Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16214 del 03/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 03/08/2016, (ud. 28/04/2016, dep. 03/08/2016), n.16214

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6638-2015 proposto da:

BALDI S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE LIEGI 7,

presso lo studio dell’avvocato MARCO CLAUDIO RAMAZZOTTI,

rappresentata e difesa dall’avvocato DANIELE BENDIA, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

B.M.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, LUNGOTEVERE DEI MELLINI 24, presso lo studio dell’avvocato

ALESSANDRO NICOLETTI, rappresentata e difesa dall’avvocato EDGARDO

VERNA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 12/01/2015 R.G.N. 554/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2016 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;

udito l’Avvocato BENDIA DANIELE;

udito l’Avvocato VERNA EDGARDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.M.A. impugnava di fronte al Tribunale di Ancona con il rito previsto dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 48 e ss. il licenziamento intimatole da Baldi s.r.l. in data 13 luglio 2013 per mancato superamento del periodo di prova. Sosteneva che il licenziamento fosse privo di giusta causa e/o giustificato motivo, considerato che il periodo di prova di tre mesi contrattualmente pattuito per iscritto era andato a scadere il 3 giugno 2013.

Baldi s.r.l. resisteva in giudizio ed argomentava che per consentire un migliore approccio della lavoratrice alle problematiche relative all’area finanziaria della quale avrebbe dovuto occuparsi, la società aveva convenuto la proroga di due mesi dell’iniziale periodo di prova. La lavoratrice, in risposta ad una mail aziendale con la quale le si rappresentava la necessità di predisporre la lettera per la proroga, si offriva di farlo ella stessa, ed in data 13 maggio 2013 la inviava per posta elettronica. Detto documento veniva sottoscritto in duplice originale dal legale rappresentante della società e consegnato alla signora affinchè vi apponesse la sua sottoscrizione e provvedesse alla relativa conservazione. Proseguito il rapporto e avendo avuto esito negativo l’esperimento, la società provvedeva a comunicare il recesso, ma veniva ad apprendere che la lavoratrice non aveva sottoscritto la proroga, e si era così artatamente procurata il consenso della società al solo fine di indurla a non comunicare da subito il mancato superamento del periodo di prova, nell’ ingenerata apparenza di un’ulteriore prosecuzione della stessa.

La Corte d’appello di Ancona, con la sentenza n. 8 del 2015, confermava la valutazione adottata in entrambe le fasi del giudizio di primo grado, ritenendo illegittimo il licenziamento e dovuta alla lavoratrice la tutela reintegratoria e risarcitoria prevista dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, comma 4. La decisione era fondata sul rilievo, ritenuto decisivo, che la proroga del patto di prova, originariamente stipulato per il periodo dal 4 marzo 2013 al 4 giugno 2013, non risultasse da atto scritto, tale forma essendo richiesta ad substantiam dall’art. 2096 c.c., comma 1. Nè poteva avere rilevanza il preteso carattere doloso della condotta della lavoratrice – che avrebbe indotto il datore di lavoro a continuare ad accettarne le prestazioni, nonostante la manifesta insoddisfazione per il grado di capacità dimostrato, con la riserva di non sottoscrivere il patto di proroga, come pure si sarebbe impegnata a fare – in quanto l’effetto di stabilizzazione del rapporto era dipeso non tanto dal mancato esercizio del recesso nel termine di prova, quanto dall’originaria costituzione del rapporto. Neppure poteva avere rilievo la richiamata exceptio doli generalis, in quanto essa avrebbe potuto configurarsi solo rispetto all’impugnativa del licenziamento, ma non in ordine alla perdurante efficacia del rapporto di lavoro validamente costituito. Riteneva inoltre corretta l’applicazione effettuata dal primo Giudice della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, comma 4, in quanto nel caso ricorreva un’ipotesi di insussistenza del fatto addotto come giustificato motivo soggettivo, e non di mancanza solo formale della motivazione.

Per la cassazione della sentenza Baldi s.r.l. ha proposto ricorso, affidato a 17 motivi, Illustrati anche con memoria ex art. 378 c.p.c., cui ha resistito con controricorso B.M.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I motivi di ricorso possono essere cosi riassunti:

1.1. Con il primo, la parte ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2096 c.c., comma 1, dell’art. 1350 c.c., n. 13 dell’art. 12 disp. gen., comma 1 e dell’art. 18, comma 4 dello Statuto dei lavoratori. Lamenta che la Corte d’appello abbia aderito alla tesi secondo la quale la forma scritta richiamata dall’art. 2096 c.c. per il patto di assunzione in prova è richiesta ad substantiam, tesi della quale chiede la riconsiderazione.

1.2. Come secondo motivo, lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, dell’art. 230 c.p.c., commi 1 e 2 con riferimento alla previsione di cui all’art. 2096 c.c., comma 1 e dell’art. 18, comma 4 dello Statuto dei lavoratori. Sostiene che dovendosi ritenere che la forma scritta per il periodo di prova sia posta ad probationem, non potesse essere pretermessa la richiesta di ammissione di interrogatorio formale della ricorrente formulata in sede di reclamo in ordine alla manifestazione del consenso alla proroga del patto di prova.

1.3. Come terzo motivo, la società deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 1427 c.c., dell’art. 1439 c.c., comma 1, dell’art. 1321 c.c. e dell’art. 18, comma 4 dello Statuto dei lavoratori. Lamenta che la Corte d’appello non abbia valorizzato la circostanza che la società Baldi s.r.l. avesse acconsentito alla prosecuzione del rapporto negoziale in ragione della promessa da parte della B. della sottoscrizione della proroga del patto di prova, condotta idonea a trarre in inganno la società sulla prestazione del consenso alla proroga stessa, con invalidazione di ogni vincolo negoziale.

1.4. Come quarto motivo, deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’omessa pronunzia in punto di denunziata violazione o falsa applicazione dell’art. 1427 c.c. e dell’art. 1429 c.c., nn. 1 e 2 e dell’art. 1321 c.c. e dell’art. 18, comma 4 dello statuto dei lavoratori. Lamenta che la Corte d’appello non si sia pronunciata sulla domanda di annullamento del contratto di lavoro per errore essenziale e riconoscibile, domanda che era stata formulata in sede di ricorso in opposizione.

1.5. Come quinto motivo, deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 1359 c.c., art. 1360 c.c., comma 2, del combinato disposto degli artt. 1175 – 1375 c.c.. e dell’art. 18, comma 4 dello Statuto dei Lavoratori e lamenta che la Corte territoriale non abbia considerato la valenza del patto di prova come condizione risolutiva, considerato che se la società non fosse stata tratta in inganno avrebbe sicuramente comunicato il mancato superamento della prova nell’originario termine.

1.6. Come sesto motivo, deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’omessa pronuncia sulla denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c., comma 3 e dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, in relazione agli artt. 1175, 1375, 1321, 2043, 2058 c.c..

1.7. Come settimo motivo, deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 18, comma 4 dello statuto dei lavoratori, dell’art. 2 Cost. e degli artt. 1175, 1366, 1375, 1439 e 2043 c.c. e lamenta che il giudice d’appello non abbia saggiato la perdurante rilevanza dell’ingannevole condotta della lavoratrice nella fase esecutiva del rapporto ed il suo risvolto processuale che escludeva la reintegrazione del rapporto di lavoro, stabilizzatosi in ragione del supposto superamento del periodo di prova indotto dall’apparente concessa proroga della stessa.

1.8. Come ottavo motivo, deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 in punto di mancanza di motivazione su un motivo di reclamo, per violazione dell’art. 112 c.p.c. nonchè violazione dell’art. 18, comma 4 dello statuto dei lavoratori in relazione alla violazione o falsa applicazione dell’art. 2 Cost. e degli artt. 1175, 1375, 1439 e 2043 c.c. in riguardo alla formulata excepio doli generalis. Sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto motivare sul rilievo che assume nel nostro ordinamento il precetto di buona fede che deve informare la condotta delle parti deve e guidare la verifica giudiziale dei comportamenti da esse tenuti.

1.9. Con i motivi dal 9 al 12, la società ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. ed omessa pronunzia in ordine alla richiesta di interrogatorio formale e prova testimoniale riferite alla fattispecie di dolo determinante ex art. 1427 c.c., art. 1439 c.c., comma 1, art. 1321 c.c., di errore essenziale e riconoscibile ex art. 1429, nn. 1 e 2, art. 1321 c.c., di finzione di avveramento della condizione ex art. 1359 c.c., di illiceità della condotta ex art. 2043-2058 c.c., di exceptio doli generalis ex art. 2 Cost. ed ex artt. 1175, 1375, 1439 e 2043 c.c. Sostiene che la positiva conferma delle circostanze fattuali dedotte avrebbe confortato gli assunti della Baldi s.r.l. quantomeno rendendo certa la ricorrenza dell’ingannevole condotta della lavoratrice volta far apparire la prestazione del consenso alla proroga del periodo di prova.

1.10. Come 13^ motivo, lamenta violazione o falsa applicazione dei commi sesto e quarto dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Lamenta che la Corte d’appello abbia negato l’applicabilità della previsione di cui all’art. 18, comma 6 statuto dei lavoratori, in ragione di una supposta inesistenza del motivo di licenziamento (mancato superamento del periodo di prova), senza ammettere la società a dedurre e comprovare la concreta sussistenza del fatto o dei fatti che hanno determinato il licenziamento, sanzionati con la sola indennità risarcitoria, con esclusione della tutela reintegratoria.

1.11. Come 14 motivo, deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’omessa pronunzia in ordine alla richiesta di interrogatorio formale riferito alle dedotte violazione dell’art. 18, commi 6 e 4 Statuto dei lavoratori. Lamenta che la Corte d’appello non abbia valutato la censure afferenti l’omessa valutazione delle incapacità lavorative e delle inadempienze contrattuali della B., risultanti dalla richiesta di ammissione di interrogatorio formale.

1.12. Come 15, 16 e 17 motivo, lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, dell’art. 230 c.p.c., commi 1 e 2 in ordine alla mancata ammissione dell’interrogatorio formale e della prova testimoniale dedotti al fine di dimostrare le incapacità lavorative e le inadempienze contrattuali della B., la cui positiva conferma avrebbe resa certa l’esistenza di fatti idonei ad avvalorare l’irrogato licenziamento e ad autorizzare (al più) la sola tutela risarcitoria “debole”, in ragione dell’ipotetica inadeguatezza (o oggettiva non apprezzabilità) dell’apparato motivazionale dell’intimato licenziamento.

2. Il ricorso non è fondato, per le ragioni che si vanno ad illustrare.

2.1. Il primo ed il secondo motivo sono contraddetti dall’orientamento consolidato di questa Corte, applicato dalla Corte territoriale e che non viene revocato in dubbio dalle argomentazioni della parte ricorrente, secondo il quale la forma scritta, necessaria a norma dell’art. 2096 c.c. per il patto di prova, è richiesta “ad substantiam”, e tale essenziale requisito di forma, la cui mancanza comporta la nullità assoluta del patto di prova, deve sussistere sin dall’inizio del rapporto, senza alcuna possibilità di equipollenti o sanatorie (Cass. n. 21758 del 22/10/2010, n. 22308 del 26/11/2004, n. 21698 del 10/10/2006). Nel caso, la forma scritta difettava, considerato che nella stessa prospettazione della società, la lavoratrice si limitò a predisporre il documento di proroga del patto di prova, inviandolo poi per posta elettronica alla società, senza sottoscriverlo.

2.2. In merito alle questioni poste nel seconde; terzo e settimo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, la Corte territoriale ha rilevato che l’asserito dolo nel carpire la proroga del patto di prova non avrebbe comunque potuto avere l’effetto di invalidare la costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, cui le parti erano consensualmente addivenute, considerato che la volontà di modificare le condizioni originarie del rapporto mediante la proroga del termine della prova era rimasta allo stato di mera intenzione, non espressa in termini giuridici tali da poterne determinare l’annullamento.

La soluzione è corretta.

Questa Corte ha chiarito che a norma dell’art. 1439 c.c., il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati siano stati tali che, senza di essi, l’altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso per la conclusione del contratto, ossia quando, determinando la volontà del contraente, abbiano ingenerato nel “deceptus” una rappresentazione alterata della realtà, provocando nel suo meccanismo volitivo un errore da considerarsi essenziale ai sensi dell’art. 1429 c.c.. Ne consegue che a produrre l’annullamento del contratto non è sufficiente una qualunque influenza psicologica sull’altro contraente, ma sono necessari artifici o raggiri, o anche semplici menzogne, che abbiano avuto comunque un’efficienza causale sulla determinazione volitiva della controparte e, quindi, sul consenso di quest’ultima.

Occorre poi ribadire che il patto di prova costituisce un elemento accidentale del contratto, che non sussiste nè può produrre effetto se non è espressamente previsto dalle parti nel contratto individuale; a mente dell’art. 2096 c.c., poi, scaduto il termine di durata della prova, ciascuna parte può recedere dal rapporto, divenendo in caso contrario definitiva l’assunzione.

La “stabilizzazione” del rapporto a tempo indeterminato non è quindi derivata nel caso dalla mancata sottoscrizione della proroga del patto di prova, in tesi della parte ricorrente oggetto del raggiro, ma dalla stipulazione iniziale del contratto di lavoro e dal mancato esercizio del tempestivo recesso della società, alla scadenza del primo periodo di prova ritualmente convenuto, con l’accettazione della prestazione lavorativa da parte della società.

Correttamente la Corte ha quindi ritenuto l’asserito dolo non rilevante nel senso voluto dalla società, in quanto esso non avrebbe inciso sulla determinazione volitiva che ha determinato la stipulazione del contratto di lavoro o l’individuazione dei suoi elementi essenziali, ma sul mancato perfezionamento di un elemento accidentale dello stesso.

2.3. Il quarto e quinto motivo non sono fondati, in quanto correttamente la Corte ha ritenuto che la mancata sottoscrizione del patto di prova ne escludesse in radice l’esistenza, per cui neppure rileva la configurazione dello stesso come condizione ai fini previsti dall’art. 1359 c.c..

2.4. Con il sesto motivo vengono riproposte le argomentazioni già formulate nel giudizio di merito, che ritengono di poter applicare alla fattispecie l’istituto della rimessione in termini di cui all’art. 153 c.p.c., afferente la disciplina processuale ed avente diversi presupposti, che la Corte ha implicitamente rigettato laddove ha affermato l’irrilevanza del riferito dolo.

2.5. L’ottavo motivo è infondato.

La Corte ha esaminato l’eccezione di “exceptio doli generalis seu praesentis”, che trova fondamento nella circostanza che l’attore, nell’avvalersi di un diritto di cui chiede tutela giudiziale, si renda colpevole di frode, in quanto tace, nella prospettazione della fattispecie controversa, situazioni sopravvenute alla fonte negoziale del diritto fatto valere ed aventi forza modificativa o estintiva del diritto stesso (Cass. n. 6896 del 20/03/2009). Nel caso, la circostanza che la lavoratrice abbia sottaciuto nella propria prospettazione dei fatti la vicenda relativa alla proroga del patto di prova è stata correttamente ritenuta dalla Corte territoriale non rilevante, in quanto tale vicenda non era decisiva ai fini estintivi o modificativi del diritto fatto valere in giudizio.

2.6. La ritenuta non decisività dell’affidamento che il datore di lavoro riponeva nella proroga del patto di prova costituisce la motivazione che ha indotto la Corte territoriale a non ammettere le prove dedotte sulla circostanza, dal che consegue l’infondatezza dei motivi dal 9 al 12.

2.7. I motivi dal 13 al 17, che devono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, impongono di valutare quali siano le conseguenze del licenziamento intimato per mancato superamento del periodo di prova quando il relativo patto non sia stato validamente apposto.

Questa Corte nella sentenza n. 5404/13 ha confermato una pronuncia della Corte di merito che aveva dichiarato la nullità del patto di prova per mancata specificazione delle mansioni che avrebbe dovuto svolgere il lavoratore, con conseguente conversione in via definitiva dell’assunzione sin dal suo inizio. Da ciò era derivato, si legge nella sentenza, che il licenziamento, basato esclusivamente sul mancato superamento del periodo di prova, era stato correttamente ritenuto dal giudice di merito illegittimo per mancanza di giusta causa o giustificato motivo.

A tale soluzione questo Collegio intende dare continuità, ritenendo che il licenziamento intimato a motivo del mancato superamento della prova quando non sussista un valido patto in tal senso, sia viziato sotto il profilo dell’inidoneità della causale addotta a giustificazione del recesso. Occorre infatti ribadire che il recesso per mancato superamento della prova si iscrive nell’eccezionale fattispecie di recesso ad nutum di cui all’art. 2096 c.c., esentato dall’applicabilità dell’ordinaria disciplina di controllo delle ragioni del licenziamento; il licenziamento, posto al di fuori di tale area, è invece normalmente soggetto alla verifica giudiziale della sussistenza, o meno, della giusta causa o del giustificato motivo (Cass. n. 17045 del 19/08/2005). In tale ambito, tuttavia, il richiamo al mancato superamento della prova è totalmente inidoneo a costituire giusta causa o giustificato motivo, ed il vizio è tale da determinare l’applicazione della tutela reintegratoria e risarcitoria, che è stata prevista dalla L. n. 300 del 1970, nuovo art. 18, comma 4 come modificato dalla L. n. 92 del 2012, applicabile ratione temporis – per le ipotesi più evidenti di discostamento del recesso dalle relative fattispecie legittimanti.

2.8. La soluzione adottata dalla Corte territoriale è quindi corretta, avendo applicato gli esposti principi. Parimenti corretta è la mancata ammissione delle prove tendenti a dimostrare specifici inadempimenti in cui sarebbe incorsa la lavoratrice nell’espletamento della prestazione: tali inadempimenti infatti, peraltro neppure tempestivamente contestati, avrebbero potuto integrare una ragione giustificativa del recesso (il giustificato motivo soggettivo o la giusta causa) ontologicamente diversa ed eterogenea rispetto al mancato superamento della prova formalmente invocato nella motivazione del licenziamento, regolato da diversa disciplina ed ancorato a diversi presupposti, che attengono al complessivo esito negativo dell’esperimento con riguardo al comportamento ed alle qualità professionali del lavoratore (Corte Cost. n. 189 del 1980), anche a prescindere dalla sussistenza di specifiche condotte addebitabili.

3. Segue il rigetto del ricorso e la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.

Il rigetto integrale del ricorso determina la sussistenza dei presupposti previsti dal primo periodo del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il raddoppio del contributo unificato dovuto per il ricorso stesso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento in solido delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 100,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2016

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