte per non incorrere nel giudizio di inammissibilità), la delega al ritiro dell’atto di sanatoria non risulta di per sè decisiva nel determinare una diversa data di cessazione dell’incarico, mentre la testimonianza andrebbe esaminata nella sua globalità, in quanto dallo stesso ricorso risulta che la deposizione dell’ A. comunque collocava la fine del rapporto professionale nel 1995 – 1996 (v. pag. 3 del ricorso), facendo altresì cenno all’affidamento di incarico ad altro professionista, certo geom. B..

Con il quarto ed il quinto motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 1321 e art. 1325 c.c., n. 4, oltre che dell’art. 2727 c.c., art. 1325 c.c., n. 2 e art. 1362 c.c., comma 2, nonchè omessa motivazione per avere escluso la corte territoriale la legittimazione del F., non essendo necessaria alcuna forma scritta per l’accordo. Con la ulteriore censura viene sottolineato che la corte – prescindendo completamente dalle prove assunte – non ha tenuto conto che le prestazioni erano funzionali all’attività alberghiera svolta dal F..

Gli ultimi due motivi – da trattare congiuntamente per la evidente connessione, riguardando entrambi la posizione del F. – sono inammissibili.

Essi non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata dal momento che per formale incarico la corte territoriale ha voluto sottolineare non già la necessità della forma scritta per il conferimento dell’incarico, ma l’accertata mancanza di prova dell’affidamento dell’incarico da parte del F., e la circostanza che egli fosse il gestore dell’albergo costituiva solo un elemento indiziario non suffragato da ulteriori elementi concordanti in tal senso.

L’argomentazione è frutto di un apprezzamento eminentemente di merito, insindacabile in questa sede se non sotto il profilo della violazione dei canoni di ermeneutica negoziale e tiene soprattutto in conto la univoca giurisprudenza di questa Corte (v. già, Cass. 2 giugno 2000 n. 7309) orientata nel senso che il committente di un’opera professionale, in quanto tale obbligato al pagamento del relativo compenso, non deve necessariamente essere individuato nel beneficiario della prestazione, con l’automatismo che in sostanza il ricorrente pretende, ben potendo l’incarico provenire da un estraneo o da alcuni soltanto di più soggetti interessati (come appunto nella specie, la proprietaria dell’immobile).

In conclusione il ricorso va respinto.

Nessuna pronuncia sulle spese di legittimità, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede.

PQM

 

La Corte, rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 17 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2017

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