Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16206 del 03/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 03/08/2016, (ud. 08/03/2016, dep. 03/08/2016), n.16206

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12161/2010 proposto da:

SEICO IMPIANTI S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PORTUENSE 104, presso lo studio dell’avvocato ANTONIA DE ANGELIS,

rappresentata e difesa dagli avvocati MARCO BRUSCIOTTI, GAIA

BRUSCIOTTI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

avvocati LELIO MARITATO, LUIGI CALIULO, ANTONINO SGROI, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA MARCHE S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 542/2009 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 01/12/2009 R.G.N. 990/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/03/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito l’Avvocato BONACCIO GIOVANNI per delega Avvocato MARCO e GAIA

BRUSCIOTTI;

udito l’Avvocato LELIO MARITATO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO del PROCESSO

Con sentenza n. 542 del 23 ottobre – primo dicembre 2009, notificata il tre marzo 2010, la Corte d’Appello di ANCONA rigettava il gravame proposto da SEICO IMPIANTI S.r.l. avverso la pronuncia del locale giudice del lavoro, che aveva respinto l’opposizione della medesima società avverso la cartella esattoriale notificata il 20-09-2005 in forza di accertamento I.N.P.S., compiuto sulla scorta di verbale ispettivo della D.P.L., secondo cui SEICO IMPIANTI aveva utilizzato nei mesi di febbraio e marzo 1999 personale dipendente della MC System S.r.l. senza regolare iscrizione nei libri di legge e senza versamento della contribuzione obbligatoria, in violazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1.

Ad avviso dell’opposto I.N.P.S., anche quale mandatario della S.C.C.I. S.p.a., dall’istruttoria era emerso che gli operai della MC avevano lavorato presso FINCANTIERI, effettuando prestazioni a favore della SEICO Impianti, seguendo le direttive del capocantiere SEICO e sotto il controllo di quest’ultimo, in assenza di qualsiasi autonoma organizzazione della MC, sicchè operava la presunzione dell’interposizione fittizia di manodopera, vietata dalla L. n. 1369/60. Secondo il Tribunale, la MC System srl, che aveva stipulato un contratto di raggruppamento con la SEICO IMPIANTI in data 23 febbraio 1999, si era in realtà limitata ad inviare il proprio personale presso il cantiere in cui la SEICO operava in esecuzione del contratto d’appello intervenuto con FINCANTIERI.

Secondo la Corte di Appello, in base alle esaminate testimonianze ( P.A., dipendente MC System, D.B.D., ex dipendente SEICO e capo quadra presso il sito FINCANTIERI, D.F.F. ex dipendente MC come D.C.) le raccolte dichiarazioni concordemente affermavano che la MC SYSTEM forniva i lavoratori alla SEICO, che ne aveva bisogno, per eseguire le opere commissionate presso FINCANTIERI, di modo che i lavoratori MC SYSTEM, una volta individuati sulla base delle richieste pervenute dalla SEICO, si recavano, accompagnati dal P., presso la FINCANTIERI, dove la MC aveva una sua postazione consistente in un container e laddove poi gli ordini ai lavoratori venivano impartiti da D.B.D., caposquadra SEICO presso il sito FINCANTIERI. I permessi e gli straordinari erano autorizzati dal D.B. anche per i lavoratori MC, che osservavano inoltre lo stesso orario seguito dai dipendenti della SEICO, la quale successivamente provvedeva ai pagamenti in favore della MC in ragione delle ore lavorate dai dipendenti di quest’ultima. L’attrezzattura di lavoro necessaria per il taglio era della SEICO, mentre la piccola utensileria per i lavori di completamento dell’impianto elettrico veniva fornita dalla MC System. Nè in particolare risultava che quest’ultima disponesse di una gestione organizzativa e direzionale autonoma delle attività di cantiere, oggetto dell’appellato. Inoltre, la MC System non esercitava alcun potere direttivo sui lavoratori da essa formalmente dipendenti sul cantiere, poichè il suddetto P. si limitava ad accompagnare i lavoratori medesimi e a sistemarli nelle varie squadre.

Inoltre, secondo la Corte di Appello, non vi era stata assunzione di rischio alcuno da parte della MC nell’esecuzione dei lavori concessi in appalto da FINCANTIERI a SEICO.

Quest’ultima in data 23 febbraio 1999 aveva stipulato un contratto di joint venture, avente ad oggetto la presentazione di un’offerta per il progetto dei lavori da eseguirsi presso la FINCANTIERI.

La Corte distrettuale, poi, richiamava il principio affermato da Cass. lav. n. 5011 del 27/04/1992 il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società di un medesimo gruppo non comporta il venir meno della autonomia delle singole società, dotate di personalità giuridica distinta, alle quali continuano a far capo i rapporti di lavoro del personale in servizio presso le diverse imprese. In relazione a tale collegamento tra imprese, un’interposizione fittizia nel rapporto e nelle prestazioni di lavoro (ai sensi della L. n. 1369 del 1960, art. 1) è configurabile quando la società capogruppo utilizzi le prestazioni lavorative di personale solo formalmente dipendente da società collegate o da essa controllate; ai fini dell’accertamento degli estremi di tale fattispecie non rilevano peraltro gli elementi che denotano l’intensità del collegamento economico tra le varie società, essendo invece necessario verificare che solo la società capogruppo abbia esercitato in concreto i poteri di gestione del rapporto, determinandone la costituzione, le modifiche e la cessazione, organizzando la prestazione per il perseguimento di fini specificamente propri).

Pur a fronte dell’esistenza di un contratto di raggruppamento tra la SEICO e la MC System, dunque, le due imprese conservavano la propria soggettività ed autonomia.

Quindi, la semplice qualità di capofila del gruppo derivante dal contratto di joint venture non autorizzava la SEICO ad avvalersi del personale solo formalmente dipendente dalla MC System, che rimaneva soggetto giuridico distinto e non collaborava attivamente allo svolgimento ed alla direzione dei lavori oggetto del contratto di appalto stipulato con FINCANTIERI.

Per poter escludere la sussistenza di un’interposizione illecita di manodopera, pur in presenza di un contratto dì raggruppamento, dunque, sarebbe stata necessaria una partecipazione della MC alle gestione dei lavori effettuati per FINCANTIERI, qualificabile come effettiva ed ulteriore rispetto alla semplice fornitura di lavoratori dipendenti, laddove nelle specie emergeva che MC System srl non aveva partecipato attivamente alla esecuzione dei lavori, essendosi limitata a fornire il personale di volta in volta necessario alla SEICO.

A fronte di quanto emergente dal verbale ispettivo, per giunta, nulla in senso contrario aveva provato la SEICO Impianti.

Pertanto, doveva ritenersi sussistente la fattispecie dell’interposizione illecita in violazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1.

Quanto, poi, al periodo considerato, nonostante il contratto di appalto con Fincantieri recasse la data 11 marzo 1999, la Corte di merito rilevava che nella produzione di parte opponente risultava come data di inizio lavori quella del 18-02-1999, sicchè era documentalmente smentita l’impossibilità di impiego dei lavoratori della MC prima dell’undici marzo 1999.

Infine, la Corte di Appello, quanto alla partecipazione di FINCANTIERI, osservava che detta società era stata la beneficiaria ultima dei lavori, in quanto committente, mentre i dipendenti della MC erano stati utilizzati dalla SEICO, come soggetto contrattualmente tenuto alla esecuzione degli stessi.

Pertanto, l’appello di SEICO IMPIANTI veniva respinto con la condanna della soccombente la pagamento delle ulteriori spese di lite.

Avverso la sentenza del 23 ottobre – primo dicembre 2009 proponeva ricorso per cassazione SEICO IMPIANTI S.r.l. con atto notificato il tre maggio 2010 (lunedì, 61 giorno), affidato a due motivi:

1) violazione e falsa applicazione L. n. 1369 del 1960, art. 1, art. 360 c.p.c., n. 3.

2) omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa in fatto controverso e decisivo art. 360 c.p.c., n. 5.

L’I.N.P.S., anche quale mandatario S.C.C.I. S.p.a., ha resistito mediante controricorso.

Alla pubblica udienza dell’otto marzo 2016, previ avvisi di rito, sono comparse entrambe le parti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I motivi d’impugnazione che per la loro evidente connessione possono essere congiuntamente esaminati, vanno disattesi, alla stregua di quanto congruamente accertato in punto di fatto e correttamente ritenuto in diritto dalla impugnata sentenza d’appello.

In effetti, con il primo motivo la società istante assume più che l’assolta violazione della L. n. n. 1369 del 1960, art. 1, nella specie pacificamente ratione temporis applicabile, il difetto di congrua e logica motivazione, però del tutto insussistente in base a quanto emerso dall’istruttoria così come dettagliatamente riportata nella sentenza de qua. Invero, la società ricorrente tende a rimettere in discussione le valutazioni e gli apprezzamenti in punto di fatto operati dal giudice di merito con esauriente motivazione, però del tutto inammissibilmente in questa sede di legittimità, laddove il vizio di motivazione può configurarsi unicamente quanto il ragionamento seguito appaia manifestamente incoerente ed illogico, e non già quando in effetti non tenga conto delle aspettative in punto di fatto di parte ricorrente (cfr. tra l’altro Cass. 3^ civ. n. 17037 del 20/08/2015, secondo cui il riferimento – contenuto nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, applicabile “ratione temporis” – al “fatto controverso e decisivo per il giudizio” implicava che la motivazione della “quaestio facti” fosse affetta non da una mera contraddittorietà, insufficienza o mancata considerazione, ma che fosse tale da determinare la logica insostenibilità della motivazione.

V. altresì Cass. lav. n. 6288 del 18/03/2011, secondo cui il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Parimenti, secondo Cass. lav. n. 27162 del 23/12/2009: il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il

potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione).

Pertanto, alla luce di quanto chiarito in narrativa circa il percorso motivazionale seguito dalla Corte distrettuale, è del tutto insussistente l’asserito vizio di motivazione.

Parimenti, va detto per quanto concerne il secondo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione dei principi vigenti in materia di accertamenti ispettivo – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, difetto ed erroneità della motivazione circa un punto decisivo della controversia con riferimento al verbale ispettivo della DPL posto a fondamento della cartella esattoriale opposta, in ordine all’assoluta carenza di macchinari, attrezzatture e capitali in capo alla MC System S.r.l., laddove l’unico soggetto che poteva in concreto contestare le risultanze del verbale era la MC System, che ne era la destinataria, non certo la SEICO, che non solo non ne veniva messa tempestivamente a conoscenza, ma che non poteva neppure possedere tutti gli elementi necessari per confutare compiutamente quanto ivi dedotto).

Come si vede, anche in questa occasione parte ricorrente travisa il senso complessivo della ratio decidendi, posto a sostegno delle impugnata decisione, che si fonda sulle anzidette risultanze documentali e sulle acquisite dichiarazioni testimoniali, oltre che sull’accertamento ispettivo, per cui tuttavia la società appellante non aveva indicato alcun elemento di segno contrario rispetto alle risultanze degli accertamenti compiuti dalla Direzione Provinciale del Lavoro; sicchè tali accertamenti, regolarmente svolti e necessariamente aventi ad oggetto soggetto diverso dall’appellante, facevano piena prova in questo giudizio di quanto ivi contenuto.

Pertanto, in base ai vari elementi di prova, complessivamente e congruamente valutati (perciò non frammentariamente) raccolti, sussisteva nella specie l’interposizione illecita nel rapporto di lavoro, in violazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1.

Dunque, vanno respinte per le stesse anzidette ragioni le ingiustificate censure circa i pretesi vizi di motivazione.

Quanto, poi, alle asserite violazioni di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a parte l’assoluta genericità della doglianza di cui al 2^ motivo circa non meglio indicati principi in tema di accertamento ispettivo, deve osservarsi che il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro (L. 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 1), in riferimento agli appalti “endoaziendali”, caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorchè strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore – datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), senza una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo, non essendo necessario, per realizzare un’ipotesi di intermediazione vietata, che l’impresa appaltatrice sia fittizia, atteso che, una volta accertata l’estraneità dell’appaltatore all’organizzazione e direzione del prestatore di lavoro nell’esecuzione dell’appalto, rimane priva di rilievo ogni questione inerente il rischio economico e l’autonoma organizzazione del medesimo (Cass. lav. n. 11720 del 20/05/2009, conformi Cass. n. 18281 del 2007, n. 9264 del 2008.

V. altresì Cass. lav. n. 17444 del 27/07/2009: l’illecita intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, ai sensi della L. 23 ottobre 1960, n. 1369, sussiste nel caso in cui l’appalto abbia ad oggetto la messa a disposizione di una prestazione lavorativa, con avvio dei dipendenti al lavoro presso l’appaltante senza il loro inserimento nell’espletamento di opere o servizi coinvolgenti l’organizzazione gestionale dell’appaltatore o, comunque, richiedenti l’impiego di un apparato di mezzi da questi fornito, senza che assuma rilievo che l’appaltatore sia dotato, sul piano della dotazione strumentale e patrimoniale, di una obbiettiva consistenza e che si occupi della gestione amministrativa del rapporto di lavoro. V. altresì Cass. n. 7898 del 06/04/2011: il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro L. n. 1369 del 1960, ex art. 1, in riferimento agli appalti endoaziendali, caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorchè strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore – datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto – quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione – senza una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo. Conforme, Cass. lav. n. 7820 del 28/03/2013).

Pertanto, il ricorso va respinto, con la condanna della società soccombente al rimborso delle spese in favore della sola parte controricorrente (non già anche a favore della EQUITALIA Marche S.p.a., rimasta intimata, quindi senza aver svolto alcuna difesa nel proprio interesse).

PQM

la Corte RIGETTA il ricorso e condanna SEICO Impianti S.r.l. al pagamento delle relative spese, che liquida a favore di parte controricorrente nella misura di 3.600,00 Euro, di cui 3.500,00 per compensi professionali, oltre al rimborso per spese generali al 15%, nonchè I.V.A. e c.p.a. come per legge.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2016

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