Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16201 del 27/06/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 16201 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al N.R.G. 19193/2011 proposto dalla:
SOCIETA’ B PLUS GIOCOLEGALE LIMITED (P.I. 09046231008), in persona del legale
rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, in virtù di mandato a margine del
ricorso, dall’Avv. Carmelo Barreca ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in
Roma, via Stoppani, n. 1; – ricorrente —
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE — AMMINISTRAZIONE AUTONOMA
DEI MONOPOLI DI STATO (C.F.: 80207790587), in persona del Ministro pro-tempore,
rappresentato e difeso “ex lege” dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliato presso i
suoi Uffici, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 562 del 2011 del Tribunale di Torino, depositata il 31
gennaio 2011 (e non notificata).
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24 maggio 2013

dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

Lucio Capasso, che nulla ha osservato in ordine alla relazione ex art. 380 bis c.p. c. in atti.
1

Data pubblicazione: 27/06/2013

Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 3 novembre 2012, la

seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: << Con sentenza n. 147 del 2008 il Giudice di pace di Ivrea rigettava l'opposizione proposta dalla Società Atlantis World Giocolegale Limited avverso l'ordinanza-ingiunzione (prot. n. 9343) emessa in data 14 giugno 2007 (e notificata il 24 luglio 2007) dal Ministero dell'Economia e delle Finanze d'Aosta, con la quale le era stato ingiunto il pagamento della sanzione di euro 6.000,00 in 0 ordine alla violazione di cui all'ad. 110, comma 9 , del T.U.L.P.S. . Sull'appello formulato dalla suddetta società opponente in primo grado, il Tribunale di Torino, nella costituzione dell'appellata Pubblica Amministrazione, con sentenza n. 562 del 2011 (depositata il 31 gennaio 2011) rigettava il gravame e condannava l'appellante alla rifusione delle spese del grado. A sostegno dell'adottata decisione il Tribunale del capoluogo piemontese rilevava l'infondatezza di tutti i motivi posti a fondamento del gravame e, in particolare, respingeva: 1) il motivo attinente alla supposta violazione del principio di personalità della responsabilità amministrativa (poiché la società appellante era stata comunque posta nelle condizioni di far pervenire ogni sua difesa); 2) il motivo riguardante la prospettata violazione del principio di legalità ex ad. 1 della legge n. 689 del 1981 (ravvisandone l'insussistenza sulla scorta della valutazione che la fattispecie consistente nel consentire l'uso di apparecchi o congegni non rispondenti alle caratteristiche ed alle prescrizioni indicate nei commi 6 e 7 dell'ad. 110 T.U.L.P.S. si configura come illecito amministrativo a condotta omissiva, per il quale legittimamente viene sanzionato il soggetto che, collocato in una posizione di garanzia, siccome gravato dall'obbligo di impedire la commissione dell'illecita utilizzazione di apparecchi irregolari, ometta di intervenire, osservandosi, altresì, come, nella specie, l'obbligo della società concessionaria non si esaurisce con la semplice comunicazione al gestore di trasferire gli apparecchi irregolari in magazzino, 2 — Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato — Ufficio regionale Piemonte e Valle essendo, invece, tenuta all'immediata attivazione della procedura di blocco degli apparecchi medesimi); 3) il motivo concernente la supposta impossibilità del concessionario di intervenire sul diritto di proprietà; 4) il motivo relativo all'insufficienza ed alla contraddittorietà della motivazione della sentenza di prime cure in ordine alla ritenuta sussistenza di una violazione personale, autonoma ed indipendente; 5) il motivo attinente della legge n. 689 del 1981 (dal momento che l'ordinanza-ingiunzione impugnata era stata idoneamente fondata sul verbale di accertamento e di contestazione della Guardia di finanza); 6) il motivo riguardante la possibile applicazione dell'art. 4 della legge n. 689 del 1981 (che non si era potuta ritenere operante poiché, nella specie, alla stregua della struttura del precetto violato, era stato contestato all'appellante di aver omesso di impedire l'uso di apparecchi da parte del gestore). Avverso la suddetta sentenza di secondo grado (non notificata) ha proposto ricorso per cassazione (notificato il 21 luglio 2011 e depositato il 28 luglio 2011) la società B Plus Giocolegale Limited (già Atlantis World Giocolegale Limited) riferito a due motivi. L'intimato Ministero si è costituito in questa fase con controricorso. Con il primo motivo proposto la ricorrente ha dedotto — in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. - la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della legge n. 689 del 1981, con riferimento al principio di legalità ed all'insussistenza della violazione amministrativa prevista dall'art. 110, comma 9, del T.U.L.P.S., avuto riguardo alla natura della violazione stessa e all'individuazione dei suoi destinatari (prospettandosi che, a tal proposito, di essa dovrebbero rispondere, quali autori, solo i gestori e gli esercenti e non anche i concessionari). Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato la supposta violazione dell'art. 23, ultimo comma, della stessa legge n. 689 del 1981 ("ration° temporis" applicabile), avuto riguardo all'insufficiente assolvimento dell'onere probatorio spettante alla P.A. in ordine 3 al supposto mancato assolvimento dell'onere della prova, ai sensi dell'art. 23, comma 12, alla configurazione del suddetto illecito e alla sua ascrivibilità in capo alla società concessionaria. Ritiene il relatore che, nella specie, emergono i presupposti per ritenere la verosimile manifesta infondatezza di entrambi i motivi formulati, alla stregua dell'art. 380 bis, comma 1, c.p.c. (in relazione all'ad. 375, n. 5), c.p.c.), anche con riferimento al disposto dell'ad. Con riferimento al primo motivo (sul presupposto che l'opposizione all'ordinanzaingiunzione in discorso rientra nella giurisdizione del giudice ordinario: cfr. Cass., SS.UU., n. 23107 del 2010) si osserva: a) l'ad. 110 punisce anche coloro che consentono l'uso di apparecchi e congegni da gioco non rispondenti alle prescrizioni di legge e amministrative; b) il D.M. 12 marzo 2004, n. 86 (regolamento concernente disposizioni per la gestione telematica degli apparecchi di cui all'ad. 14 bis, comma 4, del d. P. R. n. 640 del 1972) prevede gli obblighi posti a carico del concessionario dell'attività di gestione della rete telematica, alla quale deve essere necessariamente collegato l'apparecchio di gioco, stabilendo fra l'altro che il medesimo è tenuto ad effettuare tutte la attività strumentali e funzionali alla corretta ed efficace gestione telematica ... e del gioco lecito effettuato mediante videoterminali (incombendo, pertanto, sullo stesso uno specifico obbligo di impedire l'evento correlato alla commissione dell'illecita utilizzazione di apparecchi irregolari). Ciò posto, si rileva che la sentenza impugnata — oltre a inserire legittimamente, sul piano generale, il concessionario tra i soggetti destinatari della suddetta violazione amministrativa (alla stregua della natura della condotta dal relativo precetto contemplata) ha, inoltre, accertato come tali obblighi erano, altresì, contenuti e specificati nella concessione, in virtù della quale il concessionario era tenuto alla procedura di blocco che si doveva concretare nell'insieme delle procedure idonee a impedire t'utilizzo dell'apparecchio di gioco in tutti i casi di difformità di funzionamento alle prescrizioni per il 4 360 bis n. 1, c.p.c. . gioco lecito. In considerazione (anche) di tali obblighi il concessionario della gestione telematica - che ha, per legge, l'obbligo di attivarsi per impedire nei casi suindicati l'uso degli apparecchi - è certamente fra i destinatari della norma sanzionatoria. Alla stregua di tali ragioni deve escludersi la dedotta violazione del principio di legalità (e la correlata inconfigurabilità della violazione in questione), posto che la norma in discorso amministrativo. Deve, pertanto, trovare in questa sede conferma — anche ai sensi dell'art. 360 bis n. 1 c.p.c. - il principio già recentemente enunciato da questa Corte (cfr. Cass., sez. sesta —2, ord. n. 175 del 2012) secondo il quale, in materia di adempimenti connessi al funzionamento di apparecchi e congegni di intrattenimento da gioco, la mancata attivazione della procedura di blocco e di collocazione in magazzino delle apparecchiature non collegate alla rete telematica, giustifica la legittimità dell'ordinanza ingiunzione emessa dall'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS), per violazione dell'art. 110, comma 9, lett. c), del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (TULPS), anche a carico del concessionario del servizio telematico per la raccolta e la gestione del gioco lecito, in quanto, al di là degli adempimenti che ricadono sui gestori e gli esercenti, la norma prevede altresì la punizione di coloro che consentono l'uso delle macchine non rispondenti alle prescrizioni di legge ed amministrative, con obbligo di impedire l'utilizzo irregolare in ogni caso di difformità di funzionamento alle prescrizioni - peraltro, nella specie, riprodotte nella concessione - e senza che la prova dell'assolvimento di tale obbligo, che compete al predetto concessionario, possa dirsi integrata dalla mera comunicazione dal medesimo inviata ai terzi per la collocazione degli apparecchi in magazzino, misura in concreto inidonea ad impedirne l'utilizzo. Anche il secondo appare manifestamente infondato. Con esso, la società ricorrente, lamentando la violazione dell'art. 23, ultimo comma, della legge n. 689 del 1981, ha dedotto che nel giudizio di opposizione a sanzione 5 rinvia, per la necessaria integrazione della normativa tecnica, alle norme di carattere amministrativa la P.A. ha l'onere di dimostrare la fondatezza del diritto alla pretesa punitiva, dimostrando la sussistenza dei presupposti in base ai quali è stata emessa l'ordinanza-ingiunzione, essendo onere dell'opponente provare i fatti impeditivi ed estintivi della pretesa. Senonché, nella specie, secondo la prospettazione della ricorrente, la P.A. non aveva provato il suo assunto, posto che la procedura di blocco si deve considerare apparecchi in magazzino, comunicazione che, nella specie, era stata per l'appunto effettuata. Si rileva in contrario, al riguardo, che, sul presupposto che la pretesa punitiva risulta basata sull'accertamento compiuto dalla Guardia di Finanza sulla scorta del quale le apparecchiature oggetto del verbale di contravvenzione non erano state collegate alla rete telematica (fatto costitutivo) e che l'avere adottato correttamente la procedura di blocco (fatto impeditivo) era evidentemente oggetto di onere posto a carico dell'opponente, la sentenza impugnata ha correttamente ritenuto che la mera comunicazione (attività informativa) non era tale da integrare la procedura di blocco prevista, tenuto conto che, secondo quanto già rilevato in sede di esame del primo motivo, era necessaria l'adozione di concrete misure idonee a impedire l'utilizzazione dell'apparecchio e che, pertanto, la prova della violazione si evinceva anche dal fatto stesso dell'utilizzazione degli apparecchi medesimi (non collegati). Pertanto, alla stregua delle esposte ragioni, si ritiene, che emergono, in definitiva, le condizioni per procedere nelle forme di cui all'art. 380 bis c.p.c., sussistendo i presupposti per pervenire al possibile rigetto del ricorso per manifesta infondatezza di entrambi i formulati motivi (in relazione all'art. 375, n. 5), c.p.c.), anche avuto riguardo al richiamato disposto dell'art. 360 bis n. I c.p.c. ». 6 realizzata anche tramite la specifica comunicazione ai terzi incaricati di collocare gli Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, avverso la quale, peraltro, non risulta depositata alcuna memoria difensiva ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. ; ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 1000,00 per compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, in data 24 maggio 2013. nei sensi di cui in dispositivo.

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