Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1620 del 26/01/2010

Cassazione civile sez. I, 26/01/2010, (ud. 27/10/2009, dep. 26/01/2010), n.1620

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

P.O. – domiciliato ex lege in ROMA, presso la

Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso

dall’avv. Mauceri Daniela, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro pro

tempore – domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e

difesa;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Palermo depositato il 11

dicembre 2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

27 ottobre 2009 dal Consigliere dott. Luigi Salvato;

con la partecipazione del P.M. in persona del S.P.G. dr. RUSSO

Rosario Giovanni.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

P.O. adiva la Corte d’appello di Palermo, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi alla Corte dei Conti con ricorso del 12.11.1993, avente ad oggetto il diritto alla pensione privilegiata, deciso con sentenza di rigetto del 5 febbraio 2007.

La Corte d’appello, con decreto del 11 dicembre 2007, esclusa la computabilità della fase svoltasi in sede amministrativa (la domanda era stata presentata il 19.2.1971 e rigettata il 20.5.93), fissata la ragionevole durata del giudizio in anni tre, ritenuto violato il relativo termine per anni 10, liquidava, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale la somma di Euro 10.000,00, dichiarando compensate le spese del giudizio.

Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso P. O. affidato ad un motivo; ha resistito con controricorso il Ministero dell’economìa e delle finanze.

Ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in camera di consiglio è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- La relazione sopra richiamata ha il seguente tenore:

“1.- Il ricorrente, con un unico motivo, denuncia violazione di legge, lamentando che la Corte d’appello non ha preso in considerazione la durata della fase amministrativa che ha preceduto quella contenziosa, richiamando a conforto Cass. n. 9853 del 2006 e n. 21045 del 2004 e sostenendo che di detta fase avrebbe dovuto tenersi conto.

2 – Il motivo è manifestamente inammissibile, stante l’assoluta mancanza del quesito di diritto (art. 366-bis c.p.c.), benchè denunci espressamente, ed esclusivamente il vizio di violazione di legge.

Al riguardo, è sufficiente ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni Unite, la mancanza del quesito di diritto comporta l’inammissibilità del motivo ed esso non può essere desunto dal contenuto del motivo, poichè in un sistema processuale, che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 consiste proprio nell’imposizione, al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta de principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità (Cass. S.U. n. 23732 del 2007; n. 20409 del 2008). Resta dunque escluso che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dal motivo di ricorso, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma di cui all’art. 366-bis c.p.c. (Cass. S.U. n. 23732 del 2007; n. 20360 del 2007) e, per detta ragione, neppure può essere ricavato dalla semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla fattispecie (Cass. n. 16941 del 2008), ovvero dal complesso delle argomentazioni svolte nel ricorso, poichè il quesito deve essere esplicito (per tutte, Cass. n. 8010 del 2008).

Infine, come questa Corte ha anche già affermato, va esclusa una correzione o integrazione tardiva del ricorso, effettuata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la quale è priva di effetti sananti poichè la causa di inammissibilità opera ab origine (Cass. n. 22390 del 2008), avendo la memoria funzione meramente illustrativa del ricorso, se ritualmente proposto”.

2.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondano, in quanto danno applicazioni a principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, pure indicata nella relazione – neppure contestati dall’istante, essendo appena il caso di sottolineare che non rileva la sopravvenuta abrogazione dell’art. 366- bis c.p.c., disposta dalla L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, in quanto non applicabile ratione temporis (ai sensi dell’art. 58, comma 5, di detta Legge).

Il ricorso va, quindi, dichiarato inammissibile; le spese della presente fase seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese della presente fase, che liquida in Euro 900,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2010

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