Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16211 del 03/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 03/08/2016, (ud. 20/04/2016, dep. 03/08/2016), n.16211

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16327-2013 proposto da:

Q.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA LEA PADOVANI 69, presso lo studio dell’avvocato MAURILIO

PIACENTI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVAMBATTISTA

MURANO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE EUROPA 190, presso lo studio dell’avvocato DORA DE ROSE,

dell’AREA LEGALE TERRITORIALE CENTRO DI POSTE ITALIANE,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANDREA AMBROZ, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 225/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 05/04/2013 r.g.n. 220/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/04/2016 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito l’Avvocato MURANO GIAVAMBATTISTA;

udito l’Avvocato CLAVELLI ROSSANA per delega verbale Avvocato AMBROZ

ANDREA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per: improcedibilità o

inammissibilità o rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 225/2013, depositata il 5 aprile 2013, la Corte di appello di Bologna, in accoglimento del gravame di Poste Italiane S.p.A. e in riforma della sentenza del Tribunale di Bologna, respingeva la domanda di Q.G. diretta ad ottenere la dichiarazione di illegittimità della trattenuta della Posizione Economica Differenziata (P.E.D.) operata dalla società nell’ottemperare alla sentenza del Tribunale di Bologna n. 290/2003 in data 8 aprile 2003, che gli aveva riconosciuto il diritto all’inquadramento, a decorrere dal 15/2/1995, nel profilo professionale dell’Area Quadri di 1 livello.

La Corte di appello osservava come tale voce retributiva non competesse ai quadri Q1 professionali, alla stregua di quanto previsto dall’art. 4 CCNL del 1997 per i dipendenti di Poste Italiane, e che essa, decorrendo l’inquadramento in detto profilo dal 15/2/1995, e cioè da epoca anteriore alla sua erogazione, era stata ricevuta sine titulo; osservava inoltre come il diritto ad ottenere la restituzione delle somme decurtate non potesse sorgere nè In virtù delle disposizioni interne richiamate nell’atto introduttivo, nè in virtù del principio di irriducibilità del trattamento economico o della norma di cui all’art. 2126 c.c., essendosi in presenza di erogazione priva di titolo giustificativo.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il Q. con quattro motivi; la società ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i motivi proposti, denunciando violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 il ricorrente censura la sentenza impugnata: 1) quanto al primo motivo, nella parte in cui ritiene che l’emolumento “non avrebbe mai dovuto essere erogato e risulta ricevuto sine titulo”, posto che esso era stato invece correttamente attribuito in forza dei requisiti posseduti dal lavoratore, alla stregua delle previsioni dell’art. 4 Parte Economica del CCNL per il personale dipendente dell’Ente Poste Italiane per il biennio 1996-1997, e che l’esistenza del titolo, In base al quale la corresponsione era avvenuta, non era mai venuta meno; 2) quanto al secondo motivo, nella parte in cui, facendo richiamo alla Circolare n. 25 del 2/8/1995, rileva che questa “si riferisce al passaggio tra la posizione iniziale e la seconda posizione all’interno del livello professional; nella specie il passaggio è stato dal primo livello a quello superiore professional all’interno dell’area Q1”, atteso che il passaggio del ricorrente (a Q1 professionale, secondo quanto stabilito dalla sentenza n. 290/2003) era avvenuto comunque all’interno dell’area Q1, con la conseguenza che doveva trovare applicazione l’art. 4, comma 6 CCNL secondo cui i benefici economici da esso previsti sarebbero stati “riassorbiti solo in caso di passaggio di area funzionale”; 3) quanto al terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui afferma che “il principio di irriducibilità postula che si tratti di emolumento corrisposto, ratione temporis, legittimamente non, come nella specie, sine titulo”, non essendo contestato, neppure da Poste Italiane, che l’emolumento fosse stato legittimamente percepito dal dipendente e che esso, pertanto, costituisse l’oggetto di un diritto indifferente alle successive modifiche del rapporto; 4) con riferimento Infine al quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza anche laddove essa reputa non conferente il richiamo all’art. 2126 c.c. sul rilievo che “trattasi di somme erogate sine titolo”, riproponendo le osservazioni già svolte con il primo e il terzo motivo. Il ricorso è inammissibile.

Come più volte ribadito da questa Corte in tema di contenuto del ricorso e, in particolare, di definizione dei canoni cui deve attenersi il ricorrente nell’esposizione dei motivi, è necessario che questi, a pena di inammissibilità dell’atto, presentino i requisiti della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione impugnata, in modo da assicurare che il ricorso consenta l’Immediata individuazione delle questioni da risolvere e delle ragioni per cui viene richiesto l’annullamento della sentenza impugnata.

Il ricorso in esame, al contrario, si limita a indicare, in relazione a tutti i motivi proposti, il vizio di violazione o falsa applicazione di “norme di diritto” (così a pag. 8; in precedenza, a pag. 4, con analoga genericità, anche “dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro”), lasciando così Indefinita la questione se la denuncia comprenda anche la seconda categoria normativa (le considerazioni svolte In memoria sul tema della improcedibilità del ricorso sembrerebbero escluderlo) e comunque senza specificare, per ciascun motivo, quale norma di diritto, e/o di fonte collettiva, dovrebbe ritenersi violata (o falsamente applicata) dalla sentenza di secondo grado, la quale, in sostanza, è fatta oggetto, nelle sue varie parti, di un ragionamento di tipo lato sensu confutatorio che non appare rispondente allo schema di un’impugnazione a critica vincolata e alla funzione determinativa e limitativa del relativo ambito propria dei motivi di ricorso per cassazione.

E’ inoltre da rilevare che il ricorso isola dal contesto motivazionale, con ciascuno dei motivi in cui si articola, singole proposizioni della sentenza impugnata, ma lascia integra proprio quella parte di essa in cui la Corte di appello prende in esame l’art. 4 del CCNL per trarne, in primo luogo, la conclusione che la P.E.D., ai sensi di detta norma, non compete ai Q1 professionals, con le ulteriori conseguenze che: a) “non viene, quindi, in rilievo la fattispecie dell’assorbimento (che postulerebbe una legittima erogazione che si riveli non più tale successivamente), posto che la p.e.d. era stata attribuita dall’1.7.97 e l’inquadramento nel predetto primo livello “professione era operato ex tunc con effetto dal 15.2.95 e, quindi, precedentemente”; b) il predetto emolumento “non avrebbe mai dovuto essere erogato e risulta ricevuto sine titulo” (proposizione, questa,che costituisce l’oggetto del primo motivo e peraltro previa la sua disarticolazione dal più ampio contesto logico, essendo stata estratta dal piano consequenziale In cui si colloca e fatta vivere di vita propria).

Ne deriva che il ricorso evita, nella sostanza, di confrontarsi con l’art. 4 citato e con la lettura che di esso ha ritenuto di dare la Corte territoriale, e cioè in definitiva con la ratio decidendi posta a fondamento delta statuizione adottata, risultandone confermata, anche sotto tale profilo, la inammissibilità.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

la Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit., art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2016

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