Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1621 del 23/01/2018


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 1621 Anno 2018
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso 10350-2015 proposto da:
BANCA IMI S.p.A. in persona del legale rappresentante
pro tempore, COLELLA ANTONIO, MAZZARELLO MASSIMO,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEL CONSOLATO,
6, presso lo studio dell’avvocato ANDREA GALANTE, che
li rappresenta e difende unitamente all’avvocato
MASSIMO SERRA;
– ricorrenti contro

CONSOB – COMMISSIONE NAZIONALE PER LA SOCIETÀ E LA
BORSA,

in

persona

del

Presidente

e

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata

Data pubblicazione: 23/01/2018

in ROMA, presso la propria sede VIA GIOVANNI BATTISTA
MARTINI 3, rappresentata e difesa dagli avvocati
SALVATORE PROVIDENTI, ELISABETTA CAPPARIELLO e
GIANFRANCO RANDISI;
– controricorrente nonchè contro

MILANO;
– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di MILANO,
depositato il 14/10/2014, R.G.n. 448/2014, Cron.n.
3945/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/10/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO
ORILIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso per
il rigetto del ricorso;
udito

l’Avvocato MASSIMO

SERRA,

difensore

della

ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato ELISABETTA CAPPARIELLO, difensore del
controricorrente,
ricorso.

che ha chiesto il rigetto del

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI

RITENUTO IN FATTO
1 Con decreto 14.10.2014 la Corte d’Appello di Milano ha respinto
il ricorso in opposizione proposto dalla Banca I.M.I. spa e dai suoi
esponenti aziendali dott.ri Antonio Colella e Massimo Mazzarello contro
la delibera Consob n. 17612 del 29.12.2010 con cui agli ultimi due era
stata applicata la sanzione di C. 50.000 per ciascuno per violazione del

Regolamento adottato con delibera Consob 11971/1999 (testo vigente
ratione temporis) mentre alla Banca, come soggetto responsabile in
solido era stato ingiunto, ai sensi dell’art. 195 comma 9 DLGS n.
58/1998, il pagamento della sanzione di C. 100.000,00. La
contestazione e il conseguente trattamento sanzionatorio si riferivano ad
un illecito commesso in occasione dell’offerta di sottoscrizione e vendita
di azioni della Omnia Network spa svoltasi tra il 12 e il 22.2.2007 nel
corso della quale non erano stati rappresentati, nel prospetto
informativo, i rischi derivanti dalla criticità sussistenti nel Sistema di
Controllo di gestione (SCG) dell’emittente società Omnia Network spa.
Per giungere a tale conclusione, la Corte milanese, per quanto
ancora interessa in questa sede:
– ha disatteso la doglianza con cui si deduceva l’illegittimità del
provvedimento emesso all’esito di un procedimento protrattosi oltre i
360 giorni prescritti dalla Delibera Consob n. 12697 del 2000 attuativa
dell’art. 2 I. 241/1990;
– ha analizzato sia il panorama normativo in tema di quotazione in
borsa e predisposizione dell’offerta pubblica di vendita e sottoscrizione
delle azioni, sia la documentazione in atti ed ha ritenuto che, per la
peculiare natura del controllo demandato al responsabile del
collocamento autore della attestazione di conformità del prospetto
informativo, i ricorrenti non potessero ritenersi esenti da negligenza,
contrariamente a quanto da essi sostenuto, perché la Banca, prima di
rilasciare l’attestato, avrebbe dovuto verificare in concreto l’avvenuta

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DLGS n. 58/1998 art. 95 comma 1 lett. a) e 5 comma 4 del

eliminazione dei fattori di rischio emersi in occasione dei controlli svolti
dalla apposita società di revisione;
– ha considerato il Colella e il Mazzarello destinatari della norma
sanzionatoria disattendendo le argomentazioni difensive tendenti a
dimostrare che essi, al pari della Banca, non potevano identificarsi come
responsabili del collocamento.

la Banca che i predetti esponenti aziendali sulla base di due censure
precedute da una richiesta di rimessione degli atti alla Corte
Costituzionale.
Resiste con controricorso la Commissione Nazionale per le Società
e la Borsa – CONSOB.
Le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 Come accennato in narrativa, il ricorso pone innanzitutto un

problema di legittimità costituzionale. La norma sospettata è l’art. 195
commi 4,5,6,7 del Dlgs n. 58/1998 (T.U.F.) per contrasto con l’art. 6
della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo in relazione agli artt.
117 comma

1 della Costituzione, con l’art. 3 della Costituzione in

relazione all’art. 6 del Dlgs n. 150/2011, nonché per manifesta
irragionevolezza della disciplina speciale.
Attraverso una quadruplice articolazione argomentativa, i
ricorrenti sottolineano:
a) la natura penale delle sanzioni Consob e quindi l’applicabilità

dell’art. 6 della Convezione Europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo, soffermandosi in particolare sulla pronuncia della CEDU
4.3.414 (Grande Stevens e altri/Italia); richiamano in proposito anche le
pronunce della Corte Costituzionale sulle sanzioni amministrative
qualificate come penali dalla Corte Europea e traggono la conclusione
che il giudice adito in sede di opposizione deve sollevare la questione di
legittimità costituzionale della legge italiana contrastante con l’art. 6
della Convenzione rispetto all’art. 117 della Costituzione;

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2 Contro tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione sia

b)

l’incostituzionalità del procedimento in camera di consiglio

previsto per l’opposizione davanti alla Corte d’Appello perché non
garantisce la parità di armi tra accusa e difesa, né la piena tutela del
diritto al contraddittorio e alla prova;
c) la disparità di trattamento e quindi la violazione del principio di
uguaglianza che si verifica nel procedimento camerale in unico grado

opposizione disciplinata dall’art. 6 del DLgs n. 150/2011, procedimento
a

cognizione

piena

ed

esauriente

e

caratterizzato

dalla

predeterminazione delle forme processuali e dei poteri delle parti e del
giudice;
d) la carenza di garanzie che presenta il rito camerale in unico
grado e al riguardo, per sostenere la non manifesta infondatezza della
questione, richiamano le precedenti ordinanze di rimessione delle Corti
di Appello di Genova e Firenze che legittimerebbero, in ogni caso, la
sospensione del presente procedimento in attesa del pronunciamento
della Corte Costituzionale.
Ritiene il Collegio che la richiesta dei ricorrenti non possa trovare
accoglimento sotto nessuno dei profili evidenziati perché
manifestamente infondata ed irrilevante per le ragioni appresso indicate.
a a) Premesso che la sentenza CEDU intervenuta sul caso Grande

Stevens è stata resa nell’ambito di una vicenda riguardante le sanzioni
irrogate dalla CONSOB ai sensi dell’art. 187 ter TUF, in un caso di
“manipolazione del mercato” (vicenda, quindi, ben diversa rispetto a
quella oggetto del presente giudizio), rileva il Collegio che per
giurisprudenza costante, le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate
dalla CONSOB ai sensi dell’art. 190 del d.lgs. n. 58 del 1998 (cd. TUF)
non sono equiparabili, quanto a tipologia, severità, incidenza
patrimoniale e personale, a quelle inflitte ai sensi dell’art. 187-ter del
TUF per manipolazione del mercato, sicché non hanno la natura
sostanzialmente penale che appartiene a queste ultime, né pongono un
problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali

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davanti alla Corte d’Appello di cui all’art. 195 TUF rispetto alla

dall’art. 6 CEDU, in particolare quanto alla violazione del

“ne bis in

idem” tra sanzione penale ed amministrativa comminata sui medesimi
fatti (v. Sez. 2, Sentenza n. 8855 del 05/04/2017 Rv. 643735; cfr.
Cass. Sez. 1, 30/06/2016, n. 13433; Cass. Sez. 1, 02/03/2016, n.
4114; Cass. Sez. 2, 24/02/2016, n. 3656, tutte in rapporto a Corte
europea dei diritti dell’uomo, sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e

Tale principio – che oggi va senz’altro ribadito – si applica a
maggior ragione nel caso in esame, relativo ad una sanzione pecuniaria
irrogata “ai sensi dell’art. 191 comma 2 del Dlgs 24 febbraio 1988 n.
58” (lo dichiarano gli stessi ricorrenti a pag. 3) e quindi addirittura più
favorevole rispetto a quella prevista dall’art. 190.
La norma di diritto interno applicata nel caso di specie è dunque
norma sostanziale contemplante un mero illecito amministrativo. Donde,
in mancanza di espressa disposizione di legge, resta immune dai riflessi
di principi dettati in materia di norme penali sostanziali, posto che un
concetto della “natura penale” di una disposizione di diritto interno
sarebbe esso in stridente relazione di incompatibilità col sistema
costituzionale italiano, in cui la nozione di illecito penale è astretta dal
criterio di legalità formale (art. 25 cost.). In altre parole, i principi
convenzionali declinati dalla citata sentenza

Grande Stevens vanno

considerati nell’ottica del giusto processo, ma non possono portare a
ritenere sempre sostanzialmente penale una disposizione qualificata
come amministrativa dall’ordinamento interno. Ed è questo che vale a
escludere la rilevanza della questione di legittimità costituzionale involta
dallo strumento di cui all’art. 117 cost. (v. Cass. Sez. 4114/2016 cit. in
motivazione).
b-b) Quanto alle critiche sul rito camerale, è sufficiente osservare

che davanti alla Corte d’Appello il procedimento è stato trattato in
udienza pubblica e lo si ricava non solo dal provvedimento impugnato
ma anche dalla copia del verbale di udienza che la Consob ha allegato al
controricorso.

6

altri c. Italia).

c-c — d-d) Sulla competenza della Corte d’Appello a decidere in
unico grado, la Corte Costituzionale, più volte chiamata a pronunciarsi
sulla legittimità delle disposizioni che prevedono un modulo processuale
non improntato al doppio grado di giurisdizione di merito, ha sempre
“negato l’esistenza nel nostro ordinamento del suddetto principio, che il
legislatore ordinario non é pertanto tenuto ad osservare in ogni caso”

52/1984; 395/1988; 80/1988).
Sui rapporti col rito previsto dal Dlgs n. 150/2011 art. 6, sulle
violazioni del principio del contraddittorio, e di difesa, la questione si
rivela irrilevante perché non è dato assolutamente conoscere quale
attività difensiva i ricorrenti avrebbero in concreto inteso svolgere sia in
sede amministrativa che giurisdizionale e non hanno invece potuto
svolgere: il decreto impugnato non affronta il problema e il ricorso si
rivela completamente silente su tale circostanza, costituente un
imprescindibile presupposto ai fini della rilevanza della questione di
legittimità costituzionale oggi sollevata. Ciò induce inevitabilmente
questa Corte a ritenere che nel giudizio di opposizione nessun dubbio di
legittimità costituzionale sia mai stato neppure adombrato, benché al
momento della proposizione del ricorso davanti alla Corte d’Appello di
Milano (10.6.2014) il caso Grande Stevens, costituente uno dei perni su
cui si basa la richiesta in esame, fosse stato già deciso e la relativa
pronuncia pubblicata (4.3.2014).
Quanto, infine, alla richiesta subordinata di sospensione del
procedimento (v. pag. 32 ricorso) in attesa della pronuncia della Corte
Costituzionale sulle questioni rimesse dalle Corti di Genova e Firenze
con riferimento al rito camerale, va osservato che con recente ordinanza
n. 158/2017 la Corte Costituzionale – preso atto delle modifiche all’art.
195 TUF apportate ad opera del decreto legislativo 12 maggio 2015, n.
72 (per quanto interessa, previsione dell’udienza pubblica ai sensi
dell’art. 5 comma 5, norma applicabile anche ai giudizi pendenti in virtù
di disposizione transitoria contenuta nell’art. 6 comma 8) – ha disposto

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(v. Corte Cost. n. 78/1984 in materia di espropriazione; v. altresì n.

a quibus affinché valutino le

la restituzione degli atti ai giudici

conseguenze di tali modifiche nei giudizi principali, specie ai fini della
rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.
Nel caso in esame la Corte di Milano ha provveduto in pubblica
udienza, come già esposto.
1.2

Passando adesso all’esame dei motivi di impugnazione,

ricorso), si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della
legge 7 agosto 1990 n. 241 e del Regolamento adottato dalla Consob
con Delibera n. 12697 del 2 agosto 2000, in relazione all’art. 360
comma 1 n. 3 cpc (mancato rispetto, da parte della Consob, del termine
di 360 giorni per l’irrogazione delle sanzioni amministrative di cui alla
Delibera); insufficienza e/o carenza totale di motivazione sul punto della
inapplicabilità della I. 241/1990 ai procedimenti sanzionatori della
Consob. Premettono i ricorrenti che il Regolamento Consob costituisce
una specificazione della disciplina prevista in via generale dalla legge
241/1990 art. 2 e rilevano che nel caso in esame il procedimento
sanzionatorio, iniziato il 30.10.2009, si era concluso il 3.1.2011, quindi
oltre il prescritto termine di 360 giorni.
Procedono a richiami dottrinari e giurisprudenziali e rimproverano
alla Corte d’Appello una errata interpretazione dei principi contenuti
nelle massime riportate nel decreto impugnato perché – a loro dire – le
sezioni unite non hanno mai inteso affermare un principio generalizzato
di disapplicazione della legge 241/1990 ai procedimenti sanzionatori;
evidenziano che nel caso in esame si è in presenza di termini alternativi
superiori a quelli previsti dall’art. 2 comma 2 della legge241/1990 e
spiegano le ragioni che – sempre a loro dire – fanno propendere per
l’applicazione della legge 241/1990 al caso in esame, osservando che
una diversa soluzione consentirebbe alla Consob di ritenersi esonerata
dal rispetto di termini di durata dei procedimenti sanzionatori con l’unica
salvezza del termine prescrizionale di cinque anni previsto dall’art. 28

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osserva il Collegio che col primo di essi (indicato con numero II nel

della legge 689/1981, in violazione dei principi di celerità e certezza del
diritto e con pregiudizio della dignità della persona e del diritto di difesa.
Rilevano infine che nel decreto impugnato manca qualsiasi
motivazione sulla ritenuta applicabilità dei termini di cui alla legge
241/1990 al procedimento sanzionatorio Consob, essendosi la Corte
d’Appello limitata a richiamare la giurisprudenza della Suprema Corte

ritenersi applicabile alla fattispecie .
Questa censura è inammissibile nella parte in cui segnala un vizio
(insufficienza e/o carenza totale di motivazione) che non è più possibile
denunziare in sede di legittimità, come testualmente si ricava dalla
nuova formulazione dell’art. 360 n. 5 cpc (applicabile alla fattispecie in
esame, riguardante un provvedimento depositato nel 2014); né è
possibile ravvisare nel provvedimento della Corte milanese la carenza
totale di motivazione nel senso inteso dalle sezioni unite con le sentenze
8053/2014 e 19881/2014 (quest’ultima non massimata), e cioè come
mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, oppure
come motivazione apparente, o come contrasto irriducibile tra
affermazioni inconciliabili o ancora come motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del
semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
Sotto il profilo della dedotta violazione di legge, la doglianza è
invece infondata perché non si confronta col principio, più volte
ricorrente nella più recente e consolidata giurisprudenza di questa Corte,
secondo cui in tema di sanzioni amministrative il procedimento
preordinato alla loro irrogazione sfugge all’ambito di applicazione della
legge 7 agosto 1990, n. 241, in quanto, per la sua natura sanzionatoria,
è compiutamente retto dai principi sanciti dalla legge 21 novembre
1981, n. 689; ne consegue che non assume alcuna rilevanza il termine
di trecentosessanta giorni per la conclusione del procedimento di cui
all’art. 4 del regolamento Consob 2 agosto 2000, n. 12697 attesa
l’inidoneità di un regolamento interno emesso nell’erroneo

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senza dare conto dei motivi per i quali tale giurisprudenza poteva

convincimento di dover regolare i tempi del procedimento ai sensi della
legge n. 241 del 1990 a modificare le disposizioni della citata legge n.
689 del 1981 (Sez. 2, Sentenza n. 4873 del 01/03/2007 Rv. 595087;
sez. 2, Sentenza n. 22199 del 2010 in motivazione; sez. 2, Sentenza n.
4329 del 2008 in motivazione).
A tali principi il Collegio intende dare ancora una volta continuità

portata e giustificare un mutamento di giurisprudenza
Venendo al caso in esame, la Corte d’Appello, contrariamente a
quanto si assume in ricorso, ha fatto corretta applicazione dei principi in
materia rilevando appunto che, non essendo applicabili i termini di cui
alla legge 241/1990 al procedimento amministrativo sanzionatorio
disciplinato dalla legge n. 689/1981, nemmeno possono trovare
applicazione le disposizioni contenute nella delibera Consob n. 12696 del
2000 (leggasi 12697, ndr) attuative dell’art. 2 della legge 241/2000 con
conseguente irrilevanza di un eventuale superamento da parte
dell’Autorità del termine autoassegnatosi: la motivazione, dunque, non
solo esiste, ma è anche giuridicamente corretta.
2 Con il secondo motivo (numero III nel ricorso) si denunzia infine
violazione e falsa applicazione degli artt. 94, 95, 113 e 191 del Dlgs n.
58/1998 (TUF) nonché dell’art. 5 del Regolamento Emittenti, dell’art.
2.3.4 del Regolamento di Borsa Italiana spa in relazione all’art. 360
comma 1 n. 3 cpc, criticandosi il giudizio di negligenza nei confronti
della Banca quale responsabile del collegamento e sponsor delle azioni
Omnia Network spa. Ad avviso dei ricorrenti, dalla normativa di settore
non si rinviene un dovere per la banca di attivarsi in maniera proattiva e
di interessarsi quindi delle concrete attività poste in essere
dall’emittente per superare i profili problematici che il SCG presentava:
le dichiarazioni delle persone responsabili del prospetto informativo
devono invece attestare che “avendo esse adottato tutta la ragionevole
diligenza a tale scopo, le informazioni in esso contenute sono, per
quanto di loro conoscenza, conformi ai fatti e non presentano omissioni

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non avendo i ricorrenti apportato argomentazioni tali da scalfirne la

tali da alterarne il senso”. E laddove la responsabilità sia stata assunta
limitatamente a talune parti del prospetto informativo, come nella
specie, la dichiarazione in questione va rilasciata con riferimento alle
sole “informazioni contenute nella parte del documento di registrazione
di cui sono responsabili”.
Rilevano ancora i ricorrenti che, avendo la società di verifica Reply

dell’emittente, non si comprende quali iniziative avrebbe dovuto porre in
essere la Banca per verificare le attività poste in essere dalla Omnia
Network spa per superare i profili problematici che il SCG presentava.
Insomma, sempre secondo i ricorrenti, a fronte di un tale parere, non
erano necessarie ulteriori ispezioni o verifiche a meno di non volere
attribuire poteri di controllo equiparabili a quelli della Consob o
all’inquirente penale.
Precisano inoltre che nel caso in esame sono state osservate le
direttive di Borsa Italiana spa e che solo in presenza di ulteriori richieste
di quest’ultima la Banca avrebbe potuto chiedere alla

Network spa

ulteriori verifiche e accertamenti circa l’ulteriore superamento delle
criticità. A conferma della diligenza impiegata, i ricorrenti segnalano
l’assenza di osservazioni dai parte degli studi di consulenza che hanno
assistito la Banca stessa e la Omnia Network spa e, richiamando l’art. 5
comma 4 del Regolamento Emittenti, ribadiscono che gli aspetti relativi
alla affidabilità e adeguatezza del SCG non rientravano fra le parti del
prospetto per le qual Banca IMI assumeva responsabilità.
Il motivo è infondato.
E’ pacifico il ruolo della Banca IMI come sponsor della quotazione
e come responsabile del collocamento delle azioni Omnia Network spa.
Lo sponsor è l’intermediario finanziario che, in base al
Regolamento dei mercati organizzati gestiti da Borsa italiana s.p.a. (art.
2.3.4. della versione vigente pro tempore), ha il compito di collaborare
con l’emittente nella procedura di ammissione degli strumenti finanziari
ai fini del suo ordinato svolgimento. In questa veste la banca doveva

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formulato un parere positivo in ordine alla adeguatezza del SGC

attestare, sulla base di verifica di due diligence, che la società della cui
quotazione si stava trattando aveva istituito un sistema di controllo di
gestione tale da consentire ai responsabili di disporre periodicamente e
con tempestività di un quadro sufficientemente esaustivo della
situazione economica e finanziaria della società medesima.
Secondo la prescrizione del Regolamento Emittenti adottato con

vigente ratione temporis) “il responsabile del collocamento attesta,
mediante dichiarazione allegata alla comunicazione, che il prospetto
informativo è redatto secondo gli schemi allegati al Regolamento n.
809/2004/CE e contiene le informazioni rilevanti ai fini della sua
predisposizione di cui sia venuto a conoscenza nel corso delle verifiche
effettuate. L’emittente o l’offerente e gli altri soggetti responsabili del
prospetto sottoscrivono la dichiarazione di responsabilità prevista dagli
schemi allegati a detto regolamento da riprodursi in apposito allegato
alla comunicazione”.
Nel Regolamento n. 809/2004/CE, tra le informazioni minime da
includere nei documenti di registrazioni e nelle note informative relative
ad azioni, ricorre sempre la “Dichiarazione delle persone responsabili del
documento di registrazione attestante che, avendo esse adottato tutta
la ragionevole diligenza a tale scopo, le informazioni in esso contenute
sono, per quanto a loro conoscenza, conformi ai fatti e non presentano
omissioni tali da alterarne il senso. Eventuale dichiarazione delle
persone responsabili di talune parti del documento di registrazione
attestante che, avendo adottato tutta la ragionevole diligenza a tale
scopo, le informazioni contenute nella parte del documento di
registrazione di cui sono responsabili sono, per quanto a loro
conoscenza, conformi ai fatti e non presentano omissioni tali da
alterarne il senso”.
L’art. 94 del TUF disciplina il prospetto d’offerta al pubblico di
strumenti finanziari e al comma 2 indica il contenuto del prospetto
informativo (da pubblicarsi ai sensi dell’art. 113) stabilendo che “il

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Delibera 11971/1999, articolo 5 comma quattro (sempre nella versione

prospetto contiene, in una forma facilmente analizzabile e
comprensibile, tutte le informazioni che, a seconda delle caratteristiche
dell’emittente e dei prodotti finanziari offerti, sono necessarie affinché
gli investitori possano pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione
patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive
dell’emittente e degli eventuali garanti, nonché sui prodotti finanziari e

quale, concisamente e con linguaggio non tecnico, fornisce le
informazioni chiave nella lingua in cui il prospetto è stato in origine
redatto. Il formato e il contenuto della nota di sintesi forniscono,
unitamente al prospetto, informazioni adeguate circa le caratteristiche
fondamentali dei prodotti finanziari che aiutino gli investitori al momento
di valutare se investire in tali prodotti”.

Il comma 8 aggiunge che

“l’emittente, l’offerente e l’eventuale garante, a seconda dei casi,
nonché le persone responsabili delle informazioni contenute nel
prospetto rispondono, ciascuno in relazione alle parti di propria
competenza, dei danni subiti dall’investitore che abbia fatto ragionevole
affidamento sulla veridicità e completezza delle informazioni contenute
nel prospetto, a meno che non provi di aver adottato ogni diligenza allo
scopo di assicurare che le informazioni in questione fossero conformi ai
fatti e non presentassero omissioni tali da alterarne il senso”.
Come si vede, il sistema è improntato a criteri di chiarezza,
trasparenza e comprensibilità, pretendendosi nel contempo la massima
diligenza dai soggetti coinvolti nella pubblicazione, compreso il garante
(cioè il responsabile del collocamento), sotto pena di responsabilità,
proprio per la estrema delicatezza della materia finanziaria per le
possibili negative ripercussioni di carattere economico connesse alle
operazioni di investimento e, in definitiva, sul regolare funzionamento
del mercato.
Come già rilevato da questa Corte, la pubblicazione del prospetto
rappresenta una condizione per il completamento della procedura di
ammissione alla quotazione, giacché il prospetto (v. artt. 94 TUF. e 5

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sui relativi diritti. Il prospetto contiene altresì una nota di sintesi la

del Reg. emittenti) costituisce uno strumento informativo essenziale in
funzione di tutela degli investitori nella fase iniziale di offerta al
pubblico. La responsabilità per le false, oppure omesse, o comunque
manchevoli informazioni del prospetto ricade sull’intermediario
responsabile del collocamento (v. Sez. 1 sentenza n. 4114/2016).
Sempre in giurisprudenza si è chiarito che in tema di sanzioni

intermediazione finanziaria, il T.U.F. individua una serie di fattispecie a
carattere ordinatorio, destinate a salvaguardare procedure e funzioni e
incentrate su mere condotte considerate doverose. In questo senso il
T.U.F. ancora il giudizio di colpevolezza a parametri normativi estranei al
dato puramente psicologico, limitando l’indagine sull’elemento oggettivo
dell’illecito all’accertamento della suitas della condotta inosservante, con
la conseguenza che, una volta integrata e provata dall’autorità
amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in
virtù della presunzione di colpa posta dall’art. 3 L. 24 novembre 1981,
n. 689, l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza (cfr.
v. Sez. 1 sentenza n. 4114/2016 cit; v. altresì benché con riferimento
all’art. 190 T.U.F., Sez. un. n. 20930/2009).
Inoltre, sempre secondo la giurisprudenza di legittimità – e il
Collegio ribadisce anche tale principio – poiché la verifica dell’istituzione
di un adeguato sistema di controllo di gestione è attribuita, dal
Regolamento dei mercati organizzati gestiti da Borsa italiana s.p.a., allo
sponsor (v. ancora art. 2.3.4., lett. c), non rileva in senso liberatorio la

circostanza di essersi lo sponsor avvalso ai fini specifici – come consente
la norma primaria – di una società di revisione o di altro soggetto
qualificato (v. Sez. 1 sentenza n. 4114/2016 cit.).
Così ricostruito il panorama normativo e giurisprudenziale, si rivela
giuridicamente corretta la conclusione a cui è pervenuta la Corte
d’Appello di Milano che – partendo da una rigorosa concezione della
responsabilità dello sponsor (ricavata a sua volta da una altrettanto
corretta ricostruzione del quadro normativo anche a livello comunitario)

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amministrative per violazione delle disposizioni in materia di

e a fronte dell’esistenza (circostanza incontestata) di profili di criticità
nel Sistema di Controllo Gestione emersi a partire dal 12.9.2006 (data
della comunicazione della

Reply Consulting

diretta alla Banca) e

menzionati nella bozza di prospetto (paragrafi 16.4 e A/19) – ha
censurato la condotta della Banca per averne avallato la scomparsa dal
prospetto “senza svolgere alcuna attività di verifica in merito alle

(v. pagg. 10 e 11 decreto impugnato), posto che – come pure si legge
nel decreto impugnato a pag. 9 – la società di consulenza Reply “…non
ha mai indicato che le stesse (cioè le criticità del SCG, ndr) fossero state
risolte, riferendo solo del mero impegno della società a risolverle”.
In definitiva, il ricorso, lungi dall’evidenziare una violazione o falsa
applicazione di norme di legge, tende ad una diversa e più favorevole
interpretazione del meccanismo relativo ai doveri dello sponsor e
dell’intermediario, e va pertanto respinto con addebito di ulteriori spese
alla parte soccombente.
Trattandosi di ricorso successivo al 30 gennaio 2013 e deciso
sfavorevolmente, sussistono le condizioni per dare atto — ai sensi
dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1 -quater
all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 —
della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento
delle spese del presente giudizio che liquida in C. 6.200,00 di cui C.
200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15%. Ai sensi
dell’art. 13, comma 1 – quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito
dall’art.1,comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza
dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore

15

iniziative intraprese dall’emittente per il superamento dei profili critici”

importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso,
a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
Roma, 25.10.2017
Il Presidente

Il Cons. est.

DEPOSITATO IN CANCELLERIA
Roma,

23 GEN. 2018

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