Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16208 del 27/06/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 16208 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al N.R.G. 3516/2012 proposto da:
SCARAFILE COSIMINA (C.F.: SCR CMN 53M49 C741H), rappresentata e difesa, in virtù
di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Claudio Lucisano e Antonio de Feo
ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in Roma, via Crescenzio, n. 91;
– ricorrente —

contro
CHIRICO ANNUNZIATA (C.F.: CHR NNZ 30M70 C741E), rappresentata e difesa, in virtù
di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Vito Zizzi ed elettivamente
domiciliata presso lo studio dell’Avv. Leonardo Musa, in Roma, alla piazza Giovanni
Randaccio, n. 1;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 192 del 2011 della Corte di appello di Lecce,
depositata il 10 marzo 2011 (e non notificata).
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24 maggio 2013

dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
letta memoria ex art. 380 bis c.p.c. depositata nell’interesse della ricorrente;
sentito l’Avv. Claudio Lucisano per la ricorrente;

1

Data pubblicazione: 27/06/2013

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Lucio Capasso, che nulla ha osservato in ordine alla relazione ex art. 380 bis c.p. c. in atti.
Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 22 gennaio 2013, la
seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: << Con atto di citazione, notificato in data 3 febbraio 1997, la sig.ra Chirico Annunziata conveniva in giudizio, Abbracciante Giovanna al fine di sentir determinare l'esatto confine tra il proprio immobile, sito in Cisternino, e l'immobile di proprietà delle convenute, sostenendo che le predette, in sua assenza, si erano impossessate di parte del terreno, approfittando dell'incertezza dei confini tra i due immobili causata dai lavori per la realizzazione dell'Ufficio Postale del Comune. Si costituiva in giudizio entrambe le convenute, deducendo il possesso in buona fede del terreno adiacente alla loro abitazione, negli attuali confini, da oltre venti anni, e di aver acquistato per usucapione la proprietà della porzione di fondo rivendicata dall'attrice, formulando, in proposito, apposita eccezione riconvenzionale. Il Tribunale adito, con sentenza n. 112 del 4 novembre del 2003, rigettava la domanda dell'attrice, ritenendo fondata la suddetta eccezione riconvenzionale di intervenuto acquisto per usucapione della porzione fondiaria contesa. Con atto di appello notificato il 9 febbraio 2009, la sig.ra Chirico Annunziata, lamentando l'errata valutazione della prova testimoniale, impugnava la suddetta sentenza e chiedeva, in riforma della impugnata sentenza, di accogliere la domanda come originariamente proposta. Si costituivano entrambe le appellate, insistendo per il rigetto del gravame. Con sentenza n. 192/2011(depositata il 10 marzo 2011 e non notificata), la Corte d'Appello di Lecce - Il Sezione Civile, accoglieva l'appello e, per l'effetto, accertava l'esatto confine tra le proprietà limitrofe per cui era controversia, con la condanna delle appellate al 2 dinanzi al Tribunale di Brindisi-sez. dist. di Fasano, le signore Scarafile Cosimina e rilascio della porzione di fondo illegittimamente risultato nela loro disponibilità, oltre che alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio. Avverso tale sentenza (non notificata) la signora Scarafile Cosimina ha proposto ricorso per Cassazione (notificato il 30 gennaio 2012 e depositato il 14 febbraio successivo), sulla base di due motivi. Si è costituita in questa fase con tempestivo controricorso l'intimata Con il primo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per falsa applicazione dell'art. 1158 c.c., con riferimento all'art. 360 n. 3 c.p.c. ed in relazione alla pretesa insufficienza probatoria del possesso continuato, nonché il vizio di omessa ed insufficiente motivazione dell'avvenuto rigetto dell'eccezione di intervenuto acquisto per usucapione della porzione di immobile in contestazione, avuto riguardo alle risultanze delle prove testimoniali. Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato l'omessa ed insufficiente motivazione dell'avvenuto rigetto dell'eccezione di intervenuto acquisto per usucapione della porzione di immobile in contestazione in relazione alle risultanze della c.t.u. espletata nonché alle risultanze della c.t.p. . Ritiene il relatore che sembrano sussistere, nella fattispecie, i presupposti per procedere nelle forme di cui all'art. 380 bis c.p.c. potendosi rilevare la manifesta infondatezza di entrambi i motivi formulati, avuto riguardo all'ipotesi enucleata nell'art. 375 n. 5 c.p.c. . Con le due doglianze formulate la ricorrente ha inteso dedurre, in realtà (e senza che risulti idoneamente prospettata anche un'effettiva violazione di legge), un duplice vizio di carenza motivazionale della sentenza impugnata, in ordine sia alla valutazione compiuta dalla Corte territoriale delle prove testimoniali assunte (e ritenute maggiormente conferenti ed attendibili in funzione della decisione sull'eccezione riconvenzionale di usucapione) sia con riferimento alle illustrate risultanze della c.t.u. e della c.t.p. . In particolare, con il primo motivo la Chirico ha essenzialmente prospettato che — secondo la sua impostazione 3 Chirico Annunziata. soggettiva — sussistessero tutti i riscontri probatori per ritenere la fondatezza della predetta eccezione, riesaminando il complesso ed il dettaglio degli esiti della prova testimoniale assunta; con il secondo motivo, la ricorrente, pur contestando genericamente le valutazioni compiute dalla Corte di appello leccese, non censura specificamente la "ratio decidendi" considerata dalla stessa Corte territoriale con riferimento alle complessive senza, tuttavia, riportare alcuna idonea indicazione del fatto controverso in relazione al quale è stata dedotta la inadeguatezza motivazionale, ma sollecitando, implicitamente, una rivisitazione nella presente sede di legittimità degli accertamenti di fatto e delle correlate valutazioni di merito già operati dal giudice di seconde cure. Alla stregua di tale impostazione del ricorso va sottolineato che con lo stesso risultano denunciati, in effetti, del vizi motivazionali che non si risolvono nel controllo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte dal giudice di secondo grado, ma consistono in una sollecitazione del riesame del merito della controversia e, specificamente, della rivalutazione delle prove già adeguatamente compiuta dalla stessa Corte territoriale. In tal senso, pertanto, i motivi attinenti ai supposti dedotti vizi motivazionali non risultano accoglibili dal momento che, secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 27162 del 2009 e, da ultimo, Cass. n. 6288 del 2011), Il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360, n. 5, c.p.c., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la 4 risultanze peritali, ma individua un serie di passaggi delle relazioni del c.t.u. e del c.t.p., valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Del resto la Corte leccese, a sostegno dell'accoglimento dell'appello, ha correttamente tale da non lasciare spazio a perplessità sulla veridicità e attendibilità delle circostanze asserite, sulla concludenza e sufficienza delle medesime a dimostrare un costante comportamento corrispondente all'esercizio di un diritto reale. Alla stregua di tale principio, la stessa Corte territoriale — in consonanza con il richiamato orientamento giurisprudenziale di questa Corte e nell'autonomia della sua valutazione nel merito delle prove assunte — ha dato sufficiente conto dell'inadeguatezza dei riscontri probatori addotti a sostegno dell'eccezione riconvenzionale, sia prendendo in considerazione le testimonianze ritenute maggiormente conferenti (le cui risultanze, tuttavia, non sono state reputate esaustive e di univoca interpretazione) sia le risultanze essenziali degli accertamenti peritali, in tal senso concludendo per il mancato raggiungimento della prova circa i requisiti del possesso idoneo "ad usucapionem" in favore della Scarafile Cosimina. In definitiva, si riconferma, che sulla base della manifesta infondatezza di entrambi i motivi, sembrano sussistere le condizioni per procedere nelle forme camerali di cui all'art. 380 bis c.p.c. >>.
Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti
nella relazione di cui sopra, in ordine alla quale la memoria difensiva ex art. 380 bis c.p.c.
depositata nell’interesse della ricorrente non aggiunge argomentazioni idonee a confutarla
e senza che dall’audizione camerale del difensore della stessa Scarafile siano emersi
elementi nuovi di valutazione;

5

rilevato che, in materia di usucapione, la prova del suo maturarsi deve essere rigorosa,

ritenuto

che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la

conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in
favore della controricorrente, liquidate nei sensi di cui in dispositivo (sulla scorta dei nuovi
parametri previsti per il giudizio di legittimità dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140,
applicabile nel caso di specie in virtù dell’art. 41 dello stesso D.M.: cfr. Cass., S.U., n.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, liquidate in complessivi euro 1.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi ed euro
1.500,00 per compensi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI Sezione civile della Corte Suprema
di Cassazione, in data 24 maggio 2013.

17405 del 2012).

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