Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16215 del 03/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 03/08/2016, (ud. 28/04/2016, dep. 03/08/2016), n.16215

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8929-2015 proposto da:

C.S. S.R.L., P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA APOLLODORO 26,

presso lo studio dell’avvocato ANTONIO FILARDI, rappresentata e

difesa dall’avvocato SALVATORE CIMINELLI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.V.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA A. BROFFERIO 7, presso lo studio dell’avvocato GIULIO

MURANO, rappresentata e difesa dall’avvocato NICOLA GULFO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 631/2014 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 11/12/2014 R.G.N. 208/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2016 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito l’Avvocato GIUFFRIDA ANTONIO per delega Avvocato CIMINELLI

SALVATORE;

udito l’Avvocato MURANO GIULIO per delega Avvocato GULFO NICOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- Con sentenza pubblicata in data 11 dicembre 2014, la Corte di Appello di Potenza ha confermato la sentenza di primo grado con cui era stata accertata la nullità del recesso intimato in data 15 settembre 2012 dalla C.S. srl nei confronti di S.V.M. in violazione del divieto di licenziamento della lavoratrice madre.

La Corte territoriale, premesso che il divieto di licenziamento della lavoratrice madre è reso inoperante, ai sensi del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 54, comma 3, lett. a) nel solo caso “di colpa grave da parte della lavoratrice”, ha ritenuto che nella specie tale colpa grave non ricorresse rispetto all’assenza dal servizio contestata alla S. al rientro al lavoro.

2.- Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso affidato a tre motivi. L’intimata ha resistito con controricorso e, con memoria ex art. 378 c.p.c., ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per cassazione per tardività, depositando altresì documenti ex art. 372 c.p.c. a sostegno di tale eccezione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3.- Pregiudizialmente deve essere delibata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione sollevata da parte controricorrente in quanto lo stesso, azionato in data 23 marzo 2015, sarebbe stato proposto ormai decorso il termine di sessanta giorni – previsto a pena di decadenza dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 62, – dalla comunicazione della sentenza di appello che si assume avvenuta in data 11 dicembre 2014.

L’eccezione non può trovare accoglimento atteso che, proprio dall’attestazione rilasciata dalla cancelleria della Corte di Appello di Potenza in data 5 aprile 2016 ed acquisita ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 1, risulta la “mancata consegna” della comunicazione telematica della sentenza qui impugnata all’indirizzo di posta elettronica dell’avv. C.S.A. procuratore in grado d’appello della C.S. Srl.

Operando dunque, in difetto di prova dell’avvenuta comunicazione, il termine dell’art. 327 c.p.c., richiamato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 61, il ricorso per cassazione è da considerarsi tempestivo.

4.- Parte ricorrente, premesso che “i motivi posti a fondamento degli appelli proposti dall’odierna società ricorrente erano e sono tutti assolutamente meritevoli di accoglimento e che la Ecc.ma Corte di Appello di Potenza nel disattenderli ha abnormemente errato”, chiede a questa Corte “con la riproposizione integrale dei medesimi… di valutarli, naturalmente alla luce della carente e/o omessa motivazione caratterizzante la sentenza pronunciata”.

Con il primo motivo del ricorso si denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 3, lett. a) in quanto nella specie “non si verte assolutamente in tema di diritti della lavoratrice madre”, in considerazione del fatto che “ciò che è stato contestato da parte del datore di lavoro e riconosciuto da parte della prestatrice d’opera… è la sua mancata presentazione sul luogo di lavoro”.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 2697 c.c. e ss. e “all’art. 112 c.c. e ss.” (così nel testo); si eccepisce che la Corte territoriale avrebbe errato a pronunciarsi in relazione alla mancata indicazione dei giorni di assenza della lavoratrice nella lettera di licenziamento, recando “il documento in esame… una vera e propria accettazione del licenziamento”.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 2697 c.c. e ss. per avere il giudice del gravame, così come quello di primo grado, “chiaramente errato nel valutare le prove testimoniali”.

5.- Il ricorso, come formulato, risulta palesemente inammissibile.

Dalla stessa “premessa argomentativa” formulata dalla ricorrente si evince che ha inteso riproporre a questa Corte i medesimi motivi di doglianza già avanzati ai giudici di appello, sotto forma di vizi di motivazione della sentenza impugnata.

Orbene, sottolineato in radice l’errore di prospettiva della ricorrente che considera il giudizio di legittimità alla stregua di una impugnazione in appello, occorre altresì evidenziare che con i motivi di ricorso, pur denunciandosi formalmente la violazione di disposizioni di legge sostanziale o processuale, nella sostanza si contesta l’accertamento operato dai giudici del merito in ordine alla insussistenza in fatto di una “colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro” di una madre nel primo anno di vita del bambino, a mente del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 54, comma 3, lett. a).

Invero, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il vizio di violazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 26.3.2010 n. 7394 e negli stessi termini Cass. 10.7.2015 n. 14468).

Nella specie con le censure la società ricorrente si duole della pretesa errata valutazione dei fatti di causa ad opera della Corte di Appello, in modo difforme dalle attese patrocinate dalla parte, sicchè si tratta di doglianze che esulano dall’ambito del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Esse, attenendo alla ricostruzione dei fatti ed alla loro valutazione, per le sentenze pubblicate, come nella specie, dal trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, è censurabile in sede di legittimità solo nella ipotesi di “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”.

Ma detto vizio non può essere denunciato per i giudizi di appello instaurati successivamente alla data sopra indicata (richiamato D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2) – come nel caso di specie di reclamo depositato il 1 aprile 2014 – con ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter c.p.c., u.c.). Ossia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme (v. Cass. n. 23021 del 2014).

La disposizione è applicabile anche al reclamo disciplinato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, commi da 58 a 60, che ha natura sostanziale di appello, dalla quale consegue la applicabilità della disciplina generale dettata per le impugnazioni dal codice di rito, se non espressamente derogata (in tal senso Cass. n. 23021 del 2014; conforme: Cass. n. 4223 del 2016).

A tale radicale inammissibilità occorre aggiungere che, con il primo motivo, non si coglie in alcun modo nè si censura adeguatamente l’effettiva ragione della decisione e che i residui mezzi di gravame sono privi della necessaria autosufficienza in quanto il secondo motivo non reca il contenuto della lettera di licenziamento ed il terzo non riporta compiutamente tutte le prove testimoniali per le quali si critica la valutazione operata dai giudici del merito.

6.- Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna alle spese della società secondo il criterio della soccombenza.

Poichè il ricorso per cassazione risulta nella specie notificato in data 23 marzo 2015 occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 4.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2016

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