Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16212 del 03/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 03/08/2016, (ud. 20/04/2016, dep. 03/08/2016), n.16212

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

su ricorso 18565-2013 proposto da:

C.F., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO CROCETTA, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

PLASTIC AND COMPONENTS MODULES AUTOMOTIVE S.P.A., P.I. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, domicilia Li in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI SALLUSTRI,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1191/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 09/03/2013 r.g.n. 5141/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/01/2016 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udite il P.M. in persona dei Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con sentenza n. 1191/2013, depositata 1’8/3/2013, la Corte di appello di Napoli, in accoglimento del gravame della Plastic Components and Modules Automotive S.p.A. e in riforma della sentenza del Tribunale di Napoli, respingeva la domanda di C.F. volta ad ottenere – in relazione all’attività di capo turno, responsabile di una squadra addetta alla sicurezza aziendale – il superiore inquadramento nel 5^ livello del CCNL per i dipendenti delle aziende metalmeccaniche – industria, in luogo del 4^ livello attribuitogli dalla società.

La Corte osservava che gli elementi connotanti il superiore inquadramento rivendicato, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado, dovevano essere identificati non nel controllo e nel coordinamento di un gruppo di altri lavoratori, comune anche alla declaratoria del 4^ livello, ma nell’attribuzione di “un certo potere di iniziativa per la condotta ed i risultati delle lavorazioni”, come da previsione contenuta nella declaratoria del 5^ livello: potere di iniziativa che peraltro non aveva formato oggetto di allegazione e di prova da parte del ricorrente e del quale non vi era comunque traccia nel materiale di prova acquisito al giudizio.

La Corte osservava, inoltre, che alla stregua del CCNL del 1999 i lavoratori con compiti di sorveglianza del patrimonio aziendale, in quanto inseriti tra gli addetti alle mansioni discontinue, risultavano inquadrati nel 3 livello, con la precisazione a verbale che le parti sociali, formulando tale previsione contrattuale (art. 28), non avevano inteso incidere sulle situazioni di fatto (come quella dei capiturno) che in relazione allo svolgimento di particolari compiti fruissero di una classificazione più favorevole; con la conseguenza che, anche sotto tale profilo, era da ritenersi che la domanda del ricorrente fosse Infondata, l’attività dallo stesso prestata apparendo riconducibile a tale previsione piuttosto che ad un’attività di tipo propriamente produttivo quale delineata (attraverso il riferimento al potere di iniziativa per la condotta e per i risultati della lavorazioni) dall’invocato 5^ livello.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il C. con quattro motivi; la società ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del CCNL Metalmeccanici Industria e della normativa aziendale integrativa, deducendo che la Corte aveva errato nel valutare i criteri di attribuzione del 5 livello, trascurando di esaminare, come peraltro necessario, la relativa previsione contrattuale unitamente alla regolamentazione aziendale; ciò che l’avrebbe portata a ritenere, in contrasto con le conclusioni raggiunte, la sussistenza, per i capi-turno, di un margine di autonomia funzionale e di quel potere di iniziativa, durante il servizio notturno (in assenza del capo-ente), che invece aveva ritenuto di escludere.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., con conseguente vizio di motivazione, avendo la Corte valutato gli elementi di prova (documentale e testimoniale) offerti dal lavoratore in modo omissivo, insufficiente e contraddittorio su un punto decisivo della controversia e cioè sul potere di iniziativa esercitato dal ricorrente in qualità di capoturno.

Con il terzo motivo il C. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., con conseguente vizio di motivazione, per inesatta e mancata valutazione congiunta e complessiva, da parte della Corte di appello, dei singoli elementi di prova raccolti (sia documentali che testimoniali).

Con il quarto motivo, riepilogativo dei precedenti, è dedotta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia.

Il ricorso deve essere respinto.

Il secondo, il terzo e il quarto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, risultano inammissibili.

Essi, infatti, si sostanziano nella denuncia di un vizio di motivazione secondo lo schema normativo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 nella versione anteriore alla modifica introdotta con il decreto L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, pur In presenza di sentenza di appello depositata in data 8/3/2013 e, pertanto, in data posteriore all’entrata in vigore della modifica (11 settembre 2012).

Come precisato da questa Corte a Sezioni Unite con le sentenze 7 aprile 2014 n. 8053 e n. 8054, l’art. 360 n. 5 c.p.c., così come riformulato a seguito della novella legislativa, configura un vizio specifico denunciabile per tassazione, costituito dall’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (e cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente è tenuto ad indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Nella specie, risulta che i fatti, in relazione ai quali il ricorrente, con i motivi in esame, censura la sentenza impugnata, e in particolare l’esercizio del potere di iniziativa, hanno formato oggetto di specifica valutazione da parte della Corte di appello di Napoli, come risulta chiaramente dalla motivazione della sentenza (pp. 5-6); nè il ricorrente ha ottemperato in alcun modo agli oneri di deduzione richiesti dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come precisati dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata.

Il primo motivo non è conferente.

Esso, infatti, censura unicamente quella parte della motivazione della sentenza che tratta, escludendolo, dell’esercizio da parte del lavoratore di “un certo potere di iniziativa per la condotta ed i risultati delle lavorazioni” ma non anche la successiva parte della sentenza (pp. 6-7), nella quale la Corte di appello di Napoli esprime una seconda e autonoma ragione decisoria, osservando come gli addetti alle mansioni discontinue, tra cui i lavoratori con compiti di vigilanza o di sorveglianza del patrimonio aziendale, fossero contrattualmente inquadrati al 3 livello, fatta salva (come da precisazione a verbale), per i “portieri, capiturno e fattorini”, l’attuale fruizione di “una classificazione più favorevole”: ciò che porta la Corte territoriale a rilevare che “anche sotto tale profilo, espressamente prospettato dalla convenuta ma non esaminato dal primo giudice, deve pertanto ritenersi che la domanda attorea sia infondata in quanto l’attività prestata dall’istante appare riconducibile a tale previsione contrattuale piuttosto che ad un’attività di tipo propriamente produttivo alla quale sembra invece riferirsi la previsione inquadramentale invocata nel ricorso introduttivo (come infatti sopra visto caratterizzata da un certo potere di iniziativa per la condotta ed i risultati delle lavorazioni)”.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per Il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2016

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