Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16203 del 27/06/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 16203 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al N.R.G. 29751/2011 proposto da:
AW. CLAUDIO CONTI (C.F.: CNT CLD 46E26 G478T), rappresentato e difeso da se
stesso, ai sensi dell’art. 86 c.p.c., ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, in
Roma, viale Manfredi, n. 17; – ricorrente —
contro
DR. GIOVANNI CONTI (C.F.: CNT GNN 43R22 G337B), rappresentato e difeso, in virtù di
procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv.ti Eugenio Forni e Sandro Campagna
ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, in Roma, alla v. Roberto Scott,
n. 62;

– controricorrente –

per la ca„,ssúzione della sentenza n. 2555 del 2011 della Corte di appello di Roma,
depositata il 7 giugno 2011 (e non notificata).
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24 maggio 2013

dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
letta la memoria depositata nell’interesse del ricorrente;
sentito personalmente il ricorrente;

1

Data pubblicazione: 27/06/2013

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

Lucio Capasso, che nulla ha osservato in ordine alla relazione ex art. 380 bis c.p. c. in atti.
Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 5 dicembre 2012, la

seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: << Con atto di citazione notificato il 19 marzo 2009 l'avv. Conti Claudio proponeva appello avverso la sentenza n. formulata in primo grado nei confronti di Loreti Enzo (quale esecutore testamentario), Conti Giovanni e Conti Barbara, diretta all'ottenimento, con riferimento alla successione del genitore Conti Mario (deceduto il 20 novembre 2005), della dichiarazione che l'esecutore testamentario (in rappresentanza di tutti i legatan) era tenuto ad eseguire i pagamenti dei debiti gravanti sull'eredità prima della divisione dei beni ai legatari, oltre che per la dichiarazione che la sua quota di legittima era stata lesa dalle disposizioni testamentarie paterne. Il giudice di prima istanza (nel contraddittorio delle parti convenute e con la chiamata in causa di Pitzurra Sara, anche per conto del figlio Conti Mario) e nella contumacia dei legatari Conti Filippo, Conti Susanna e Conti Giulia), previa limitazione della pronuncia alla sola domanda di riduzione azionata dall'attore quale erede legittimo del padre Conti Mario, aveva fondato il rigetto della domanda stessa sul presupposto della carenza di allegazione e di prova sulla effettiva lesione subita. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 2555 del 2011 (depositata il 7 giugno 2011), nella costituzione dei soli appellati Loreti Enzo e Conti Giovanni, rigettava il gravame e condannava l'appellante alla rifusione delle spese del grado a favore del solo appellato Conti Giovanni, considerato che l'oggetto della controversia atteneva — in funzione dell'eventuale accertamento della lesione della quota di legittima — alla sola sfera patrimoniale della quota ereditaria attribuita allo stesso Conti Giovanni. Avverso la richiamata sentenza di appello (notificata il 6 ottobre 2011) ha proposto ricorso per cassazione (consegnato per la notifica il 5 dicembre 2011, notificato il 9 dicembre 2 12155 del 2009 del Tribunale di Roma con la quale era stata rigettata la sua domanda 2011 e depositato il 20 dicembre 2011) l'avv. Conti Claudio, basato su un solo motivo. Si è costituito in questa fase con controricorso il solo intimato dr. Giovanni Conti, che ha instato, in via principale, per l'inammissibilità del ricorso e, in via gradata, per il suo rigetto. Con il motivo dedotto il ricorrente, dopo aver ripercorso il complesso svolgimento del processo nei due precedenti gradi di giudizio, ha denunciato — ai sensi dell'art. 360, decisivo per il giudizio riguardante la ritenuta mancanza di prova, da parte dello stesso ricorrente in quanto appellante, degli elementi necessari per la ricostruzione dell'asse ereditario e per la conseguente valutazione dei presupposti per inferirne la dedotta lesione della quota di legittima (in favore del coerede Conti Giovanni). Ritiene il relatore che, nel caso di specie, sussistono i presupposti, in relazione all'art. 380 bis c.p.c., per la definizione del procedimento nelle forme camerali in dipendenza della manifesta infondatezza del proposto ricorso, peraltro non notificato a tutte le parti che avevano partecipato al giudizio di appello (ma solo nei confronti di Conti Giovanni, che si è ritualmente costituito in questa fase di legittimità, di Conti Barbara e Pitzurra Sara, invece non costituitisi). A quest'ultimo proposto deve, però, considerarsi che l'azione di riduzione della disposizione testamentaria lesiva della quota di legittima ha natura personale, e, pertanto, nel relativo giudizio, non debbono essere convenuti, come litisconsorti necessari, tutti i legittimari, essendo necessaria la sola presenza in causa della persona (nella fattispecie di Conti Giovanni) che si assume abbia beneficiato della disposizione testamentaria considerata lesiva (cfr. Cass. n. 27414 del 2005 e Cass. n. 27770 del 2011). Quindi, nell'ipotesi in questione, può trovare accoglimento il principio recepito dalla più recente giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 2723 del 2010 e Cass. S. U., n. 6826 del 2010, ord.), alla stregua del quale il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello 3 comma 1, n. 5, c.p.c. — il vizio di contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti, con la superflua, pur potendo sussistere i presupposti (come nella specie, per inesistenza della notificazione del ricorso nei confronti di alcuni litisconsorti necessari), la fissazione del termine ex art. 331 cod. proc. civ. (o, eventualmente, ex art. 332 c.p.c.) per l'integrazione del contraddittorio, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cessazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell'effettività dei diritti processuali delle parti. Ciò posto, ad avviso del relatore la manifesta infondatezza dell'unico motivo di ricorso è riconducibile alla corretta uniformazione della Corte territoriale all'indirizzo giurisprudenziale di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 13310 del 2002 e, da ultimo, Cass. n. 14473 del 2011), in base al quale, in materia di successione testamentaria, il legittimario che propone l'azione di riduzione ha l'onere di indicare entro quali limiti è stata lesa la sua quota di riserva, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria nonché il valore della quota di legittima violata dal testatore, ragion per cui, a tal fine, ha l'onere di allegare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della sua quota di riserva oltre che proporre, sia pure senza l'uso di formule sacramentali, espressa istanza di conseguire la legittima, previa determinazione della medesima mediante il calcolo della disponibilità e la susseguente riduzione delle donazioni compiute in vita dal "de cuius". 4 conseguenza che, in caso di ricorso per cessazione "prima facie" infondato, appare Orbene, proprio sulla scorta di tale principio, la Corte capitolina, con motivazione logica ed adeguata (oltre che priva di contraddizioni) riguardante un apposito accertamento di fatto demandato al suo compito, ha evidenziato come, nella fattispecie, l'odierno ricorrente non aveva fornito le indicazioni minime in ordine alla effettiva consistenza, nella sua interezza, dell'asse ereditario (con riguardo al patrimonio immobiliare e mobiliare e alla esatta verificare la fondatezza della domanda intesa ad ottenere l'accertamento dell'eventuale lesione della quota di legittima a suo svantaggio. Altrettanto legittimamente il giudice di appello ha escluso che potesse ritenersi ammissibile l'espletamento di una c.t.u. a tal riguardo, poiché, nel nostro ordinamento, non è riconoscibile cittadinanza ad un accertamento tecnico meramente esplorativo. Anche a questo proposito la Corte di appello si è conformata alla costante giurisprudenza di legittimità (v. Cass. n. 9060 del 2003; Cass. n. 3191 del 2006 e, da ultimo, Cass. n. 3130 del 2011, ord.) in virtù della quale la consulenza tecnica d'ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze, con l'effetto che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è, quindi, legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati. In definitiva, in virtù delle esposte argomentazioni, avendo la sentenza impugnata deciso la questione di diritto dedotta con il ricorso in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte senza che siano stati offerti (anche in ordine alla previsione di cui all'art. 360 bis n. 1, c.p.c.) elementi per mutare il pregresso orientamento (cfr. Cass., S. U., ord., n.19051/2010), si deve ritenere che sembrano emergere le condizioni, in relazione al disposto dell'art. 380 bis, comma 1, c.p.c. (e con riferimento alla correlata norma di cui 5 ubicazione dei relativi beni), proprio al fine di poter consentire in sede giudiziale di all'art. 375, n. 5, c.p.c.), per poter pervenire al possibile rigetto de/proposto ricorso per sua manifesta infondatezza >>.
Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti

nella relazione di cui sopra, in ordine alla quale, peraltro, la memoria difensiva, depositata
ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. nell’interesse del ricorrente, non ha aggiunto argomentazioni

ricorrente siano emersi elementi nuovi di valutazione;
ritenuto

che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la

conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in
favore del controricorrente, liquidate nei sensi di cui in dispositivo (sulla scorta dei nuovi
parametri previsti per il giudizio di legittimità dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140,
applicabile nel caso di specie in virtù dell’art. 41 dello stesso D.M.: cfr. Cass., S.U., n.
17405 del 2012).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, liquidate in complessivi euro 2.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi ed euro
2.500,00 per compensi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI Sezione civile della Corte Suprema
di Cassazione, in data 24 maggio 2013.

difensive idonee a confutarla e senza che, inoltre, dall’audizione camerale dello stesso

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